C'è sempre una goccia che fa traboccare il vaso. Questa volta è successo in via Enrico Dal Pozzo, una strada che costeggia prima il vecchio ospedale di Monteluce e poi il cimitero. Questa storia della residenza universitaria che si vuol costruire davanti a San Bevignate e accanto all'ingresso del cimitero sta facendo il giro della città perché c'è sempre una goccia, alla fine, che ci dice che si è andati oltre il limite sopportabile. Se avessero cercato, per rovinarlo, un posto più intoccabile di questo non lo avrebbero potuto trovare. Ciò che colpisce è la assoluta indifferenza di fronte ai luoghi e al loro valore storico e ambientale. E' come se il territorio fosse una landa indistinta che si può manomettere senza distinzioni e senza discernimento. In questo caso Adisu, l'agenzia regionale per il diritto allo studio, costruisce una residenza universitaria perché ci sono dei finanziamenti statali e un terreno di proprietà della Regione e così, per farlo, si sceglie un luogo di grande valore storico e paesaggistico.
In via Dal Pozzo non c'è soltanto una delle chiese più affascinanti di Perugia e, poco vicino, il cimitero monumentale. Non è neanche il caso di ricordare che le nuove costruzioni che si vorrebbero realizzare appartengono a una tipologia edilizia men che mediocre, ma anche se fossero state diverse la gravità della scelta non sarebbe cambiata.
Così, alla fine, ci si chiede: perché fanno queste cose? La risposta non è difficile. Le fanno perché le hanno sempre fatte. Questa vicenda ci rimanda al terreno di Maestrello, alle pendici del monte Tezio, dove sono stati collocati pannelli solari su una superficie grande come quattro campi di calcio, alle colline rivestite di pini D'Aleppo e poi sommerse da villette seriali davanti a via Tuderte e alla spalle di San Vetturino, paesaggi dal taglio insolitamente mediterraneo, ormai compromessi e alle altre lottizzazioni che hanno segnato pesantemente le colline e i territori di pregio di tante zone del comune.
La residenza universitaria lungo la strada che porta al cimitero avrà un fronte di oltre cento metri così che la chiamano già, prima ancora che venga realizzata, lo "steccone", anche se non è così alta e grossa come quello di Fontivegge. Li, proprio nel terreno degli ulivi che ora sono stati tagliati, si ritrovavano per poi prendere la strada di casa le lavandaie di Pretola. Questa piccola frazione perugina, sorta sulle sponde del Tevere, è stata per molto tempo la lavanderia di Perugia grazie all'acqua corrente e alle vasche sul fiume. Le lavandaie di Pretola seguivano un sentiero che ora è stato riscoperto e valorizzato partendo proprio dal terreno dei vecchi ulivi di San Bevignate. Questo sentiero prende la direzione del fosso alle spalle del cimitero, attraversa boschi e piccole vallate lungo la discesa che porta al molino e alla torre di Pretola.
Il versante posto a nordest del colle perugino, grazie anche alla forte pendenza dei fossi di Santa Margherita e del Bulagaio si è salvato, nel suo complesso, dalla cementificazione intensiva che ha colpito la parte opposta che guarda verso occidente, il lago e la Toscana. Una volta ci dicevano: la città compatta è cresciuta verso la stazione delle ferrovie dello Stato e non è stato possibile fare altrimenti, ma abbiamo salvato il vastissimo territorio che scende verso il Tevere.
Adesso sappiamo che nulla è impossibile e che non c'è territorio, in qualunque posizione si trovi, che possa sentirsi al sicuro. In quanto ai valori evocati da parole come paesaggio, natura, memoria storica, non è il caso di insistere. Lo sviluppo edilizio con il consumo intensivo di territorio, con le sue strade e rotonde, sempre utile ad accrescere opportunità e affari, è ciò che ha segnato la modernità di una città come Perugia.
Ci avevano detto che il ciclo del mattone e delle grandi opere sarebbe finito. Qui, in questo splendido luogo dell'anima che è il piccolo falsopiano di San Bevignate, intanto stanno per arrivare le ruspe. Forse stanno raschiando il fondo del barile, chissà.
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