Finalmente
anche in Italia al centro della prossima campagna elettorale per le
elezioni europee vi saranno le grandi questioni continentali e globali,
dall’economia alla finanza, dall’ambiente all’immigrazione e, per la
prima volta, non discuteremo solo del cortile di casa nostra. Tutto ciò
è un bene, infatti nelle istituzioni europee vengono assunte molte
delle decisioni destinate ad incidere sul nostro futuro. Spesso queste
scelte si compiono in ambiti ristretti con la complicità dei governi
nazionali e senza alcuna informazione ai cittadini europei e spesso
nemmeno ai parlamenti nazionali.
Gli inconfessabili accordi commerciali
E’ il caso del Ttip, il Transatlantic Trade and Investment Partnership, l’accordo commerciale che l’UE sta trattando con il Nordamerica e che assesterebbe un colpo decisivo alle già fragili democrazie europee. Il Ttip infatti prevede la possibilità che una multinazionale chieda i danni ad un Paese nel quale ha investito, qualora vengano approvate leggi che impongano all’azienda la realizzazione di nuove misure di prevenzione, ad esempio a tutela della salute dei lavoratori o della salvaguardia dell’ambiente.
Davanti ad un tribunale internazionale istituito ad hoc, la multinazionale avrebbe il diritto di esigere un risarcimento per il diminuito guadagno, rispetto a quello preventivato, derivante dagli obblighi di legge approvati. I parlamenti diventeranno ancor più prudenti nel legiferare sotto il ricatto di risarcimenti miliardari: la volontà popolare e la sovranità nazionale verrebbero così scavalcate dalle multinazionali alle quali verrebbe riconosciuto uno status addirittura superiore a quello delle nazioni.
L’Unione Europea da oltre dieci anni cerca di imporre ai Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) gli Epa, Accordi di partenariato economico, che prevedono l’ eliminazione delle barriere protezionistiche in nome del libero scambio perché così richiede il Wto (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) che persegue la politica di totale liberalizzazione del mercato. Le nazioni africane saranno costrette a togliere i dazi oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza. Nel frattempo l’Ue stanzia 50 miliardi/anno per sostenere le grandi multinazionali agricole europee. La conseguenza sarà drammatica per i paesi Acp: i contadini africani, infatti, (l’Africa è un continente al 70% agricolo) non potranno competere con i prezzi sussidiati dei grandi agricoltori europei. Ma anche migliaia di piccoli produttori agricoli europei saranno obbligati a chiudere le loro attività. (cfr. il link per firmare l’appello che ho lanciato insieme ad Alex Zanotelli: http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/appelli/indice_1390305711.htm )
E’ il caso del Ttip, il Transatlantic Trade and Investment Partnership, l’accordo commerciale che l’UE sta trattando con il Nordamerica e che assesterebbe un colpo decisivo alle già fragili democrazie europee. Il Ttip infatti prevede la possibilità che una multinazionale chieda i danni ad un Paese nel quale ha investito, qualora vengano approvate leggi che impongano all’azienda la realizzazione di nuove misure di prevenzione, ad esempio a tutela della salute dei lavoratori o della salvaguardia dell’ambiente.
Davanti ad un tribunale internazionale istituito ad hoc, la multinazionale avrebbe il diritto di esigere un risarcimento per il diminuito guadagno, rispetto a quello preventivato, derivante dagli obblighi di legge approvati. I parlamenti diventeranno ancor più prudenti nel legiferare sotto il ricatto di risarcimenti miliardari: la volontà popolare e la sovranità nazionale verrebbero così scavalcate dalle multinazionali alle quali verrebbe riconosciuto uno status addirittura superiore a quello delle nazioni.
L’Unione Europea da oltre dieci anni cerca di imporre ai Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) gli Epa, Accordi di partenariato economico, che prevedono l’ eliminazione delle barriere protezionistiche in nome del libero scambio perché così richiede il Wto (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) che persegue la politica di totale liberalizzazione del mercato. Le nazioni africane saranno costrette a togliere i dazi oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza. Nel frattempo l’Ue stanzia 50 miliardi/anno per sostenere le grandi multinazionali agricole europee. La conseguenza sarà drammatica per i paesi Acp: i contadini africani, infatti, (l’Africa è un continente al 70% agricolo) non potranno competere con i prezzi sussidiati dei grandi agricoltori europei. Ma anche migliaia di piccoli produttori agricoli europei saranno obbligati a chiudere le loro attività. (cfr. il link per firmare l’appello che ho lanciato insieme ad Alex Zanotelli: http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/appelli/indice_1390305711.htm )
L’illegalità dei capitali “legali”
L’Ue è un vero e proprio Paese di Bengodi per le grandi Corporation. Ne è un esempio la scelta di Fiat/Chrysler di porre la propria sede in Olanda e il domicilio fiscale in Gran Bretagna per sfruttare al meglio le diverse forme di tassazione esistenti all’interno della stessa Europa a totale disposizione dei grandi capitali. Un sistema fiscale unico a tutta l’Unione sarebbe assolutamente necessario, ma le opposizioni sono fortissime a cominciare dalla City londinese, che si comporta come un vero e proprio stato indipendente all’interno dell’Ue. Molti paradisi fiscali sono in Europa o in territori d’oltremare di Paesi europei.
La Troika mentre impone politiche di lacrime e sangue a tutti i Paesi europei, facilita l’evasione fiscale e la fuga di capitali, sottraendo cospicue risorse che potrebbero essere utilizzate per evitare i tagli allo stato sociale.
Talvolta la mobilitazione del mondo associativo riesce ad ottenere risultati importanti come l’imminente approvazione della Direttiva sulla confisca dei beni dei mafiosi, frutto di un lavoro pluriennale di Libera e del network di Flare (Freedom Legality And Rights in Europe) e utile strumento di contrasto al crimine organizzato in grande espansione in tutta Europa (recentemente sono state censite 3600 differenti “famiglie” mafiose).
L’Ue è un vero e proprio Paese di Bengodi per le grandi Corporation. Ne è un esempio la scelta di Fiat/Chrysler di porre la propria sede in Olanda e il domicilio fiscale in Gran Bretagna per sfruttare al meglio le diverse forme di tassazione esistenti all’interno della stessa Europa a totale disposizione dei grandi capitali. Un sistema fiscale unico a tutta l’Unione sarebbe assolutamente necessario, ma le opposizioni sono fortissime a cominciare dalla City londinese, che si comporta come un vero e proprio stato indipendente all’interno dell’Ue. Molti paradisi fiscali sono in Europa o in territori d’oltremare di Paesi europei.
La Troika mentre impone politiche di lacrime e sangue a tutti i Paesi europei, facilita l’evasione fiscale e la fuga di capitali, sottraendo cospicue risorse che potrebbero essere utilizzate per evitare i tagli allo stato sociale.
Talvolta la mobilitazione del mondo associativo riesce ad ottenere risultati importanti come l’imminente approvazione della Direttiva sulla confisca dei beni dei mafiosi, frutto di un lavoro pluriennale di Libera e del network di Flare (Freedom Legality And Rights in Europe) e utile strumento di contrasto al crimine organizzato in grande espansione in tutta Europa (recentemente sono state censite 3600 differenti “famiglie” mafiose).
Le violazioni della Carta dei diritti
Anche nell’Ue vi sarebbero regole e vincoli da rispettare; Andreas Fischer Lescano, professore di diritto europeo all’Università di Brema, ha denunciato come i recenti provvedimenti della Troika violano quanto scritto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa ha identificato, da parte delle 38 nazioni dell’Ue, 180 violazioni della Carta Sociale Europea sulla tutela della salute e sulla protezione sociale.
La Commissione Europea, cerca di ridurre al minimo la possibilità dei parlamenti nazionali di discutere le decisioni di Bruxelles, rendendo così sempre più difficile il coinvolgimento dell’opinione pubblica. Infatti ultimamente si moltiplicano i “regolamenti” proposti dalla Commissione che devono essere semplicemente recepiti dagli stati nazionali ed hanno un iter completamente differente dalle direttive. Ciò è possibile grazie all’accondiscendenza dei governi nazionali. Per le direttive trascorrono in media due anni da quando ottengono il via libera dall’emiciclo di Bruxelles all’approvazione definitiva da parte dei parlamenti nazionali, un tempo prezioso che, in presenza di un attivo gruppo parlamentare antiliberista nel Parlamento europeo, può essere utilizzato per diffondere le informazioni e organizzare l’opposizione nei singoli Paesi.
Tutte le decisioni più importanti in campo economico/finanziario sono state assunte di comune accordo tra i governi di destra e di centrosinistra con la benedizione dei gruppi parlamentari dei popolari, socialisti e liberali, senza alcuna significativa distinzione.
Spesso ci sentiamo ripetere il ritornello: “E’ l’Europa che ce lo chiede”; si finge di ignorare che il Consiglio Europeo è costiutito dai rappresentanti dei governi nazionali i quali nominano i Commissari e che il Parlamento Europeo è formata da parlamentari eletti nei vari Paesi. Ad esempio, dopo l’ennesima tragedia dei migranti annegati nel mar Mediterraneo, molte sono state le voci, di diversa provenienza politica, che hanno denunciato la vergogna per le condizioni e per i tempi di detenzione nei CIE, dimenticandosi che la possibilità di trattenere un migrante fino a 18 mesi è contenuta nella direttiva “ritorni” approvata nel 2008 nel Parlamento Europeo da tutti i principali gruppi politici; ben ricordo l’opposizione del GUE, il gruppo della Sinistra Europea che non a caso la definì la direttiva “vergogna”. Spesso la memoria corta non è frutto di un incipiente Alzheimer ma è di una volontaria e cosciente rimozione.
Anche nell’Ue vi sarebbero regole e vincoli da rispettare; Andreas Fischer Lescano, professore di diritto europeo all’Università di Brema, ha denunciato come i recenti provvedimenti della Troika violano quanto scritto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa ha identificato, da parte delle 38 nazioni dell’Ue, 180 violazioni della Carta Sociale Europea sulla tutela della salute e sulla protezione sociale.
La Commissione Europea, cerca di ridurre al minimo la possibilità dei parlamenti nazionali di discutere le decisioni di Bruxelles, rendendo così sempre più difficile il coinvolgimento dell’opinione pubblica. Infatti ultimamente si moltiplicano i “regolamenti” proposti dalla Commissione che devono essere semplicemente recepiti dagli stati nazionali ed hanno un iter completamente differente dalle direttive. Ciò è possibile grazie all’accondiscendenza dei governi nazionali. Per le direttive trascorrono in media due anni da quando ottengono il via libera dall’emiciclo di Bruxelles all’approvazione definitiva da parte dei parlamenti nazionali, un tempo prezioso che, in presenza di un attivo gruppo parlamentare antiliberista nel Parlamento europeo, può essere utilizzato per diffondere le informazioni e organizzare l’opposizione nei singoli Paesi.
Tutte le decisioni più importanti in campo economico/finanziario sono state assunte di comune accordo tra i governi di destra e di centrosinistra con la benedizione dei gruppi parlamentari dei popolari, socialisti e liberali, senza alcuna significativa distinzione.
Spesso ci sentiamo ripetere il ritornello: “E’ l’Europa che ce lo chiede”; si finge di ignorare che il Consiglio Europeo è costiutito dai rappresentanti dei governi nazionali i quali nominano i Commissari e che il Parlamento Europeo è formata da parlamentari eletti nei vari Paesi. Ad esempio, dopo l’ennesima tragedia dei migranti annegati nel mar Mediterraneo, molte sono state le voci, di diversa provenienza politica, che hanno denunciato la vergogna per le condizioni e per i tempi di detenzione nei CIE, dimenticandosi che la possibilità di trattenere un migrante fino a 18 mesi è contenuta nella direttiva “ritorni” approvata nel 2008 nel Parlamento Europeo da tutti i principali gruppi politici; ben ricordo l’opposizione del GUE, il gruppo della Sinistra Europea che non a caso la definì la direttiva “vergogna”. Spesso la memoria corta non è frutto di un incipiente Alzheimer ma è di una volontaria e cosciente rimozione.
Tsipras un’opportunità da non perdere
L’importanza delle istituzioni europee rende evidente la necessità di avere, anche in quei luoghi, un’ efficace ed organizzata presenza antiliberista; è il ruolo che in questi anni è stato svolto, spesso in grande solitudine, dal GUE, il gruppo della Sinistra Europea.
Rafforzare questa presenza e aumentarne l’efficacia è l’obiettivo della lista Tsipras in Italia.
Alexis in una recente intervista ha ricordato come l’esperienza di Genova 2001 sia stata importante nel percorso che ha condotto alla nascita di Synaspismós prima e di Syriza poi. Forse qualcuno si ricorda quei giorni del luglio 2001, la nave colma di attivisti arrivata ad Ancona da Atene e la polizia italiana che impedisce lo sbarco e carica con violenza i giovani greci rincorrendoli sui ponti della nave.
Quando il leader di Syriza pone tra le condizioni per formare una lista nel suo nome, quella di: “…non escludere nessuno. Si deve chiamare a parteciparvi e a sostenerla prima di tutto i semplici cittadini, ma anche tutte le associazioni e le forze organizzate che lo vogliono” mi è spontaneo tornare con la mente al Genoa Social Forum, all’esperienza più inclusiva che il movimento sia stato capace di costruire negli ultimi decenni nel nostro Paese.
Non un miracolo, ma la consapevolezza che l’unità attorno ad obiettivi condivisi, era il nostro “bene comune” più prezioso, ed infatti il potere si è sentito in pericolo e ha reagito con tutta la sua violenza…….
L’opportunità è grande e forse anche unica, cerchiamo di coglierla tutti quanti insieme, senza veti né opportunismi.
L’importanza delle istituzioni europee rende evidente la necessità di avere, anche in quei luoghi, un’ efficace ed organizzata presenza antiliberista; è il ruolo che in questi anni è stato svolto, spesso in grande solitudine, dal GUE, il gruppo della Sinistra Europea.
Rafforzare questa presenza e aumentarne l’efficacia è l’obiettivo della lista Tsipras in Italia.
Alexis in una recente intervista ha ricordato come l’esperienza di Genova 2001 sia stata importante nel percorso che ha condotto alla nascita di Synaspismós prima e di Syriza poi. Forse qualcuno si ricorda quei giorni del luglio 2001, la nave colma di attivisti arrivata ad Ancona da Atene e la polizia italiana che impedisce lo sbarco e carica con violenza i giovani greci rincorrendoli sui ponti della nave.
Quando il leader di Syriza pone tra le condizioni per formare una lista nel suo nome, quella di: “…non escludere nessuno. Si deve chiamare a parteciparvi e a sostenerla prima di tutto i semplici cittadini, ma anche tutte le associazioni e le forze organizzate che lo vogliono” mi è spontaneo tornare con la mente al Genoa Social Forum, all’esperienza più inclusiva che il movimento sia stato capace di costruire negli ultimi decenni nel nostro Paese.
Non un miracolo, ma la consapevolezza che l’unità attorno ad obiettivi condivisi, era il nostro “bene comune” più prezioso, ed infatti il potere si è sentito in pericolo e ha reagito con tutta la sua violenza…….
L’opportunità è grande e forse anche unica, cerchiamo di coglierla tutti quanti insieme, senza veti né opportunismi.
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