Com’era
prevedibile anche il Movimento 5 Stelle sta facendo i conti in questi
giorni con la peggiore malattia della democrazia italiana, il partito
padronale. I quattro parlamentari espulsi dai M5S non hanno violato
alcuna regola del movimento, non hanno votato contro una proposta
grillina, non hanno trafficato per ottenere una poltrona dal nuovo
governo, non hanno rubato né si sono macchiati di comportamenti
immorali. Semplicemente, i quattro hanno osato criticare la performance
di Beppe Grillo da Matteo Renzi. Una critica non solo legittima, ma
doverosa. L’atteggiamento di Grillo nei pochi minuti di consultazione
con il premier incaricato era di un’arroganza insopportabile. Non solo e
non tanto al cospetto di Renzi, del quale potremmo serenamente
infischiarcene, ma nei confronti dei militanti 5 Stelle, i quali avevano
chiesto con un referendum online che il leader accettasse di
partecipare alle consultazioni.
Ora, Grillo avrebbe potuto benissimo
decidere da solo di non andarci. Ma siccome è schiavo di tutta una
retorica per cui lui sarebbe un semplice portavoce in un movimento dove
«uno conta uno», ha finto di affidare la decisione a una consultazione.
Una volta ottenuto un risultato a lui non gradito, il sì all’incontro
con Renzi, il capo ha deciso comunque di fregarsene in maniera plateale,
come tutti hanno potuto vedere. Qualunque parlamentare grillino dotato
di un minimo di dignità avrebbe dovuto protestare contro un simile
disprezzo della democrazia interna. L’hanno avuta soltanto quattro. Per
questo coraggio oggi il padrone li fa mettere alla porta dai servi.
È una storia vissuta cento volte in
questi venti anni, da quando la discesa in campo di Berlusconi ha
inaugurato la stagione dei partiti padronali. E stavolta non dobbiamo
prendercela con la casta, stavolta la colpa è tutta nostra, di noi
italiani, sempre contenti di votare a destra, a sinistra, oppure «né a
destra né a sinistra», partiti che hanno per unica ideologia un nome e
un cognome. Sono passati vent’anni di disastri e ancora la schiacciante
maggioranza degli italiani crede alla colossale panzana che un uomo solo
al comando possa garantire più efficacia, decisionismo e magari
trasparenza.
In questi vent’anni i nuovi partiti
padronali si sono rivelati assai meno decisionisti dei vecchi e finanche
più corrotti. Hanno garantito una penosa selezione del personale
politico, miracolando corti familiari o personali d’infimo livello. In
qualsiasi Paese un simile, clamoroso fallimento avrebbe provocato una
totale inversione di rotta. Invece da noi, la giusta ribellione che cosa
ha prodotto? Un partito ancora più padronale degli altri, dove il
proprietario ha addirittura depositato il marchio alla camera di
commercio e il partito gli serve anche (o soprattutto?) per vendere la
pubblicità sul blog, sempre di sua proprietà. Non è comico, è grottesco.
Non sorprende dunque che alcune ottime
persone, appassionate e in buona fede, finite quasi per caso nel mazzo
dei maggiordomi di turno, si ribellino contro il padre e padrone del
movimento. Stupisce semmai che siano così poche. I dissidenti sono
quattro, i solidali un’altra decina, quelli disposti a lasciare il
movimento se verranno espulsi i primi, un’altra dozzina. Ma dev’essere
frustrante anche per buona parte degli altri 120 parlamentari grillini
rendersi conto, giorno dopo giorno, d’essere ostaggi della semplice
mania di grandezza di un leader. Grillo non vuole cambiare nulla in
questo Paese, come tutti i padroni di partito che l’hanno preceduto, da
Bossi e Berlusconi a Bertinotti e Di Pietro. L’unico scopo di tutti lor
signori è sfruttare le disgrazie per ottenerne vantaggi.
Se Grillo avesse voluto cambiare
l’Italia, avrebbe partecipato all’elezione di un presidente della
Repubblica contrario alle larghe intese. Se poi avesse voluto abbattere
davvero le larghe intese, l’avrebbe già ottenuto cercando in Parlamento
alleanze su singole leggi e su sacrosante battaglie, come quella contro
l’acquisto degli F35 o i diritti civili, che avrebbero inevitabilmente
portato a separare la sinistra dalla destra. Se volesse cambiare
l’Italia, Grillo oggi parteciperebbe al processo di riforma
istituzionale, dalla legge elettorale all’abolizione del Senato,
mettendo in seria crisi il patto di ferro fra Renzi e Berlusconi.
Ma Grillo e Casaleggio sanno benissimo
che qualsiasi scelta in positivo comporterebbe una perdita di consenso, a
destra o a sinistra, come dimostra la vicenda dello ius soli, mentre
una protesta generica contro la casta si continuerebbe a vendere
benissimo sul mercato alla più vasta clientela possibile. Si tratta di
un calcolo molto cinico e quindi, per come funziona l’Italia, esatto.
Senza aver portato un solo risultato a casa in un anno intero e con un
esercito di 156 parlamentari a disposizione, il M5S otterrà di sicuro un
grande risultato alle elezioni europee di maggio. Il che è del tutto
inutile al Paese, ma assai vantaggioso per la Grillo&Casaleggio spa.
Questo non toglie che le brave persone,
gli onesti parlamentari grillini, si ribellino a un simile scempio della
volontà popolare. I giornalisti al seguito, una categoria fiorita negli
ultimi tempi intorno a Grillo come a chiunque altro abbia acquistato
potere politico, sostengono che Orellana e compagnia siano in procinto
di ottenere poltrone dal nuovo governo. Penso si tratti di un’infamia
lanciata contro chi dimostra un minimo di spirito critico. È probabile
che Orellana e compagni non entreranno nel governo Renzi e neppure nella
maggioranza, anzi si dimetteranno come hanno fatto altri bravi e onesti
militanti pentastellati prima di loro, offesi e delusi, lasciando il
campo agli opportunisti. Se sarà così, onore a loro.
CURZIO MALTESEda la Repubblica
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