Chi ci legge
con una certa assiduità sa benissimo cosa pensiamo di Grillo e del suo
“movimento”. In sintesi, quello che ne pensano i Wu Ming: un movimento
poujadista, trasversale, sempre più legato al mondo della piccola
imprenditoria commerciante, con venature xenofobe e intriso di
anarco-capitalismo selvaggio tipico di certe correnti tea party
nordamericane. Un movimento che in questi anni è servito come camera di
decompressione di alcune istanze del movimento di classe,
depotenziandole e inserendole in un frame liberista, antistatale e
pacificato (ad esempio, qui).
Bene, fatta questa premessa doverosa, non possiamo negare però la
capacità di Grillo nel saper sottomettere agli interessi del M5S alcune
dinamiche del mondo dell’informazione, una straordinaria capacità
mediatica di saper fare opposizione, di farsi percepire dalla gente
quale unica vera opposizione al sistema politico-economico presente in
Italia e in Europa. Nonostante
tutto quello che pensiamo di lui e del suo “movimento”, il confronto
avuto con Renzi qualche giorno fa dovrebbe essere analizzato per capire
come si fa opposizione, come si sta nel circuito mediatico della
politica costruendosi un rapporto di forza favorevole. Ci fosse una
forza comunista capace di esprimere una rappresentanza parlamentare,
questa dovrebbe insomma prendere a modello quel tipo di consultazione
andata in diretta via streaming: non
sei credibile, sei l’uomo delle banche e dei poteri economici, noi con
te non parliamo. Soprattutto, noi con te non siamo democratici. Sei il
nostro nemico e con te non è possibile alcun accordo di nessun tipo. Questo
ha detto Grillo a Renzi, in faccia e in diretta, e questo dovrebbe
essere quello che una forza comunista dovrebbe dire una volta
conquistata la rappresentanza parlamentare. Non gli accordi sottobanco, i
confronti sul programma, le tattiche elettorali con cui il sistema
politico-economico di volta in volta coopta le forze “sovversive” di
turno. Le esperienze di questi anni, nel campo della sinistra
“radicale”, sono andate tutte nella direzione opposta a quella
dimostrata da Grillo. Ministeri accettati, debolezze parlamentari, ogni
tipo di cedevolezza sul piano dei programmi: ogni volta che la sinistra
“radicale” (in sostanza, PRC e PDCI) è stata in Parlamento sempre si è
associata alle logiche del centrosinistra di turno. Come non ricordare
Rizzo&soci, che oggi favoleggiano di ritorni al PCI, appoggiare i
governi di centrosinistra che bombardavano la Jugoslavia o portavano
avanti la riforma delle pensioni, l’istituzione dei CPT o il pacchetto
Treu?
Insomma, se Grillo ha
qualcosa da insegnare ai movimenti di classe, questo è il rapporto tra
movimento e mediaticità, e di come far parlare di sé senza mai essere
manovrati dall’apparato di potere mediatico-politico. Che poi nel M5S
questa abilità sia al servizio di cui sopra, non c’è dubbio, così come
non c’è dubbio che una determinante quota di questa capacità mediatica
sia dovuta alle ricchezze e alle conoscenze di un uomo da quarant’anni
inserito in quel sistema, che ne conosce i gangli più oscuri e possiede
entrature importanti capaci di saperlo orientare nelle sue esternazioni e
comportamenti. Ma il concetto generale, e cioè che coi media non ci si
parla se non da una posizione di forza, e che col mondo della politica
parlamentare non ci si confronta se non per portare a casa punti
politici, questo dovrebbe essere assunto in maniera determinante dai
movimenti, che troppe volte in passato sono rimasti succubi di una
cooptazione mediatica che molte volte ne ha triturato le istanze
rimasticandole e reinserendole nel circuito dell’opinione pubblica in
maniera distorta e pacificata. Oggi dobbiamo una volta di più imparare
dal nemico.
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