C’è qualcosa in più di un discorso fatto a braccio, di una mano in
tasca, dello storytelling, della retorica ficcante, della battuta
pronta, della rottura degli schemi e delle pratiche formali e ingessate
delle istituzioni, a spaventarmi in quello che sta accadendo in queste
ore. E non è nemmeno il profilo
programmatico di Matteo Renzi. Certo, non mi è piaciuta la tanta, troppa
retorica contrapposta a quei pochi contenuti, la maggior parte dei
quali approssimativi o annunciati per grandi titoli. Tutti da verificare
e da vedere, tra l’altro all’interno di una maggioranza politica e di
una composizione del governo che non preannuncia niente di buono.
Ma c’è una cosa che più di ogni altra rappresenta un pericolo, per
chi vuole fare politica per cambiare le cose e anche per chi guarda alla
politica come strumento per migliorare le proprie condizioni di vita e
quelle degli altri: la cosa che più rimprovero a Renzi e al teatrino
della politica italiana è che oramai si può dire tutto e il contrario di
tutto senza imbarazzi. La politica vanta da anni una credibilità pari
allo zero. Il rischio è di vederla andare sottoterra. Questo, a mio
parere, sta avvenendo in questi giorni.
Matteo Renzi rappresenta forse la persona più eterodossa del
centrosinistra italiano negli ultimi 50 anni, quella che ha acquisito un
consenso enorme grazie al fatto di essere totalmente estraneo ai giochi
di palazzo, alla politica delle intese e delle spartizioni, quella
incapace di dire le cose per come stanno, senza girarci intorno,
parlando alle persone in maniera semplice e diretta. Penso che non fosse
il suo programma (molto discutibile) a rappresentarne la forza, ma il
fatto che il nuovo premier rappresentasse la rottura con il vecchio
modo, sempre perdente, della sinistra italiana di separare il dire con
il fare, di predicare bene e razzolare male, di contraddire le proprie
biografie, di sinistra, con azioni di destra, di non saper affrontare
con coraggio la destra e di sfidarla, di rompere certi schematismi per
guardare la realtà con obiettività. Era la forza di chi rischia senza
paura e non gioca per perdere.
Questo era Matteo Renzi. E per questo è stato votato alle primarie.
Perché parte del popolo del centrosinistra lo considerava l’ultima
speranza per vincere, per scacciare via le larghe intese, tornare al
voto con una nuova legge elettorale e dare a tutte e tutti la
possibilità, l’orgoglio di poter battere Berlusconi, non per via
giudiziaria, ma con un voto politico che avrebbe aperto una pagina nuova
nel nostro Paese.
Renzi oggi sdogana il peggio di quello che denunciava: che in politica quello che si promette non vale niente.
Ci si può candidare alle primarie contro le larghe intese, vincerle e
poi brindare con la destra per un governo politico di larghe intese
fino al 2018. Si può dichiarare di non voler mai governare con Alfano e
Giovanardi, di voler rottamare i giochi di palazzo, i vecchi riti della
politica romana e diventarne l’alfiere nel giro di poche ore.
Si può minacciare Letta di far cadere il governo se non avesse
istituito misure di civilità urgenti e necessarie come lo ius soli e
l’abrogazione della Bossi-Fini, e dopo averlo fatto fuori dichiarare che
“bisogna mediare, trovare un compromesso”. Ci si può irritare
platealmente e considerare indigeribile un rimpasto di governo, salvo
poi fare un governo che contiene la metà di quello precedente tanto
osteggiato.
Si può dichiarare di non aver paura del voto, di “difendere il
bipolarismo”, di avere il mandato dei soli elettori, di odiare i partiti
e poi applicare il manuale Cencelli per galleggiare al potere.
Questo è il danno più grande che Matteo Renzi sta portando alla
politica italiana: di aver illuso una volta ancora un popolo intero. Di
aver fatto quello che da anni fanno pezzi della sinistra: dichiarare
cose per poi farne altre. La doppiezza apparteneva a un modo vecchio di
far politica, diceva. Lui ora ne è diventato l’emblema assoluto.
Ps: c’era un modo per rimanere credibili nel difficile quadro
attuale: dire la verità. Che prendeva le redini del governo per
responsabilità e per fare quello che c’è effettivamente da fare: una
legge elettorale e tornare al voto, sfidando tutti. Anche coloro cui
tremavano le gambe per perdere il seggio. Non so come sarebbe finita, ma
la politica ne avrebbe guadagnato in dignità e coerenza.
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