Era stato deciso ai primi di febbraio, all’unanimità della RSU della Margaritelli Spa, di proclamare quattro ore di sciopero e un presidio presso la sede di Confindustria di Perugia, in vista dell’incontro con l’azienda previsto per il prossimo 5 marzo. Questo per protestare contro la delocalizzazione del lavoro e la probabile messa in mobilità di ben 100 lavoratori.
Poi nell’assemblea tenutasi il 19 febbraio, presso lo stabilimento di Miralduolo, il sindacato ha deciso di rinviare qualsiasi forma di protesta nei confronti dell’azienda, a data da destinarsi. Lo stesso sindacato che alla Nestlè - Perugina ha chiesto con estrema decisione i contratti di solidarietà (proclamando lo sciopero), alla Margaritelli, dopo cinque anni di cassa integrazione, ha deciso di non decidere, di temporeggiare ulteriormente, ben sapendo che lo strumento dei contratti di solidarietà potrebbe dare un più lungo periodo di respiro ai lavoratori, costringendo l’azienda a presentare un piano industriale.
Il fatto è che quando l’azienda è una multinazionale (magari straniera) e quindi la figura del “padrone” è evanescente, il sindacato, forte anche dell’appoggio politico locale, riesce a “dichiarare guerra” più facilmente. Quando il “padrone” fa capo ad un’importante realtà locale, per cui ne si conosce nome e cognome, la voce sindacale e della relativa classe politica si fa sempre meno forte: magari ci sono rapporti personali cordiali, magari la forza politica che è al governo della regione ha un buon feeling con il vertice, magari c’è di mezzo qualche contributo per le campagne elettorali.
A me sembra che questo diverso atteggiamento sindacale sia discriminatorio e crei, per così dire, lavoratori di serie A (Nestlè) e lavoratori di serie B (Margaritelli).
E questo è inaccettabile perché, ancora una volta, i soli lavoratori si vedono costretti a pagare il tributo più alto alla crisi.
Claudio Torcolo
Responsabile Provinciale Reisediamento luoghi di Lavoro del Partito della Rifondazione Comunista
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