domenica 9 febbraio 2014

MICHELE MARTELLI – “Democrazia” extraparlamentare?, Micromega

mmartelliMarx diceva, nel 1848, che il governo di ogni paese, e quindi anche il parlamento, era «il comitato d’affari della borghesia». Della borghesia: genitivo oggettivo, non soggettivo, come invece lo è oggi. Perciò oggi forse Marx direbbe che è «il comitato della borghesia che si fa i propri affari». Il che è particolarmente vero in Italia. Certo, nell’ultimo ventennio ogni governo è stato eletto dalla maggioranza parlamentare eletta a sua volta dalla maggioranza degli elettori.
Ma qui si è fermata la democrazia del voto, ridotta oramai ad una larva, svuotata da 8 anni di Porcellum anticostituzionale. La nuova legge elettorale renzi-berlusconiana, come è stato più volte ribadito, è un doppio Porcellum, a causa dei listini bloccati e del gigantesco premio di maggioranza, che offrirebbe parlamento e governo nelle mani di una minoranza (un terzo dei votanti). E con un’opposizione simbolica, ridotta numericamente al lumicino. Alla faccia di milioni e milioni di elettori! La democrazia, da governo dei molti, si trasformerebbe così definitivamente in oligarchia, in governo dei pochi.
Chi sono poi tali “pochi” è da chiarire. Certo, sono le segreterie e i capi dei partiti o dei movimenti-partiti, o delle loro correnti e fazioni interne. Una patologia istituzionale certamente grave, tuttavia ancora curabile con apposite terapie e nuove procedure. Il fatto è che in Italia i “poteri forti” dell’economia e della finanza non sono solo dietro partiti, governi e parlamento, come è sempre successo da Marx in poi, ma sempre più dentro, e talvolta nelle loro stesse cabine di comando. Vedi il caso del caimano arcoriano, ad un tempo imprenditore, e capo di partito, di governo e maggioranze parlamentari asservite, pron(t)e a decretare vagoni di indecenti leggi ad personam.
Da manuale poi il «governo tecnico» di Monti-Passera-Fornero, managers mandati direttamente dai direttòrii di banche e istituti finanziari e di rating nazionali e internazionali a imporre l’“austeritarismo”, che ha messo in ginocchio pensionati, giovani senza lavoro, famiglie già povere, parte dei ceti medi e persino numerosi piccoli imprenditori, alcuni finiti suicidi. Lo spread si è ridotto, ma l’Italia piange lacrime di sangue. Anche il governo delle larghe, poi strette intese, è stato voluto dai poteri forti. Che oggi però, a quanto pare, lo stanno sfiduciando. Sintomatico il titolo a piena pagina del “Resto del Carlino” odierno: «Squinzi licenzia Letta». Ma che? Letta un dipendente di Squinzi, il suo governo una protesi aziendale, anzi dentaria (sostituibile se e quando logorata e inefficace) della Confindustria?
La situazione politica italiana, del resto, si sta proiettando sempre di più fuori della Costituzione, che prevede l’autonomia del parlamento. Si critica, e a ragione, la tendenza decisionistica del Presidente della Repubblica. Ma è risaputo che la grande anomalia, che confligge molto di più col dettato costituzionale, è il fatto che i tre più grandi partiti sono diretti, o meglio comandati, da personaggi mille volte più decisionisti, e che sono, per scelta o per necessità, fuori del parlamento e del governo.
Due miliardari (come ha detto il vignettista Vauro), privati cittadini, più un sindaco (sostenuto, oramai è chiaro, da altri miliardari). Tutti e tre extraparlamentari. L’uno, l’ex comico, in tandem col suo doppio, il tetro apocalittico mediatico, dispone ad libitum di quasi tutti i suoi parlamentari (“suoi”, non del popolo che li ha eletti: e perciò con presunto vincolo di mandato, che ovviamente è anticostituzionale), in attesa del mitico consenso elettorale totalitario del 51%. Perché farsi eleggere in parlamento? Gli basta un twitt dal suo blog privato per far purtroppo tremare le istituzioni repubblicane.
L’altro miliardario, condannato al carcere o ai servizi sociali per frode fiscale (per aver cioè frodato lo Stato, ossia noi tutti) e perciò espulso dal Senato, in attesa di scontare la pena, che fa? Continua a far politica, presumendo di ergersi – il colmo degli assurdi! – addirittura a nuovo padre costituente di uno Stato che egli stesso ha fatto di tutto e di più per viol(ent)are e sfasciare. Il terzo, neosegretario di partito con le primarie, decide «in piena sintonia» col secondo, il delinquente di Arcore, in quasi privato conciliabolo, sia il cosiddetto l’Italicum sia profonde riforme istituzionali. Riforme che il parlamento può ritoccare, non modificare. Un diktat, che configura una vera e propria “democrazia” extraparlamentare. Ma sarebbe ancora democrazia?
Anche a questa anomalia, e non solo alla casta, all’illegalità e alla corruzione, bisogna opporsi, se si vuole difendere e salvare la Costituzione repubblicana!

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