Ma Silvio Berlusconi non era stato condannato in via definitiva per frode fiscale l’1 agosto del 2013, vale a dire ben 6 mesi fa? Non era stato dichiarato decaduto dal suo seggio di senatore il 27 novembre dello stesso anno? Ebbene, a giudicare dal suo insonne attivismo sulla scena pubblica italiana, sembrerebbe che quelle decisioni, gravi e solenni, siano stati pura finzione, una recita teatrale da lasciare alla memoria di un tabellone di cartapesta. E non mi riferisco qui alla vera e propria resurrezione che il personaggio ha vissuto nelle ultime settimane, grazie all’iniziativa di Matteo Renzi, poi coronata dall’apoteosi del sua salita al Quirinale. Quelle che osserviamo in questi giorni sono le sequenze ultime di un film che non ha mai cessato di svolgersi sui teleschermi nazionali.
Per la tv italiana Silvio Berlusconi non è mai stato condannato, né mai cacciato dal Senato della Repubblica. Chiunque abbia seguito i telegiornali dopo l’1 agosto scorso ha potuto osservare, tutte le sere, che Berlusconi era attivissimo e presente nei luoghi più disparati d’Italia. Come se nulla fosse accaduto, nonostante la voce fuori campo ricordasse di tanto in tanto le sue recenti vicissitudini giudiziarie. Anche quando non c’erano nuovi eventi da raccontare, le immagini di repertorio ci restituivano il leader sempre aitante e sorridente. La solita maschera da teatro dell’arte della nostra tradizione, ora vituperata da quest’ultima incarnazione politica. In tutti i telegiornali della tv pubblica, anche nel Tg3 di Bianca Berlinguer, si è svolta come una gara a ridare vitalità politica a un leader ormai fuori gioco. Attraverso le immagini del corpo in movimento, esibendo il viso mascelluto e volitivo del leader (già triste icona della tronfia virilità del Capo in un’altra Italia), le immagini televisive si sono sostituite alla realtà politica e giuridica, l’hanno di fatto rimossa, tolta via dalla pubblica percezione. Berlusconi era ed è sempre lì, presentissimo e attivo, nonostante tutto. Con una modalità davvero degna di studio, la tv ha creato la realtà politica effettiva, cancellando nell’immaginario collettivo le decisioni dei pubblici ordinamenti.
Ora, si impongono alcune considerazioni. La prima riguarda le varie velocità della giustizia italiana. Perché si impiega così tanto tempo ad applicare a un leader politico la pena che gli è stata comminata? Ricordo che per reati di gran lunga più lievi — anzi creati da leggi liberticide e incostituzionali — la tempestività della carcerazione è da efficienza americana. Gli sventurati che dal Nord Africa o dal Medio Oriente giungono ai nostri agognati lidi vengono rinchiusi nei lager chiamati cie, solo per aver profanato il suolo patrio con la loro presenza non richiesta. Mentre l’autorità giudiziaria è prontissima a riempire le nostre affollate carceri di piccoli spacciatori e fumatori di hashish. Rivestono, i casi di costoro, una così elevata pericolosità da giustificare tanta prontezza e durezza di pena?
Ma il problema centrale è la tv, sono i telegiornali a cui continuiamo ad assistere costernati tutte le sere. Conosciamo la replica dei giornalisti e la anticipiamo. I media devono riflettere la realtà politica effettiva e Berlusconi resta il capo indiscusso di un grande partito, che gode del consenso di milioni di elettori e dunque non si può non dargli rilievo, ecc. All’apparente buon senso di questa rivendicazione si può rispondere con due distinte considerazioni. C’è modo e modo di fare informazione. Si possono dare notizie di un leader, quando egli è protagonista effettivo di eventi rilevanti, che meritano di essere illustrati, senza per questo ricorrere a minuti e minuti di immagini, che hanno un evidente potere di creare realtà fittizia. E qui, naturalmente, occorrerebbe avviare una qualche discussione critica sul formato dei nostri tg. Ogni sera essi allestiscono la messinscena di un teatro sempre più insensato, dove si succedono, in una passerella iterativa e stucchevole, i teatranti di una politica che ormai sembra fare il verso a se stessa. È vero, mostrare il volto effettivo del potere — e il ceto politico è potere, anche se oggi decaduto — giova alla democrazia. I cittadini possono così vedere da vicino i personaggi mediocri che li governano, togliendo sacralità agli arcana imperii del comando. Ma è evidente che quando si oltrepassa una certa misura, quando la mediocrità dei recitanti si accompagna a una lunga storia di inettitudine e corruzione, le loro esibizioni quotidiane servono ad accrescere il disincanto di massa nei confronti della politica e della democrazia. Senza dire che l’onnipresenza del ceto politico italiano nel nostro quotidiano immaginario immiserisce lo sguardo, rattrappisce l’orizzonte verso il vasto mondo che gira intorno a noi.
Ma la seconda considerazione da fare nel caso di Berlusconi non è di minor rilievo. Ma come si fa a considerare come un qualunque leader di partito questo personaggio? Com’è noto, a parte la grave condanna definitiva della Cassazione, egli ha comprato i giudici nel processo Imi-Sir, ha subito una prima condanna per sfruttamento della prostituzione minorile, è indagato per l”acquisto” di senatori e per vari altri reati infamanti, ha oltraggiato il Parlamento italiano con la storia della nipote di Mubarak, ha utilizzato il governo della Repubblica a fini personali e aziendali come mai era accaduto nella storia d’Italia. Insomma ha fatto strame del nostro patrimonio più fragile: la moralità civile. La sua rivalutazione “in immagine”, da parte della tv, ricorda molto da vicino quella che ha graziato a suo tempo Giulio Andreotti. Si ricorderà: una sentenza della Cassazione del 2 maggio 2004, che lo assolveva da vari reati, riconosceva, tuttavia, che egli aveva avuto rapporti con la mafia sino al 1980. Cronologia misericordiosa delle sentenze italiane! L’uomo più potente d’Italia aveva avuto dunque rapporti con i criminali che avevano ucciso e uccideranno Boris Giuliano e Cesare Terranova, il giovane Livatino, Dalla Chiesa e Rocco Chinnici, Falcone e Borsellino e tanti funzionari dello stato prima e dopo il 1980. Ebbene, Andreotti venne allora accolto come un eroe e conteso dalle tv nelle più varie trasmissioni di intrattenimento. Una capovolgimento della realtà inimmaginabile in qualunque paese del mondo dove l’umana decenza vale qualcosa. Ho già scritto queste cose quando Andreotti era in vita.
Da uomo del Sud, che ha studiato il mondo meridionale, ho nutrito l’aspettativa razionale, oltre che la speranza, di vedere la parte indenne da mafie del nostro Paese, le ragioni del Centro-Nord, sconfiggere e sradicare dal Sud le sue criminalità storiche. Com’è noto, la storia ha seguito il corso inverso. Sono state le mafie del Sud a colonizzare il Nord, a radicarsi nei territori e nelle economie di quelle ragioni. Un approdo storico spaventoso, che non ha turbato più di tanto il nostro ceto politico. E di sicuro una delle cause sistemiche di questo percorso risiede nella fragilità dello spirito pubblico nazionale, nella illegalità come principio di comportamento individuale e collettivo, nella difficoltà secolare degli italiani di sentirsi nazione, comunità di uguali tenuta insieme da pari diritti e doveri. Berlusconi, che è figlio di questa perversa antropologia, le ha fornito una forma politica di massa, dandole dignità e potenza di governo.
Noi siamo ancora immersi in questa devastazione di guerra dell’etica pubblica nazionale, che è causa di innumerevoli danni al nostro Paese. Forse costituisce la ragione fondamentale del nostro declino. Che milioni di italiani diano ancora il loro consenso a un noto pregiudicato, non dovrebbe indurre i giornalisti televisivi a inseguire la loro audience, dando loro in pasto, ogni giorno, il corpo glorioso del capo. Dovrebbe al contrario farli riflettere sull’enormità della cosa e sul compito civile cui sarebbero obbligati. In un paese come il nostro, dove la grande maggioranza dei cittadini non legge né libri né giornali, che si forma un’opinione politica ascoltando la tv, mentre pranza o bighellona in casa, la verità dei fatti rischia costantemente l’esilio. La maggiore azienda culturale italiana, la tv pubblica, ha contribuito non poco e continua a contribuire a rendere incerto il confine tra verità e menzogna, a rendere opinabile il diritto, a far diventare evanescente la sanzione delle leggi, a capovolgere i principi stessi della moralità. In una parola, anch’essa lavora per rendere scadente l’etica civile dell’Italia.
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