lunedì 10 febbraio 2014

Lavorare 300 ore in più della Germania e guadagnare la metà

Il paese Ue più stakanovista? La Grecia: 2.034 ore di lavoro pro capite nel solo 2012. Quelli più “indolenti”? Germania e Olanda: meno di 1.400 ore
italia_lavora_300_ore_in_più_della_germania_ma_si_guadagna_la_metà-400x223Altro che “lazy southern”, i cugini pigri del sud Europa. Numeri Ocse alla mano, la Grecia è il paese Ue dove si lavora di più: nel solo 2012 si sono registrate 2.034 ore per dipendente. Quasi 300 in più di una media europea di 1.756. Il dato è in lievissimo calo rispetto alle 2.039 del 2011, ma ha visto un’escalation continua dall’implosione della crisi in poi: 1.950 ore nel 2008, 1.997 ore nel 2009, 2.016 ore nel 2010. I salari medi, in compenso, marciano al ribasso: 20.100 euro nel 2012, contro una media Ocse di 30.200 euro. Instabilità a parte, cosa non quadra? Secondo la ricerca, la forbice tra quantità e qualità si scava in un’organizzazione “irrazionale” del lavoro. La Grecia adotta misure minime, o inconsistenti, per qualsiasi forma di part time e work-life balance, l’elasticità vita-lavoro che fa impennare la produttività a nord delle Alpi. Con il risultato che un’ora di lavoro, sempre nel 2012, oscillava poco sopra un valore di 34 dollari Usa: 20 in meno rispetto ai 59,5 di Francia e Danimarca.
L’Italia scivola di poco sotto gli standard Ue: 1.752 ore lavorate, contro le 1.756 dei paesi nell’orbita Ocse. Le cifre sono in discesa, rispetto a una media di 1770 ore registrata tra 2009 e 2011. Ma il paragone con centro e nord Europa si sbilancia comunque a nostro favore: nel 2012, i dipendenti italiani hanno trascorso in studi privati, aziende e stabilimenti 200 ore in più dei colleghi della Danimarca e almeno 300 in più rispetto a quelli sotto contratto ad Amsterdam o Monaco di Baviera. Anche qui pesa in negativo la produttività: secondo dati Censis, un’ora di lavoro in Italia non vale più di 32 euro, con un calo dell’1,5% registrato tra 2007 e 2012. Leggermente più generose le stime Ocse: poco più di 46 dollari nel 2012, l’equivalente di 34 euro a tasso corrente. I deficit? Uno studio Ergo-Mtm punta il dito sui metodi di lavoro: interventi su un sistema “ingessato” potrebbe rimbalzare del doppio esatto il valore tra ore lavorate e Pil prodotto. Nel 2012, lo stipendio medio per lavoratore ha sfiorato i 29mila euro all’anno.
In un Portogallo sempre più “entroykado”, come i più scettici ribattezzano l’impatto dell’austerity, si ritaglia uno scarto da record tra ore lavorate, produttività e salario medio. Stando alle sole cifre Ocse, a Lisbona e dintorni si sono registrate 1.691 ore di lavoro nel 2012, di poco sotto alla media Ue di 1756. A gustare i conti, una produttività “oraria” da codice rosso: appena 34 dollari Usa per 60 minuti di lavoro, contro una media Ue di 52,2 dollari e Ocse di 47,7 dollari. Anche i salari medi sono in caduta libera: 15.700 euro, meno meno della metà rispetto a una media Ocse di 32.400 euro.
La Spagna segue i vicini di casa del Portogallo, con 1.686 ore annue per lavoratore. A prima vista, l’indice di produttività sembra meno critico di quelli registrati a Lisbona o Atene, con 50 dollari a tasso corrente (37 euro) per 60 minuti di attività professionale. Nel 2012, i lavoratori di Madrid, Barcellona o Siviglia hanno incassato una media di 25.600 euro. I limiti? L’Istituto de estudios economicós evidenzia un sistema “illogico” di distribuzione e organizzazione degli impieghi: in pochi lavorano troppo, in tanti non lavorano proprio. Lo strumento del part time, che secondo l’analisi dell’Iee ha inciso sul rialzo dal 48% al 58% di assunzioni femminili in Germania, non attecchisce per più del 14% in tutta la Spagna. Senza contare la routine, “ereditata dalle tradizioni passate”, del sistema di sieste che impone intervalli di più di due ore nella tabella di marcia quotidiana.
Cento ore di lavoro meno, quasi 10 mila in euro all’anno in più. Lo scarto tra Danimarca e sud Europa si rispecchia nella doppia differenza tra monte orario e reddito pro capite: secondo le stime Ocse, a un totale di 1.546 ore lavorate corrisponde uno stipendio annuo di 35mila euro. La produttività per ora è pari a 59,5 dollari, quantificata da dati Censis 2010 come 48 euro netti ogni 60 minuti di lavoro. La strategia di lavoro sta tutta nel principio di “flex-security”, ibrido tra flessibilità e welfare che accelera sulle pratiche di settimana corta, ricambio generazionale e turn over.
In Spagna si lavora 1.686 ore l’anno e il reddito pro capite non va oltre i 25.600 euro. In Germania, dove il part time è prassi e l’incidenza di professioniste donne è volata del 10% dal 2000 ad oggi, le ore spese in azienda sono meno di 1.400 e il salario-base viaggia sui 44.800 euro.
Cosa cambia? Secondo i ricercatori dell’Istituto de estudios economicos, la marcia in più della Germania si è ingranata con il massiccio impiego delle “short-week”, le settimane corte che rinforzano flessibilità e ricambio interno. Senza part time, a quanto rivelano anche report in lingua tedesca, il tasso di disoccupazione si sarebbe gonfiato due volte tanto rispetto a quanto verificatosi dal 2007 ad oggi. E la produttività oraria non si avvicinerebbe neppure ai 58,5 dollari registrati dalle statistiche Ocse per il 2012.
I Paesi Bassi, in vetta a qualsiasi classifica Ocse nel work-life balance, si confermano nello studio dell’Iee: appena 1.381 le ore di lavoro pro capite registrate nel 2012.
La produttività è elevata, con una media di 60,2 dollari all’ora che supera la Germania (58,5) e perde terreno solo rispetto a casi d’eccellenza come quelli dell’Irlanda (71,2) o del minuscolo Granducato di Lussemburgo (82,1).
Il salario medio? Sfiora i 45mila euro l’anno, con quasi 9 dipendenti (l’86%) al lavoro per 34 o meno ore a settimana.

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