mercoledì 13 marzo 2013

Pesci rossi senza acqua. Siamo vivi? di Ugo Boghetta


Pesci rossi senza acqua. Siamo vivi?


1 – Le elezioni ci hanno terremotati un’altra volta: l’ennesima. Ma questa volta, sotto le macerie, possiamo rimanerci. In passato abbiamo fatto ricorso alla grande risorsa umana rappresentata dai militanti. Temo che ora non basti. In questi anni abbiamo lavorato, unici, per un polo della sinistra, ma non ci siamo riusciti.  Abbiamo sperato che Rivoluzione Civile fosse un salvagente per ripartire. Non ha salvato niente: è pervenuta fuori tempo massimo. È fallita in malo modo come  la FdS. Dobbiamo chiederci fino in fondo  perché sia così difficile creare un polo di sinistra. Certo le liste e la campagna potevano essere migliori nel merito e nel metodo, ma pensiamo davvero che il risultato sarebbe cambiato di molto? Le varie sinistre, divise fra opzioni strategiche diverse, sono state tutte dimezzate nelle loro potenzialità; anche SEL che pure godeva della rendita del voto utile.
Grillo ha un progetto pensato e praticato con determinazione strategica da anni.  Noi non ancora. Le sale erano piene di curiosi ma le urna vuote (accadde anche per “l’arcobaleno”). Le piazze sono piene di elettori ma non di movimenti radicali continuativi. Il pesce rosso è rimasto senza acqua. Abbiamo perso egemonia culturale. Il superamento dei concetti di destra sinistra è avvenuto nei fatti: sta nell’esperienza delle persone. Le sorgenti di concetti come: comunista, sinistra, riforme sono state inquinate dallo scioglimento del PCI (caso unico in Europa), dagli intellettuali, da Berlusconi, ma anche da Bertinotti e Vendola. E ora sono ulteriormente seccate da Grillo. E “la Rifondazione” non è mai sbocciata.
Abbiamo una lettura e una proposta adeguata delle (plurale) crisi del paese che non sia pan-sindacalista o economicista? No. Fatichiamo a far politica. Non studiamo più. Pensiamo di rappresentare il sociale senza la mediazione di un progetto ma attraverso la somma di temi, conflitti, ceti.   La mancanza di un progetto forte trasforma le elezioni ed i contenitori in strategie. La discussione è stantia e finiamo per parlare di noi a noi stessi. Ma fuori di noi la situazione non è migliore. Ora siamo ora costretti a vedere la situazione con gli occhi della storia e non della cronaca. Questa è la prima questione.  Basta improvvisazioni.
2 – La seconda questione riguarda la vittoria del berlusca-liberismo che ha imposto ancora una campagna come mercato elettoralistico dove non si confrontano modelli, sistemi, impianti alternativi. Una campagna che esclude chi non fa spettacolo, chi non crea eventi. Il maggioritario fa il resto. Ciò ha permesso a Berlusconi di resistere comunque; ma Grillo vive della stessa acqua. Il tutto perpetua l’anomalia italiana di un centro liberista quasi inesistente, una destra che rappresenta la lumpen-borghesia e un lumproletariato, un centro sinistra che mischia liberismo europeista e una vecchia base di sinistra moderata. Ora  c’è l’aggiunta di un M5S con un impianto tutto contraddittorio. E le elezioni non risolvono e perpetuano l’annoso scontro fra le  due borghesie che dura dai tempi di Craxi: causa non secondaria della consunzione del sistema politico istituzionale e della crisi ormai strutturale del paese. Il terremoto continua.
4 – Ma l’analisi delle elezioni non basta. Sono già il passato. Capire cosa è successo non ci garantisce che capiremo le prossime.
Terza questione. Tutto ciò richiede una revisione profonda della nostra lettura del paese e  l’elaborazione di un Progetto, di un blocco sociale, di un’elaborazione comunicativa ( solo noi non ci poniamo questo problema!).  Vanno messe a tema questioni forti: teoriche (direi anche filosofiche), culturali, contenuti, linguaggi, forme organizzative.  Penso che la proposta debba girare attorno all’intervento pubblico, “conditio sine qua non” per un cambio di paradigma economico e sociale al fine di rilanciare una buona occupazione, un buon lavoro, un buon ambiente, ma anche per cominciare a cambiare i rapporti sociali. Ciò comporta la rivendicazione della sovranità nazionale come declinazione concreta del fiscal compact: altrimenti incomprensibile.  Questo è incompatibile con l’Europa? Allora fuori. Serve elaborare un’idea di Stato e un’idea di democrazia partecipata finalizzata   come dualismo e alternativa a quella rappresentativa: in crisi con Grillo o senza Grillo. Serve una rielaborazione moderna della “dittatura del proletariato” come democrazia che escluda le classi finanziarie, tecnocratiche. Ma è necessario mettere al centro obiettivi come la revisione del Concordato. Tutto ciò porta consensi? Nell’immediato non so.  Ma è un idea strategica che parte dai fatti: socializzazione delle risorse economiche finanziarie in atto (Stato, risparmio), lavoro, salario, pensioni, consumi interni, beni comuni, la laicità, su cui fare una battaglia culturale ancora prima che politica. Un progetto da praticare in modo coordinato, creando eventi coerenti, cambiando il modello organizzativo: ora agiamo come un armata brancaleone. Un’ elaborazione che deve certo tener conto dell’evolvere delle prossime vicende parlamentari e da costruirsi nello spazio dell’evolversi magmatico del PD ed in particolare del M5S che ora deve fare i conti con un programma elaborato in connessione con i conflitti ed un voto eterogeneo, merito del vaffa. E il conflitto fra eletti, democrazia interna e  Grillo/Casaleggio, elettorato vasto, presenza in Parlamento è destinato ad ampliarsi. Già alcuni nodi sono venuti al pettine.
Il M5S – tuttavia – ha dimostrato che esiste uno spazio per una posizione autonoma, radicale, di cambiamento alternativa ai due poli, anche se non nell’attuale dimensione elettorale.  Uno spazio che, in questa crisi, consentirebbe la contesa fra il variegato campo liberal-liberista e quello dell’alternativa. Basta, quindi, con la retorica unitaria. Il problema di SEL è il campo in cui militerà.
Si può perdere alle urne, ma almeno diamoci idee e strumenti per combattere! Il militanti del PRC hanno diritto a non continuare a fare da sherpa a progetti vaghi o altrui.
Alle prossime elezioni possiamo presentarci e chiedere di nuovo il voto senza un progetto di prospettiva, di cambiamento, “un contenitore” democratico, condiviso su cui sia possibile scommettere e spendersi: quorum o non quorum? In caso contrario ci si proporrà di rintanarci sotto le sottane di Vendola che sta sotto quelle del PD (guidato da Renzi?). Per far che? Per fare come quella tipologia bolognese chiamato: “umarell”: sono quei pensionati che appoggiati alle transenne dei cantieri commentano e danno consigli a chi lavora!

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