Il 2014 può essere un anno di svolta. Il governo delle
piccole (ma potenti) intese sta ulteriormente impoverendo il paese,
alternando il solito provincialismo fatto di inciuci, scandali e
corruttele al governo tecnocratico dell’austerity. La stagione delle
grandi e piccole coalizioni ha svuotato ancor di più in modo sostanziale
la democrazia e le sue Istituzioni, conservando e rafforzando gli
stessi assetti politici e di governance che hanno generato la crisi.
Cresce in maniera preoccupante, in Italia come in altri paesi, un clima
sempre più favorevole al populismo, ai nuovi nazionalismi, xenofobi e
autoritari. Questo è soprattutto il frutto delle politiche degli ultimi
anni, ma è anche l’esito dell’inefficacia dell’azione politica delle
sinistre europee che, sul terreno del liberismo economico e della
governance tecnocratica, hanno perso la sfida di costruire un’Europa
realmente democratica e dei popoli.
I
recenti sviluppi del quadro politico italiano, con l’ascesa di Renzi e
del Movimento Cinque Stelle, non sembrano invertire queste tendenze. Al
contrario, rischiano di comprimere e mutare il rapporto tra processi
partecipativi e l’esercizio del potere politico, rafforzando la pratica
della delega e l’idea leaderistica dell’uomo solo al comando.
In
questo contesto, il dibattito sul presente e il futuro della sinistra
politica non può limitarsi allo schematismo dei posizionamenti europei o
delle alleanze italiane, ma deve trovare fondamento nel vivo della
società. Prima di chiederci da che parte starebbe la sinistra
italiana nel Parlamento europeo, sempre che riesca a entrarci, vorremmo
chiederci da che parte sta la sinistra italiana nella nostra società.
La logica dell'austerity e del neoliberismo scarica su settori sempre
più ampi della popolazione tutte le contraddizioni della crisi globale,
alimentando sacche sempre più profonde di rabbia e di indignazione.
Stare da questa parte e costruire a partire da questo punto di vista un
progetto di cambiamento significa scardinare la finta dicotomia tra
europeismo e populismo, e proporne invece una nuova e autentica, quella
tra giustizia sociale e democrazia da un lato austerity e dittatura
della finanza dall'altro.
Il
campo della resistenza e dell’alternativa all’austerity e al
neoliberismo, per la sinistra, non è una scelta politicista o dogmatica,
un’opzione di posizionamento ma uno spazio di possibilità per ritrovare
quel popolo senza il quale non c’è resistenza, non c’è alternativa, non
c’è sinistra. Presidiare questo terreno di scontro significa,
per la sinistra, ritrovare se stessa, e significa contenderlo al
populismo in tutte le sue forme, da quella tecnocratica a quella
plebiscitaria a quella autoritaria. Davanti a una crisi così profonda la
sinistra o è efficace o non è; per questo bisogna mettere al centro di
questa discussione la prospettiva di una riforma della politica (dalla governance europea ai meccanismi di partecipazione e rappresentanza a tutti i livelli) e di una svolta economica
(un nuovo welfare contro la precarietà e un intervento pubblico
finalizzato a orientare l’economia, generare nuova occupazione e
tutelare i beni comuni). Si tratta di compiti storici, dei quali
dobbiamo avere il coraggio di essere all’altezza, consapevoli del fatto
che è interesse di tutti (partiti, associazioni, movimenti) la
costruzione di una sinistra popolare, radicata e indipendente.
L’alternativa
all’austerity e al neoliberismo va praticata, prima ancora che sul
piano della collocazione nel dibattito europeo, a partire
dall’opposizione al governo in Italia, nelle piazze come nei luoghi
istituzionali. Le elezioni amministrative e politiche dei
prossimi mesi possono essere tappe di questo percorso di costruzione, a
patto che le si attraversi come tali, sperimentando pratiche di
partecipazione e inclusione che sappiano davvero riaprire la partita,
invece di ripetere il solito teatrino dei tatticismi, difendendo
orticelli che non esistono più. Il fatto che in molti, da singole e
autorevoli personalità a realtà organizzate, siano disposti a sostenere
la candidatura di Alexis Tsipras, alla presidenza della Commissione
europea, in una proposta di rottura degli equilibri di compatibilità a
livello continentale, è indicativo del fatto che il campo della
resistenza e dell’alternativa all’austerity e al neoliberismo è uno
spazio di possibilità fino a poco tempo fa impensabili per la sinistra.
Ma
non è agitando la bandierina dell’appartenenza europea in sé, e
usandola magari come alibi per nuove divisioni, che quello spazio di
possibilità potrà essere esplorato. Serve il coraggio di investire in un percorso di alternativa partecipata dal basso,
vero, in cui l’opposizione alle larghe intese, la battaglia contro
l’austerity e il neoliberismo alle europee e la proposta di una
prospettiva di governo nuova e radicalmente alternativa all’esistente
siano tappe di un lavoro comune.
È all'interno di un percorso come questo che una proposta nuova e unitaria a sinistra, di una lista per l’Altra Europa, può avere senso.
Se il sostegno alla candidatura di Alexis Tsipras non viene
interpretato come un marchio identitario ma come il punto di partenza di
un processo espansivo di ricostruzione di una presenza ambiziosa della
sinistra nella società italiana, allora può essere un'opportunità per
tutti. Ma perché questo sia possibile c'è bisogno che tutti, nessuno
escluso, si impegnino a una radicale discontinuità nelle pratiche della
politica. Non ci sono scorciatoie: non è semplicemente
attaccandosi al treno di candidature altisonanti o inventandosi nuove
formulette per passare gli sbarramenti che ci muoveremo dalle sabbie
mobili in cui siamo impantanati. Servono coraggio, pazienza e
generosità, serve che dalle esperienze che hanno avuto successo in altri
paesi si portino a casa meno foto ricordo con il leader e più lezioni
concrete su come coniugare radicalità e prospettiva di governo,
conflittualità e consenso sociale, organizzazione politica e
cooperazione con i movimenti sociali. Serve l'impegno a
proporre una discussione per un’Altra Europa, attraverso la
ricostruzione di un’autonomia progettuale su temi e pratiche, per
rappresentare e dare voce ai bisogni di chi, nella crisi economica,
democratica e ambientale, si confronta suo malgrado, con l’avanzare di
povertà e ingiustizia.
Le
elezioni europee possono essere l’occasione per sperimentare una nuova
proposta di sinistra, sullo scenario politico italiano e continentale,
come opzione utile all’alternativa e al cambiamento. Per coglierla c'è
bisogno che tutti si mettano a disposizione di un processo ampio,
partecipato e innovativo. Non possiamo permetterci di ripetere
gli errori del passato, dobbiamo avere il coraggio di investire in un
percorso più lungo di una tornata elettorale, che ci permetta di
sperimentare pratiche realmente alternative all'attuale miseria della
politica. Il sistema elettorale delle europee non costringe una
eventuale ed auspicabile lista per l'Altra Europa ad avere una cabina di
regia pesante, non ci sono liste bloccate da discutere, discipline
rigide da rispettare, molto dovrebbe e potrebbe invece vivere sui
territori, nei collegi, in basso. Dobbiamo avere il coraggio di
misurarci sui contenuti in maniera davvero partecipato, condividendo una
piattaforma politica attraverso il protagonismo reale (anche
utilizzando con maggior consapevolezza le potenzialità del
web), coinvolgendo militanti, attivisti e di soprattutto di quei
cittadini sfiduciati e giustamente rabbiosi e indignati, che chiedono a
gran voce una discontinuità politica con il passato e di cedere il passo
ad una stagione espansiva per i diritti individuali e collettivi,
civili e sociali, per costruire un’Altra Europa che metta al primo posto
la lotta alle ingiustizie e alla povertà, i bisogni dei popoli e non i
diktat finanziari.
Proporre
questa discussione in forma aperta, liberarla dai caminetti correntizi e
dalla spocchia dell’autoreferenzialità tutta legata alle singole
personalità, e al contrario invece proporre un meccanismo di
partecipazione su larga scala, è l’unico modo per cambiare passo e
rimettere in discussione rapporti di forza frutto anche degli errori del
passato. Serve lavorare città per città, provincia per provincia,
quartiere per quartiere, per intervenire sulla scissione sempre più
netta tra le élite politiche ed economiche e la cittadinanza, per
tessere nuovi legami di cooperazione e partecipazione, per scrivere una
nuova storia di cambiamento.
Collettivo Quaderni Corsari
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