“Compagne e compagni , per rispetto alla Organizzazione nella quale
per molti anni abbiamo militato vi informiamo della nostra volontà di
rimettere il nostro mandato da tutti gli incarichi sino ad oggi
ricoperti in Cgil. Da oggi non saremo più militanti di questa
organizzazione sindacale e rinunciamo alla nostra condizione di iscritti
alla Cgil. Maurizio Scarpa e Franca Peroni, da anni dirigenti della
Cgil (Filcams e Pubblico Impiego), dicono addio al sindacato diretto da
Susanna Camusso, ormai “non più riformabile”. “Una decisione non
facile”, come scrivono nella loro lettera “che è venuta maturando nel
tempo e che è arrivata fino alla “divergenza strategica”. Franca Peroni
sino ad ora direttivo nazionale Cgil e già segretaria nazionale Fp Cgil,
e Maurizio Scarpa sino ad ora vice presidente nazionale Cgil, già
segretario nazionale Filcams Cgil, hanno scritto una lettera al
direttivo nazionale e alla leader della Cgil Susanna Camusso.
L’ultimo accordo sulla Rappresentanza è stata la goccia che ha fatto
traboccare il vaso? No, per niente. Come sottolineano, non li ha
sorpresi più di tanto, “perché la domanda che ci ponevamo non era ‘se’,
ma ‘quando’ . Il ‘quando’ è arrivato ed è per noi solo l’ultimo anello
di una catena il cui inizio ha radici lontane quando la maggioranza di
voi, come massimo gruppo dirigente di quella che fu la nostra
organizzazione, ha acconsentito ad un progressivo cambio della natura e
dei valori della Cgil”. E il primo valore messo in discussione è stato
proprio quello del rapporto con i lavoratori, a cui si è preferito
anteporre la strategia della cosiddetta unità sindacale con Cisl e Uil.
Non solo, la distruzione dell’indipendenza e dell’autonomia è arrivata
fino al punto di allacciare rapporti sempre più stretti sia con il
Governo che con Confindustrria. Una vera e propria “caporetto sociale”,
che ha colpito il vissuto quotidiano degli oltre 20 milioni di
lavoratori e lavoratrici dipendenti che avremmo dovuto rappresentare”.
Nel contempo si è consentito a chi si è succeduto al Governo di
vantarsi in Europa di aver cancellato i più importanti diritti del mondo
del lavoro (pensioni, art. 18, contratti collettivi, salario,
estensione della precarietà) senza alcun conflitto sociale.
“Naturalmente queste scelte non potevano non avere anche una ricaduta
nella vita interna democratica e nel sistema organizzativo”.
Insomma, dentro il sindacato quello che è accaduto in relazione a
questa “nuova linea” è stata l’umiliazione e la emarginazione di tutti i
dirigenti che hanno sostenuto le tesi alternative, dove solo le
“abiure” di quelle posizioni hanno consentito, dove non si era
maggioranza, di mantenere un ruolo politico nell’organizzazione.
Scarpa e Peroni accusano la Cgil di aver messo in soffitta la ricerca
del consenso e sviluppato “l’acquisizione delle risorse economiche per
la conservazione della struttura interna. Qui si è scelta una via di non
ritorno. Ormai consistenti risorse economiche non provengo no dalla
libera e cosciente iscrizione dei lavoratori e delle lavoratrici, ma da
altre forme di finanziamento, tutte vincolate o alle decisioni dei
Governi (patronati, CAF) o dall’obbligo di sottoscrivere il contratto
collettivo (enti bilaterali e quote di servizio). In molte federazioni
si potrebbe vivere senza iscritti, ma non senza le entrate 'extra
tesseramento'. L’impegno assunto anni fa di ridurre drasticamente queste
forme di entrate, si è tramutato nel suo contrario, “con un incremento
esponenziale, abbracciando definitivamente il modello CISL di
sindacato.Una decisione tanto grave quanto assunta senza alcuna
discussione interna".
Scarpa e Peroni non hanno annunciato dove sarà diretto il loro
impegno futuro. Tuttavia, per domani in via Cavour (Centro congressi)
hanno convocato una conferenza stampa (ore 13) al termine dei lavori di
una assemblea di delegati Usb.
Perchè lasciamo la CGIL
Franca Peroni - Maurizio Scarpa
Ecco il testo della lettera che Franca Peroni e Maurizio Scarpa
componenti dell’area “La CGIL che vogliamo” hanno mandato alla
Segreteria nazionale confederale ed alle categorie nazionali Funzione
Pubblica e Filcams CGIL, con la quale comunicano la decisione, di
rimettere il loro mandato da tutti gli incarichi sino ad oggi ricoperti
in CGIL. Sono le motivazioni che condivido e che mi hanno portato
qualche mese fa a disdettare la mia tessera FIOM. Oltre al testo della
lettera che potete leggere qui sotto potete ascoltare l’interessante
intervista a Maurizio Scarpa
“Compagne e compagni, per rispetto alla Organizzazione, nella quale per molti anni abbiamo militato, vi informiamo della nostra volontà di rimettere il nostro mandato da tutti gli incarichi sino ad oggi ricoperti in CGIL.
Da oggi non saremo più militanti di questa organizzazione sindacale e rinunciamo alla nostra condizione di iscritti alla CGIL.
Una decisione non facile che è venuta maturando nel tempo.
Il nostro giudizio critico sulla strategia e sui risultati della contrattazione è da tutti voi ampiamente conosciuto. Non è certo l’ultimo accordo sulla rappresentanza a farci prendere questa decisione così drastica.
A differenza del giudizio di alcuni compagni e compagne, con cui abbiamo condiviso anni di militanza nella sinistra sindacale, quanto sottoscritto in questi giorni non ci ha sorpreso perché la domanda che ci ponevamo non era “se,” ma “ quando” . Il “quando” è arrivato ed è per noi solo l’ultimo anello di una catena il cui inizio ha radici lontane quando la maggioranza di voi, come massimo gruppo dirigente di quella che fu la nostra organizzazione, ha acconsentito ad un progressivo cambio della natura e dei valori della CGIL.
Con un processo, che purtroppo oggi appare irreversibile, si è sempre meno ricercato il consenso dei lavoratori e delle lavoratrici, degli iscritti e delle iscritte, per dare priorità al rapporto con Cisl, Uil, Governo, Partito Democratico, Confindustria e associazioni padronali.
Le mediazioni sono parte integrante della natura di un sindacato, ma un’organizzazione che perde la propria autonomia perde anche la propria rappresentanza.
Questo è il tema centrale del nostro dissenso. Chi e cosa si vuole rappresentare.
Le scelte che si sono operate in questi anni hanno posto al centro della nostra azione interessi che la quotidianità si è assunta il compito di dimostrare essere stati portatori di una vera e propria “caporetto sociale”, che ha colpito il vissuto quotidiano degli oltre 20 milioni di lavoratori e lavoratrici dipendenti che avremmo dovuto rappresentare.
Quando si acconsente che si cancellino diritti, che sono parte integrante della natura dello Stato nato dalla Resistenza e fondamento della coesione sociale, si snatura anche il ruolo della propria rappresentanza di Sindacato Confederale e di classe.
Abbiamo vissuto anni dove non si è andati oltre a roboanti quanto inutili dichiarazioni verbali ai mass media, promuovendo “una tantum” il solitario sciopero annuale.
Nel contempo si è consentito a chi si è succeduto al Governo di vantarsi in Europa di aver cancellato i più importanti diritti del mondo del lavoro (pensioni, art. 18, contratti collettivi, salario, estensione della precarietà) senza alcun conflitto sociale.
Naturalmente queste scelte non potevano non avere anche una ricaduta nella vita interna democratica e nel sistema organizzativo.
L’ultimo congresso è stato la dimostrazione evidente di come per la maggioranza del gruppo dirigente della CGIL sia intollerabile che una parte dell’organizzazione abbia potuto democraticamente, all’interno di una pubblica dialettica con gli iscritti e le iscritte, cercare di modificare l’assetto dei gruppi dirigenti in sintonia con il cambiamento della strategia
dell’organizzazione sindacale.
Cos’è accaduto nel congresso è agli atti, ma ciò che è successo dopo è emblematico. L’umiliazione e la emarginazione di tutti i dirigenti che hanno sostenuto le tesi alternative, dove solo le “abiure” di quelle posizioni hanno consentito, dove non si era maggioranza, di mantenere un ruolo politico nell’organizzazione.
In questi ultimi quattro anni nessun accordo siglato dalla CGIL è stato portato alla consultazione dei lavoratori e lavoratrici interessate (quando nel passato paradossalmente abbiamo fatto le consultazioni anche sugli accordi separati mobilitando milioni di persone).
La ricchezza della CGIL è sempre stata la ricerca della sintesi.
In questi ultimi anni, al contrario, il settarismo del gruppo dirigente si è crogiolato, attraversando costanti sconfitte con l’avversario di classe, in un’autoreferenzialità impermeabile.
Se la ricerca del consenso non è più fondamentale nella vita democratica, indispensabili sono le risorse economiche per la conservazione della struttura interna. Qui si è scelta una via di non ritorno. Ormai consistenti risorse economiche non provengono dalla libera e cosciente iscrizione dei lavoratori e delle lavoratrici, ma da altre forme di finanziamento, tutte vincolate o alle decisioni dei Governi (patronati, CAF) o dall’obbligo di sottoscrivere il contratto collettivo (enti bilaterali e quote di servizio).
In molte federazioni si potrebbe vivere senza iscritti, ma non senza le entrate “extra” tesseramento.
L’impegno assunto anni fa di ridurre drasticamente queste forme di entrate, si è tramutato nel suo contrario, con un incremento esponenziale, abbracciando definitivamente il modello CISL di sindacato.
Una decisione tanto grave quanto assunta senza alcuna discussione interna, ma accettando quello che gli altri ci imponevano.
Da queste parole vi sarà facile comprendere come sia coerente, da parte nostra, prendere atto di una divergenza strategica che non ci consente di essere ancora parte di questa organizzazione.
Dobbiamo prendere atto che questa organizzazione non è riformabile, che non esistono le condizioni per cambiare, in un confronto democratico fondato sul rispetto delle regole, la strategia e il gruppo dirigente.
In tutti questi anni di militanza in CGIL abbiamo condotto convintamente la battaglia per il suo rinnovamento. Prendere atto dell’impossibilità di una battaglia democratica all’interno di una delle principali organizzazioni sociali del nostro paese rappresenta per noi la più amara delle sconfitte.
Non sarà però questo a farci desistere dal lavorare per la rinascita di una rappresentanza del mondo del lavoro, sia sindacale che politica.
Data la nostra non più giovane età cercheremo di contribuire a questo immane progetto, operando perché nei luoghi di lavoro possa nascere un lavoro collettivo che sappia far uscire dalla profonda solitudine in cui versano coloro che, per vivere, ogni mattina si guadagnano il pane, superando un portone che da cittadini li trasforma in sudditi. Senza dimenticare coloro che restano sudditi anche fuori da quel portone perché il lavoro è loro negato.
Il nostro, con molti voi, vuole essere solo essere un arrivederci”
“Compagne e compagni, per rispetto alla Organizzazione, nella quale per molti anni abbiamo militato, vi informiamo della nostra volontà di rimettere il nostro mandato da tutti gli incarichi sino ad oggi ricoperti in CGIL.
Da oggi non saremo più militanti di questa organizzazione sindacale e rinunciamo alla nostra condizione di iscritti alla CGIL.
Una decisione non facile che è venuta maturando nel tempo.
Il nostro giudizio critico sulla strategia e sui risultati della contrattazione è da tutti voi ampiamente conosciuto. Non è certo l’ultimo accordo sulla rappresentanza a farci prendere questa decisione così drastica.
A differenza del giudizio di alcuni compagni e compagne, con cui abbiamo condiviso anni di militanza nella sinistra sindacale, quanto sottoscritto in questi giorni non ci ha sorpreso perché la domanda che ci ponevamo non era “se,” ma “ quando” . Il “quando” è arrivato ed è per noi solo l’ultimo anello di una catena il cui inizio ha radici lontane quando la maggioranza di voi, come massimo gruppo dirigente di quella che fu la nostra organizzazione, ha acconsentito ad un progressivo cambio della natura e dei valori della CGIL.
Con un processo, che purtroppo oggi appare irreversibile, si è sempre meno ricercato il consenso dei lavoratori e delle lavoratrici, degli iscritti e delle iscritte, per dare priorità al rapporto con Cisl, Uil, Governo, Partito Democratico, Confindustria e associazioni padronali.
Le mediazioni sono parte integrante della natura di un sindacato, ma un’organizzazione che perde la propria autonomia perde anche la propria rappresentanza.
Questo è il tema centrale del nostro dissenso. Chi e cosa si vuole rappresentare.
Le scelte che si sono operate in questi anni hanno posto al centro della nostra azione interessi che la quotidianità si è assunta il compito di dimostrare essere stati portatori di una vera e propria “caporetto sociale”, che ha colpito il vissuto quotidiano degli oltre 20 milioni di lavoratori e lavoratrici dipendenti che avremmo dovuto rappresentare.
Quando si acconsente che si cancellino diritti, che sono parte integrante della natura dello Stato nato dalla Resistenza e fondamento della coesione sociale, si snatura anche il ruolo della propria rappresentanza di Sindacato Confederale e di classe.
Abbiamo vissuto anni dove non si è andati oltre a roboanti quanto inutili dichiarazioni verbali ai mass media, promuovendo “una tantum” il solitario sciopero annuale.
Nel contempo si è consentito a chi si è succeduto al Governo di vantarsi in Europa di aver cancellato i più importanti diritti del mondo del lavoro (pensioni, art. 18, contratti collettivi, salario, estensione della precarietà) senza alcun conflitto sociale.
Naturalmente queste scelte non potevano non avere anche una ricaduta nella vita interna democratica e nel sistema organizzativo.
L’ultimo congresso è stato la dimostrazione evidente di come per la maggioranza del gruppo dirigente della CGIL sia intollerabile che una parte dell’organizzazione abbia potuto democraticamente, all’interno di una pubblica dialettica con gli iscritti e le iscritte, cercare di modificare l’assetto dei gruppi dirigenti in sintonia con il cambiamento della strategia
dell’organizzazione sindacale.
Cos’è accaduto nel congresso è agli atti, ma ciò che è successo dopo è emblematico. L’umiliazione e la emarginazione di tutti i dirigenti che hanno sostenuto le tesi alternative, dove solo le “abiure” di quelle posizioni hanno consentito, dove non si era maggioranza, di mantenere un ruolo politico nell’organizzazione.
In questi ultimi quattro anni nessun accordo siglato dalla CGIL è stato portato alla consultazione dei lavoratori e lavoratrici interessate (quando nel passato paradossalmente abbiamo fatto le consultazioni anche sugli accordi separati mobilitando milioni di persone).
La ricchezza della CGIL è sempre stata la ricerca della sintesi.
In questi ultimi anni, al contrario, il settarismo del gruppo dirigente si è crogiolato, attraversando costanti sconfitte con l’avversario di classe, in un’autoreferenzialità impermeabile.
Se la ricerca del consenso non è più fondamentale nella vita democratica, indispensabili sono le risorse economiche per la conservazione della struttura interna. Qui si è scelta una via di non ritorno. Ormai consistenti risorse economiche non provengono dalla libera e cosciente iscrizione dei lavoratori e delle lavoratrici, ma da altre forme di finanziamento, tutte vincolate o alle decisioni dei Governi (patronati, CAF) o dall’obbligo di sottoscrivere il contratto collettivo (enti bilaterali e quote di servizio).
In molte federazioni si potrebbe vivere senza iscritti, ma non senza le entrate “extra” tesseramento.
L’impegno assunto anni fa di ridurre drasticamente queste forme di entrate, si è tramutato nel suo contrario, con un incremento esponenziale, abbracciando definitivamente il modello CISL di sindacato.
Una decisione tanto grave quanto assunta senza alcuna discussione interna, ma accettando quello che gli altri ci imponevano.
Da queste parole vi sarà facile comprendere come sia coerente, da parte nostra, prendere atto di una divergenza strategica che non ci consente di essere ancora parte di questa organizzazione.
Dobbiamo prendere atto che questa organizzazione non è riformabile, che non esistono le condizioni per cambiare, in un confronto democratico fondato sul rispetto delle regole, la strategia e il gruppo dirigente.
In tutti questi anni di militanza in CGIL abbiamo condotto convintamente la battaglia per il suo rinnovamento. Prendere atto dell’impossibilità di una battaglia democratica all’interno di una delle principali organizzazioni sociali del nostro paese rappresenta per noi la più amara delle sconfitte.
Non sarà però questo a farci desistere dal lavorare per la rinascita di una rappresentanza del mondo del lavoro, sia sindacale che politica.
Data la nostra non più giovane età cercheremo di contribuire a questo immane progetto, operando perché nei luoghi di lavoro possa nascere un lavoro collettivo che sappia far uscire dalla profonda solitudine in cui versano coloro che, per vivere, ogni mattina si guadagnano il pane, superando un portone che da cittadini li trasforma in sudditi. Senza dimenticare coloro che restano sudditi anche fuori da quel portone perché il lavoro è loro negato.
Il nostro, con molti voi, vuole essere solo essere un arrivederci”
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