di Checchino Antonini, da Liberazione. it
Il
più grande sindacato italiano va a congresso, fra mal di pancia della
base e partecipazione ai minimi. Nel frattempo, la sinistra interna
guidata da Giorgio Cremaschi da battaglia sull'accordo sulla
rappresentanza firmato da Camusso il 10 gennaio scorso: “è illegittimo e
antidemocratico”.
La Cgil, il più grande sindacato italiano, viola il proprio statuto, firmando un accordo - l'ennesimo - illegittimo e consuma una deriva antidemocratica mentre il congresso registra il minimo storico di partecipazione. La denuncia viene dalla minoranza interna, dai promotori del documento alternativo ("Il sindacato è un'altra cosa"), da Giorgio Cremaschi, in particolare, che ha appena tenuto una conferenza stampa alla Sala Rossa di Corso Italia, qualche piano più sotto del quartier generale di Susanna Camusso.
E' il leader storico della sinistra sindacale, infatti, il firmatario del ricorso al Collegio statutario nazionale, l'organismo di verifica degli atti più importanti della Cgil, per l'annullamento della firma della confederazione in calce all'intesa del 10 gennaio scorso. Quell'accordo viola norme e principi fondamentali contenuti nello statuto. Di qui il ricorso a quello che Cremaschi definisce la "Corte costituzionale della Cgil". «Intendiamo mettere alla prova la correttezza - dice - e l'indipendenza dell'organismo di garanzia anche se questo è espressione della maggioranza». Ai cronisti è stato spiegato che il ricorso è stato piuttosto meditato alla luce dei rilievi di parecchi giuslavoristi che non hanno potuto non storcere il naso di fronte al'ennessimo accordo, da quelle di Piergiovanni Alleva a quelle di Antonio Di Stasi. Così la minoranza interna agirà ognuna delle leve della giustizia interna ma è pronta a ricorrere anche in tribunale per contestare quella che gli pare una violazione del codice civile (articoli 36 e seguenti).
Lo Statuto Cgil, infatti, si basa sulla piena libertà sindacale e contro il monopolio dell'azione sindacale. E il "Testo unico sulla rappresentanza" (l'accordo del 10 gennaio) è stato sottoscritto in spregio al diritto statutario di ciasun iscritto a concorrere alla formazione della piattaforma e alla conclusione di ogni vertenza che lo riguardi (articoli 4, 6, 8). Ad ogni modo, il contenuto di quell'accordo è contrario ai principi di fondo della confederazione perché interferisce sull'autonomia della stessa (ad esempio quando consegna ad una commissione dove è preponderante la controparte le decisioni sul merito degli atti politici della Cgil) e infine prevede che i diritti sindacali siano accessibili solo a chi firmi quell'accordo, clausola che fa a cazzotti con la recentissima sentenza della Corte costituzionale che sancisce il diritto alla rappresentanza sindacale in barba alla legittimazione della controparte datoriale pretesa dai Marchionne di turno.
E poi non sono stati consultati gli iscritti, questione sollevata anche da Landini, leader della Fiom (che ha chiesto anche la sospensione del congresso), così come non sono stati consultati neppure per l'accordo del 31 maggio di cui l'ultima intesa è figlia. E' evidente come l'accordo dispone del diritto di sciopero di cui ciascun lavoratore è titolare e obbliga i delegati a sottostare alla dittatura della maggioranza che deciderà le sanzioni per i dissidenti.
Insomma, secondo Cremaschi e la minoranza, si tratta di una modifica nei fatti dello Statuto avvenuta in pieno lavorìo congressuale quando nemmeno un direttivo "bulgaro" può farlo. La Camusso controbatte che la commissione che deciderà le sanzioni sarebbe un banale arbitrato, come altri, ma in realtà non ci sarebbe una terza figura a fare da arbitro ma una commissione con tre membri di Confindustria, uno ciascuno per la triplice e un settimo componente di comune gradimento, dunque anche di Confindustria.
Dunque l'intesa è una sorta di mutazione genetica, una torsione autoriaria, una sottrazione di identità che cancella ogni forma di antagonismo possibile e contiene elementi di incostituzionalità. Perdipiù piomba nel vivo delle assemblee di base per un congresso che registra il massimo del malpancismo e il minimo della partecipazione come hanno spiegato ai cronisti anche Fabrizio Burattini, Nando Simeone della Filcams di Roma e Barbara Pettine, riferendo di congressi semideserti, casi di brogli clamorosi, di discriminazioni per i diritti della minoranza o di congressi rinviati per impedire il regolare confronto tra le posizioni. Molti congressi, infatti, sono stati concentrati in pochi giorni di febbraio per complicare la vita ai pochi relatori disponibili per il documento alternativo. Di tutto ciò è stata informata la commissione nazionale di garanzia proprio da Burattini e Pettine che denunciano le gravi irregolarità, un uso di parte delle risorse (distacchi, permessi, rimborsi) e della calendarizzazione, una gestione non trasparente degli elenchi degli iscritti e un diffuso ripetersi di risultati inattendibili (e a totale favore della maggioranza) nelle assemblee di base.
Là dove la minoranza riesce a essere presente i risultati sembrano piuttosto sopra le aspettative per il documento alternativo (Cremaschi prevede di attestarsi tra il 5% e il 10%, oltre il 3% che attualmente occupa nel direttivo nazionale) ma comunque in un contesto segnato dalla bassa partecipazione degli iscritti (sotto il 10%), da un clima di passività e rassegnazione. Se i numeri finali sulla partecipazione dovessero superare quota 900mila (allo scorso congresso furono 1milione e 800mila ma anche lì una cifra gonfiata) la minoranza avrebbe ragione di credere che sarebbero numeri inventati, falsificati.
Ma allora perché restare in Cgil? domanda l'inviato del Fatto, Salvatore Cannavò. «Perché è una battaglia di democrazia che va fatta qui. Pensate ai rischi di un sindacato senza democrazia interna!», risponde Cremaschi e, prima di andare via per correre al congresso di Vicenza, annuncia un dossier su anomalie, irregolarità e forzature. «Fra due-tre settimane ne avrete da scrivere».
La Cgil, il più grande sindacato italiano, viola il proprio statuto, firmando un accordo - l'ennesimo - illegittimo e consuma una deriva antidemocratica mentre il congresso registra il minimo storico di partecipazione. La denuncia viene dalla minoranza interna, dai promotori del documento alternativo ("Il sindacato è un'altra cosa"), da Giorgio Cremaschi, in particolare, che ha appena tenuto una conferenza stampa alla Sala Rossa di Corso Italia, qualche piano più sotto del quartier generale di Susanna Camusso.
E' il leader storico della sinistra sindacale, infatti, il firmatario del ricorso al Collegio statutario nazionale, l'organismo di verifica degli atti più importanti della Cgil, per l'annullamento della firma della confederazione in calce all'intesa del 10 gennaio scorso. Quell'accordo viola norme e principi fondamentali contenuti nello statuto. Di qui il ricorso a quello che Cremaschi definisce la "Corte costituzionale della Cgil". «Intendiamo mettere alla prova la correttezza - dice - e l'indipendenza dell'organismo di garanzia anche se questo è espressione della maggioranza». Ai cronisti è stato spiegato che il ricorso è stato piuttosto meditato alla luce dei rilievi di parecchi giuslavoristi che non hanno potuto non storcere il naso di fronte al'ennessimo accordo, da quelle di Piergiovanni Alleva a quelle di Antonio Di Stasi. Così la minoranza interna agirà ognuna delle leve della giustizia interna ma è pronta a ricorrere anche in tribunale per contestare quella che gli pare una violazione del codice civile (articoli 36 e seguenti).
Lo Statuto Cgil, infatti, si basa sulla piena libertà sindacale e contro il monopolio dell'azione sindacale. E il "Testo unico sulla rappresentanza" (l'accordo del 10 gennaio) è stato sottoscritto in spregio al diritto statutario di ciasun iscritto a concorrere alla formazione della piattaforma e alla conclusione di ogni vertenza che lo riguardi (articoli 4, 6, 8). Ad ogni modo, il contenuto di quell'accordo è contrario ai principi di fondo della confederazione perché interferisce sull'autonomia della stessa (ad esempio quando consegna ad una commissione dove è preponderante la controparte le decisioni sul merito degli atti politici della Cgil) e infine prevede che i diritti sindacali siano accessibili solo a chi firmi quell'accordo, clausola che fa a cazzotti con la recentissima sentenza della Corte costituzionale che sancisce il diritto alla rappresentanza sindacale in barba alla legittimazione della controparte datoriale pretesa dai Marchionne di turno.
E poi non sono stati consultati gli iscritti, questione sollevata anche da Landini, leader della Fiom (che ha chiesto anche la sospensione del congresso), così come non sono stati consultati neppure per l'accordo del 31 maggio di cui l'ultima intesa è figlia. E' evidente come l'accordo dispone del diritto di sciopero di cui ciascun lavoratore è titolare e obbliga i delegati a sottostare alla dittatura della maggioranza che deciderà le sanzioni per i dissidenti.
Insomma, secondo Cremaschi e la minoranza, si tratta di una modifica nei fatti dello Statuto avvenuta in pieno lavorìo congressuale quando nemmeno un direttivo "bulgaro" può farlo. La Camusso controbatte che la commissione che deciderà le sanzioni sarebbe un banale arbitrato, come altri, ma in realtà non ci sarebbe una terza figura a fare da arbitro ma una commissione con tre membri di Confindustria, uno ciascuno per la triplice e un settimo componente di comune gradimento, dunque anche di Confindustria.
Dunque l'intesa è una sorta di mutazione genetica, una torsione autoriaria, una sottrazione di identità che cancella ogni forma di antagonismo possibile e contiene elementi di incostituzionalità. Perdipiù piomba nel vivo delle assemblee di base per un congresso che registra il massimo del malpancismo e il minimo della partecipazione come hanno spiegato ai cronisti anche Fabrizio Burattini, Nando Simeone della Filcams di Roma e Barbara Pettine, riferendo di congressi semideserti, casi di brogli clamorosi, di discriminazioni per i diritti della minoranza o di congressi rinviati per impedire il regolare confronto tra le posizioni. Molti congressi, infatti, sono stati concentrati in pochi giorni di febbraio per complicare la vita ai pochi relatori disponibili per il documento alternativo. Di tutto ciò è stata informata la commissione nazionale di garanzia proprio da Burattini e Pettine che denunciano le gravi irregolarità, un uso di parte delle risorse (distacchi, permessi, rimborsi) e della calendarizzazione, una gestione non trasparente degli elenchi degli iscritti e un diffuso ripetersi di risultati inattendibili (e a totale favore della maggioranza) nelle assemblee di base.
Là dove la minoranza riesce a essere presente i risultati sembrano piuttosto sopra le aspettative per il documento alternativo (Cremaschi prevede di attestarsi tra il 5% e il 10%, oltre il 3% che attualmente occupa nel direttivo nazionale) ma comunque in un contesto segnato dalla bassa partecipazione degli iscritti (sotto il 10%), da un clima di passività e rassegnazione. Se i numeri finali sulla partecipazione dovessero superare quota 900mila (allo scorso congresso furono 1milione e 800mila ma anche lì una cifra gonfiata) la minoranza avrebbe ragione di credere che sarebbero numeri inventati, falsificati.
Ma allora perché restare in Cgil? domanda l'inviato del Fatto, Salvatore Cannavò. «Perché è una battaglia di democrazia che va fatta qui. Pensate ai rischi di un sindacato senza democrazia interna!», risponde Cremaschi e, prima di andare via per correre al congresso di Vicenza, annuncia un dossier su anomalie, irregolarità e forzature. «Fra due-tre settimane ne avrete da scrivere».
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