Dall’inizio della crisi
economica ci è stato detto che l’austerità era l’unica via di uscita,
che non c’era alternativa. Ma adesso, grazie al Portogallo, abbiamo la
prova che l’alternativa, invece, c’era. Ne scrive Owen Jones sul Guardian.
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Uno dei paesi europei più duramente colpiti dalla crisi economica è stato il Portogallo. Dopo il salvataggio da parte della Troika,
i creditori hanno chiesto dure misure di austerità, attutate con
entusiasmo dall’allora governo conservatore. I servizi sono stati
privatizzati, l’IVA alzata, una sovrattassa è stata imposta sui redditi,
sono stati tagliati i salari nel settore pubblico, le pensioni e i
sussidi, mentre al contempo sono state cancellate quattro feste
nazionali.
Su un periodo di due anni,
la spesa per l’istruzione ha subito un devastante taglio del 23%. La
sanità e il sociale hanno altrettanto sofferto. Nel 2012 c’è stato un
aumento del 41% nelle bancarotte delle aziende. La disoccupazione è
balzata al 17,5% nel 2013. La povertà è aumentata. Ma era tutto
necessario per curare la malattia della spesa eccessiva, veniva
raccontato.
Al termine del 2015, però, tutto questo ha avuto fine. Un nuovo governo socialista, di minoranza – con l’appoggio esterno del Blocco di Sinistra e della Coalizione Democratica Unitaria – è andato al potere. Il primo ministro, António Costa, si è impegnato a “voltare pagina sull’austerità”,
che aveva riportato il paese indietro di trent’anni. Gli oppositori
preannunciavano il disastro. Tutto si sarebbe risolto con un nuovo
salvataggio e tagli ancora più severi.
C’era anche un precedente: Syriza era andata al governo in Grecia
solo pochi mesi prima. Le autorità europee non sembravano certo
intenzionate a permettere che quell’esperimento avesse successo. Come
poteva il Portogallo evitare la stessa sorte?
La
logica del nuovo governo portoghese era chiara. I tagli inibiscono la
domanda: per una vera ripresa, la domanda deve crescere. Il governo,
quindi, si è impegnato ad alzare il salario minimo, invertire l’aumento
regressivo delle tasse, riportare i salari del settore pubblico e le
pensioni ai loro livelli pre-crisi (i salari erano stati tagliati anche
del 30% in alcuni casi) e reintrodurre le quattro feste nazionali
cancellate in precedenza. Tutto questo aumentando la spesa sociale per
le famiglie più povere e introducendo un’imposta sul lusso per case dal
valore superiore ai 600 mila euro.
Il disastro preannunciato non si è mai avverato. Nell’autunno 2016 – un anno dopo essere andato al potere – il governo Costa
poteva vantare una crescita economica costante e un aumento del 13%
negli investimenti da parte delle aziende. E quest’anno, i dati mostrano
che il deficit si è più che dimezzato, raggiungendo il 2,1% – il
livello più basso di sempre dal ritorno alla democrazia. Anzi, questa è
addirittura la prima volta che il Portogallo rispetta i vincoli fiscali dell’eurozona.
«Il successo del Portogallo – commenta Owen Jones – è sia fonte d’ispirazione che di frustrazione. Tutta quella miseria umana in Europa… e per cosa, poi?». Inoltre – continua Jones – il Portogallo (così come la Gran Bretagna) «offre
una lezione anche per la socialdemocrazia. All’indomani della crisi, i
partiti socialdemocratici hanno abbracciato l’austerità. Il risultato è
stato il loro collasso politico». Cosa che non è successa al Labour e al Partito Socialista portoghese. Ad esempio, i sondaggi mostrano che adesso i socialisti di Costa sono 10 punti avanti rispetto ai conservatori, con circa il 42%.
L’austerity, in Europa, è stata giustificata con il mantra “non c’è alternativa”, bisogna essere adulti, realisti. E invece no. Il Portogallo offre una risposta solida a questa affermazione. Confutandola. Una risposta di governo, suffragata dai fatti. «La sinistra europea – commenta Jones – dovrebbe
utilizzare l’esperienza portoghese per cambiare l’Unione Europea e
mettere fine all’austerità in tutta l’eurozona. In Gran Bretagna, il
Labour può sentirsi ancora più legittimato nel rompere con l’ordine
economico dei Tory».
E conclude: «Durante
questo decennio perduto, in Europa, molti di noi continuavano a credere
che un’alternativa ci fosse. Adesso ne abbiamo la prova».
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