sabato 25 novembre 2017

«Sinistra italiana ripete gli errori del passato, mi dimetto» di Giovanni Caporale

Pubblichiamo la lettera con la quale Giovanni Caporale si dimette da segretario provinciale di Sinistra italiana di Cosenza. Il testo è indirizzato al segretario regionale della Calabria di Sinistra Italiana, Angelo Broccolo, al presidente dell’assemblea regionale della Calabria di Sinistra Italiana, Domenico Panetta, al presidente dell’assemblea provinciale di Cosenza Mario Caferro e ai componenti della segreteria provinciale di Cosenza Antonio Astorino, Emma Caferro, Francesco Capano, Antonio Cofone, Nicola Corbino, Raffaella Fortunato, Francesco Imbrogno, Franca Maritato e Alessandro Mazzotta.
Carissimi compagni,
ho condiviso profondamente la strada fin qui percorsa dal partito di Sinistra Italiana: costruire un progetto di società visto da sinistra, alternativo alle politiche di centro sinistra praticate in passato con scarso costrutto in alleanza con il partito democratico.
Mi avrete sentito dire molte volte, e lo ripeto anche oggi, che la necessità di un partito della sinistra nasce dall'osservazione che dal punto di vista dei dati economici nell'ultimo quarto di secolo il divario poveri - ricchi è  aumentato sia che governasse il centro sinistra, sia che governasse la destra. L'altro obiettivo che c'eravamo posti era l'unità delle forze della sinistra, anch'esso condiviso pienamente. Grande entusiasmo aveva destato in me l'energia profusa dal partito nel sostegno al NO alla riforma Costituzionale, così come la partecipazione all'esperienza del teatro Brancaccio, sembrava davvero la strada giusta per coinvolgere tutto quel mondo che è sostanzialmente di sinistra ma che non si riconosce nei partiti, non senza buone ragioni.
Il passaggio del Brancaccio è cruciale. Infatti, attraverso un meccanismo democratico e partecipato si potevano integrare tutte le forze della sinistra, sempre che fossero disponibili a mettersi realmente in gioco, senza percentuali di seggi garantite e senza accordi spartitori e ferma restando la totale alternatività del progetto rispetto a quello del Partito Democratico. Per essere chiari, all'interno di questo percorso e a queste condizioni la presenza di Mdp era, a mio avviso, non solo gradita ma addirittura necessaria: l'unità della sinistra significa che tutte le culture di sinistra devono ritrovarsi. E' del tutto evidente che chi avesse contribuito agli errori del passato in maniera determinante, non doveva essere escluso ma, mostrando di aver scelto un'altra strada, avrebbe potuto dare il suo contributo come “padre nobile”.
Mi sembra che, dopo molti passi fatti nella direzione giusta, si sia abbandonato il percorso intrapreso, percorrendo la strada dell'accordo di vertice e dell'abbandono del progetto inclusivo costruito dal basso. La posizione di Mdp sulla quale convergiamo non mi pare sia dotata della chiarezza necessaria. È ragionevolmente certo che non alle prossime elezioni non saremo alleati del Pd. Però quello che succede dopo non è sufficientemente chiaro: non è escluso che il nostro progetto politico, alternativo al Pd, serva a portare in parlamento una forza politica che poi costituirà un'alleanza con il Pd. Insomma, aldilà dei proclami, di fatto rafforzeremmo un governo di cui ci dichiariamo fieri oppositori.
Peggio è il percorso delle assemblee in corso, non prendiamoci in giro: non sono assemblee aperte ma sono la sanzione di accordi con percentuali prestabilite fra l'altro non a nostro vantaggio. Siamo i soci di minoranza.
Si è passati da un progetto che ci vedeva leader di una sinistra autonoma e autorevole, all'essere gregari di un progetto complementare all'azione del governo. Non si può dubitare che parte rilevante dei nostri alleati limiti la propria ragion d'essere all'influenza che potrebbero avere sulle vicende interne del Pd e sulle politiche del Pd.
Chi scrive ha abbandonato il Pd anni fa perché non ne condivideva più il progetto fondamentale, sia perché con i governi sostenuti da spezzoni del centro destra o dall'intero centro destra, il progetto fondamentale era radicalmente cambiato, sia perché ci si è resi conto che la visione fin dal principio proposta era inefficace a mutare gli assetti fondamentali economici internazionali: non si proponeva una visione diversa di economia e di società ma ci si limitava a cercare di arginare il capitalismo finanziario dilagante senza combatterlo apertamente. Non ci si deve stupire che il capitalismo finanziario e il liberismo abbiano stravinto negli ultimi decenni.
Sinistra Italiana deve rappresentare un'alternativa a questo disegno politico, stiamo invece supportando un progetto politico che è parte di questo quadro, proponendo sostanzialmente un “ritorno al passato”, cioè alle politiche fallimentari del centrosinistra. La soluzione agli errori del passato non è ripeterli ma cambiare. L'unità della sinistra deve essere attuata sulla linea del cambiamento. Le classi dirigenti responsabili delle politiche del centrosinistra possono partecipare, costituendo comunque un'esperienza storica di sinistra, ma cambiando politica.
Pare invece che il cambiamento lo pretendano da noi e noi non abbiamo la forza di imporci nei numeri e nelle idee. Mi pare evidente che ci sia il terrore di non arrivare in Parlamento, ma chi pensa che basti arrivare in Parlamento per salvare il progetto, non si rende conto che questo significa “tagliare il ramo su cui si è seduti”: rimarrà un seggio ma il progetto non avrà più la credibilità necessaria per convincere la società civile e soprattutto i moltissimi che non votano.
A livello regionale la situazione è anche più grave.
Già da tempo il nostro partito ha formulato un giudizio nettamente negativo sul Governo Regionale in Calabria con il quale non intendiamo collaborare, una scelta che fra l’altro ci ha privato di rappresentanza in consiglio regionale, un prezzo pagato senza battere ciglio perché un partito che nasce deve dimostrare la sua credibilità.
Non si è credibili se, il giorno stesso in cui si partecipa a una protesta contro il governo regionale,  si subisce passivamente l’ingresso nella compagine che andrà a costituire il partito unitario della sinistra di consiglieri sostenitori di Oliverio e ex assessori regionali, di cui ci sfugge la presa di distanza rispetto alla inettitudine politica dimostrata dal governo regionale.
Qui in Calabria celebriamo in questi giorni un matrimonio con Mdp, così come in tutta Italia, ci sembra il minimo che il nostro consenso debba passare da una richiesta di chiarezza sul loro punto di vista sulla giunta Oliviero. Non è possibile celebrare matrimoni a scatola chiusa, poco importa che oggi si parli di questioni nazionali, qui in Calabria agli elettori dobbiamo mostrarci con delle prese di posizione chiare o la nostra credibilità, unico patrimonio in assenza di pacchetti di voti e notabili, ne verrà irrimediabilmente lesa.
Chi scrive, non si riconosce nel percorso intrapreso nell'ultimo mese dal partito. Chiede con forza la riapertura del percorso del Brancaccio, abbandonando pratiche antiche di accordi a tavolino che cadono dall'alto, ma accettando i rischi di rivolgersi a platee più ampie anche se incerte. Ci vuole coraggio.
Poiché è del tutto evidente che il percorso politico attuale non va in questa direzione, mi dimetto da segretario provinciale per Cosenza di Sinistra Italiana, non ritenendomi idoneo a rappresentarne la linea politica. Confidando in un cambio di rotta, continuerò a rimanere all'interno del partito esprimendo le mie posizioni in autonomia, certo che non sarò il solo.
Rimane immutata la mia stima per tutti i compagni di viaggio incontrati nel percorso di costruzione dei partito, non farò mancare il mio impegno pur mantenendo le posizioni che ho sopra indicato. 
Giovanni Caporale

Dalla Casta al lavoro sociale, (forse) c'è vita per i partiti

 Partendo dalla degenerazione attuale, un libro di Fulvio Lorefice ragiona sull'utilità della forma partito che nel Novecento ha rappresentato l'organizzazione più efficace per le lotte popolari. Ed oggi? I partiti si possono salvare soltanto se riscoprono le pratiche di mutualismo e ricostruiscono un tessuto sociale col Paese. La vecchia Syriza e Podemos sono due modelli interessanti da seguire.

di Giacomo Russo Spena

Della lotta alla Casta il M5S ci ha fatto una ragion d'essere. Già prima, i radicali di Marco Pannella si sono battuti contro la "partitocrazia italiana". Un Sistema di potere. Ad oggi, perché mai un giovane dovrebbe iscriversi ad un partito politico? La loro crisi è tangibile, la degenerazione è lampante. Sono passati, col tempo, dall'essere organizzazioni di massa sancite dalla Costituzione (art 49) a ceti di nominati, persino collusi con establishment e poteri forti. Pensiamo all'inchiesta di Mafia Capitale, a Roma, che ha certificato la connivenza dei partiti, in maniera bipartisan, con "il mondo di sotto" per utilizzare il termine dell'ex Nar Massimo Carminati, ora agli arresti.

Ma – qui bisogna interrogarsi – ha senso riformare i partiti o il problema risiede nella stessa forma partito? Se lo chiede il ricercatore Fulvio Lorefice che recentemente ha scritto per Bordeaux edizioni "Ribellarsi non basta": un libro che ha il coraggio di andare controcorrente e analizzare il rapporto tra organizzazione e risultati concreti di avanzamento delle classi sociali più deboli, dando un taglio storico alla discussione.

"Il tema della strutturazione della società, della connessione delle sue articolazioni deboli e della forma della loro coscienza, è oggi più che mai cruciale" sostiene l'autore che sviluppa la sua ricerca da un preciso punto di vista: nel Novecento il partito è stato lo strumento più efficace di emancipazione per le classi subalterne. Lo stesso Antonio Gramsci scriveva che la spontaneità deve essere incanalata ed integrata in una direzione consapevole: "Questo è il compito del partito politico che lotta per l'egemonia".

Nella prima parte del libro l'autore conduce un'analisi storico/politica sulla crisi dei partiti e, più in generale, della rappresentanza. Qui risalta l'egemonia totalizzante dell'ideologia neoliberale. Fin dall'Unità d'Italia, i ceti dominanti avrebbero identificato la propria rappresentanza con le forme del potere, mentre gli sfruttati hanno avuto bisogno dell'organizzazione del partito. In passato – argomenta Lorefice – le elite avrebbero aspramente lottato contro la nascita dei partiti, ritenuti veicolo di sovversivismo "in quanto organizzatori delle istanze proletarie". Non a caso, il Pci di Palmiro Togliatti, nel secondo dopoguerra, denunciava la lotta dei padroni "contro la partitocrazia" che logorava lo spirito democratico e "apriva la strada ad avventure reazionarie". Ora è tutto diverso. Un'altra fase.

Nel libro si traccia la degenerazione degli attuali partiti. Ai vertici una classe dirigenziale screditata agli occhi dei cittadini i quali associano – lasciandosi ad andare a facili demagogie – il "partito" ad ogni forma di ruberia possibile, ai privilegi dei politici e ai loro vitalizi. Sono gli anni della post democrazia e della crisi della rappresentanza. I partiti di massa, come li abbiamo conosciuti nel Novecento, sono un lontano ricordo, così come le sezioni e il radicamento territoriale. Viviamo l'epoca dei "partiti liquidi" dove lo scontro tra diverse posizioni si focalizza sul terreno mediatico. "Meglio un tweet che visitare le periferie disagiate" è il pensiero che va per la maggiore.

Il vertiginoso calo degli iscritti, a sinistra come a destra, dimostra come la disaffezione della gente sia totale. E l'astensionismo esprime una precisa connotazione (per intenderci) di classe. Sono i settori popolari a scivolare verso il disimpegno e quelli più sfiduciati nei confronti della politica e dei corpi intermedi.

Delineato lo status quo, il secondo capitolo del libro si intitola, significativamente, "Gramsci nel Mediterraneo" soffermandosi sulle due esperienze, nel campo della sinistra, più interessanti in Europa: Syriza e Podemos.

Il partito di Tsipras, mentre era all'opposizione e al potere c'era ancora la destra di Neo Demokratia, ha rappresentato un'alternativa valida al disastro dei memorandum imposti dall'Europa: ha contribuito a far nascere nel Paese mense del mutuo soccorso, ambulatori e farmacie popolari, riallaccio di utenze, cooperative socio-lavorative per disoccupati, fabbriche recuperate e altre esperienze di autogestione. "Mutualismo" era la parola magica per contrapporsi al disastro umanitario causato dall'austerity. In quella fase Syriza creava un sistema nato dal basso che si sostituiva alle manchevolezze dello Stato: dove non arrivava il welfare, arrivavano le forme di autorganizzazione dei cittadini ellenici.

Così Podemos, in Spagna, è figlio del movimento degli Indignados che è riuscito a rompere lo storico bipartismo spagnolo Psoe/PP attaccando la "Casta", intesa non soltanto come ceto politico – come nel caso italiano - ma anche come oligarchia formata da banchieri ed imprenditori (corrotti). Tutti i dirigenti, a partire dal leader Pablo Iglesias, provengono dalle proteste No War e alterglobaliste o dalle recenti piazze indignate del 2011. "Podemos è un partito, ma pensato con una logica di movimento" afferma il responabile culturale Jorge Lago. Rompe culturalmente col Novecento, rifiutando ogni collocazione a sinistra dello scacchiere politico. Una posizione - dettata dagli studi del post marxista Ernesto Laclau - abilmente riassunta dall'espressione, ripetuta da Iglesias, "il potere non ha paura della sinistra, ma piuttosto del popolo". Il segreto starebbe nel costruire la sinistra, senza nominarla. E il partito avrebbe senso soltanto se in relazione coi movimenti e le realtà sociali.

La domanda fondativa, infatti, è quella che l'autore trae dal professor Alfio Mastropaolo, esperto della cosiddetta antipolitica: "Come può in una società così complessa operare una democrazia senza partiti, evitando che si trasformi in una democrazia plebiscitaria?". Il tema vero non è il "se", ma il "come" organizzarsi. Lorefice ci chiama a riflettere, rifuggendo da dogmatismi, a due esperienze della "periferia" della politica italiana: i "Luoghi Idea(li)", cioè la sperimentazione tracciata da Fabrizio Barca nel Pd, con un coinvolgimento molto marginale del partito. E il "partito sociale", nato all'interno di Rifondazione Comunista, sperimentato in alcune federazioni e oggetto di riflessioni congressuali. Può un partito centralizzato, con una propensione totalizzante, riunificare ciò che il neoliberismo ha diviso?

I partiti vanno separati dallo Stato, riportati nella società: evitano la deriva oligarchica, e la degenerazione odierna, solo se si socializzano nelle pratiche. Lorefice parla dei circoli come nuovi "sindacati territoriali". Altrimenti la politica muore. E trascina con sé la crisi della democrazia costituzionale. Il rischio è che nell'assenza delle organizzazioni e dei corpi intermedi si generino pulsioni vandeane, populiste e razziste. Va, allora, accettata secondo l'autore la sfida della "complessità", contro il "monoteismo" economicista e politicista.

Il sociologo Luciano Gallino, nel suo ultimo testo, scrive di "cattura cognitiva", perché dinanzi ai grandi, radicali problemi del nostro tempo la destra e la sinistra hanno programmi simili. E' questa la base del pensiero, anzi della "ragione unica". Di fronte ad un popolo che non esiste più in quanto tale, muto e atomizzato, il primo compito è ricostruire perfino le componenti rituali, i luoghi dello "stare insieme": nuove case del popolo, camere dei lavori territoriali, pratiche dell'autogestione, mutualismo, spazi della coalizione sociale. Sperimentare nuove forme di partecipazione e servizi dove lo Stato non riesce più a giungere.

Un partito, in definitiva, funzionerebbe soltanto se coniuga due stringenti questioni d'attualità: il conflitto sociale e la solidarietà. "Il nesso che sembra volersi  ricostruire – si legge nel libro – è quello relativo all'efficacia dell'azione politica: la capacità cioè di produrre cambiamenti materiali, concreti, tangibili e quindi identità, legittimità e senso". Lorefice ci ricorda l'importanza del basso e il grande tema della connessione tra vertenzialità e mutualismo. Il partito o intercetta i bisogni delle persone riacquisendo una parvenza di utilità o non è. E non sarà. 

mercoledì 22 novembre 2017

Lettera aperta alle compagne e ai compagni di Sinistra Italiana di Maurizio Acerbo

Lettera aperta alle compagne e ai compagni di Sinistra Italiana 
Care/i compagne/i,
Rifondazione Comunista non ha mai rinunciato a un approccio unitario a sinistra.
Non a caso – come ha sottolineato Tomaso Montanari – siamo stati l’unico partito che è rimasto dentro il percorso partecipato del Brancaccio.
Lo abbiamo fatto con la consapevolezza che solo attraverso una forte discontinuità e rottura col passato sarebbe stato possibile costruire una lista di sinistra unitaria e credibile.
Le questioni che abbiamo posto sono quelle echeggiate in decine di assemblee in tutta Italia.
Ne riepiloghiamo alcune perché non ci stancheremo mai di ripeterle.
-         Programma radicale e di rottura con le politiche neoliberiste degli ultimi 25 anni.
-         Profilo politico chiaro: impossibile qualsiasi alleanza con il PD prima e dopo le elezioni, perché va  ricostruita la sinistra, non riproposto il centrosinistra.
-         Percorso partecipato e criteri per le liste che garantiscano rinnovamento profondo e un profilo non inchiodato ai governi di centrosinistra responsabili delle politiche neoliberiste.
Nessuno di questi aspetti è presente nella proposta di lista che sarà ufficializzata il 3.
Non c’è radicalità programmatica, non c’è profilo chiaro e infatti Bersani dà appuntamento nel prossimo parlamento al PD, saranno candidati  gli uomini di governo del passato.
Mancano persino l’abolizione della legge Fornero, del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio inserito ai tempi di Bersani nella Costituzione minandone le fondamenta.
Il risultato non è la «sinistra nuova e radicale» invocata dal Brancaccio ma semplicemente il vecchio centrosinistra – quello che sostenne il governo Monti e/o la successiva coalizione Italia Bene Comune – che si contrappone al Pd renziano.
In queste condizioni come si può pensare che Rifondazione possa sostenere liste bloccate che per gran parte rappresenterebbero un centrosinistra con cui abbiamo rotto da lunghissimo tempo?
Come si può pensare che la sinistra radicale o antiliberista possa far votare liste bloccate con candidati che nel prossimo parlamento potrebbero ritrovarsi col PD o in un «governo del presidente » a votare altre misure antipopolari come hanno fatto fino a pochi giorni fa?
Come si può pensare che le persone che per anni si sono battute contro il neoliberismo, la guerra e per i beni comuni possano farsi rappresentare da quei leader che nel passato sono stati gli alfieri del blairismo?
Noi non abbiamo posto veti pregiudiziali coscienti che nel paese è forte la domanda di unità in quel poco di popolo di sinistra che residua da 25 anni di delusioni.
Però abbiamo posto – come ha fatto lo stesso Brancaccio – l’esigenza di un’indispensabile discontinuità.
Il risultato di aver negato persino la legittimità di queste questioni è che il 3 dicembre darà vita a una lista che rappresenta uno scontro dentro ai gruppi dirigenti del centrosinistra – e giornalisticamente viene rappresentata come la rivincita di Bersani e D’Alema – e che viene vista più come espressione di una lotta di potere che come strumento di riscossa per i ceti popolari. Tutto il contrario di quel che accade nel resto d’Europa dove ovunque è cresciuta raccogliendo grandi consensi e attivando partecipazione e entusiasmo una sinistra radicale che ha forti caratteristiche anti-establishment e di rottura con le classi dirigenti responsabili delle politiche antiliberiste.
Questo esito è stato determinato innanzitutto dalla scelta di SI di non investire sull’unità con le formazioni della Sinistra Europea come Rifondazione Comunista e Altra Europa nè sul Brancaccio. 
Anche l’ultima assemblea nazionale di SI ha visto la bocciatura delle pur timide proposte dei settori che cercavano di riaprire il dialogo con chi ha partecipato al Brancaccio.
Ci rivolgiamo ai dirigenti e ai militanti di SI chiedendo il coraggio di una svolta nel segno della ricerca dell’unità con chi le politiche neoliberiste le ha contrastate, con chi in Europa sta dalla parte delle forze che si battono contro i trattati nel GUE e nel partito della Sinistra Europea. E concretamente chiediamo di affrontare le questioni ineludibili poste da Rifondazione Comunista e dallo stesso Montanari.
Noi stiamo lavorando a partire dall’assemblea del Teatro Italia affinché una lista di sinistra nuova e radicale sia presente alle prossime elezioni e proprio per questo riproponiamo il tema dell’unità: serve una sinistra antiliberista nettamente alternativa al PD e al centrosinistra e vi invitiamo a costruirla insieme.

lunedì 20 novembre 2017

Francesca Fornario a Je so’ pazzo: «Grazie compagni belli!»

Francesca Fornario ringrazia Je so’ Pazzo: Mi sentivo monca a sostenere politicamente i compagni che inseguivano chi abbiamo combattuto insieme

di Francesca Fornario
“Compagni belli, voglio ringraziarvi e dirvi che mi sono sentita nel posto che nella vita, troppo spesso, sono due: quello dove bisogna stare e quello dove si sta bene. In classe e a ricreazione, a scuola e al lavoro.
Da essere umano spesso rifletto sulla fortuna che ho. La contemplo per poterla rimettere in circolo.
Da donna, medito ogni giorno sulla fortuna che ho pensando alle mie sorelle che quasi sempre, nella storia e nel mondo, sono sono costrette a sposare l’uomo che le famiglie scelgono per loro. Rifletto su quante poche hanno potuto conoscere l’amore e viverlo:
«Sono stata innamorata di un solo uomo», ci raccontava durante un’intervista una mondina che aveva sognato di fare la sarta ed era sposata da sessant’anni: «Avevo quindici anni, lui mi faceva battere il cuore!» «E Poi?» «Poi ho sposato Giovanni».
Sono tanti gli elettori rassegnati a sposare Giovanni.
Ieri, al Teatro Italia, ci è battuto forte il cuore. Confido sia stato così per quelli che sono accorsi e per i molti che arriveranno.
Voi siete stati meravigliosi: Viola, Manuela, Saso. Avete tutti trasmesso il senso di urgenza e di responsablità, dato voce alla protesta e alla visione. Lo avete fatto con passione e non con rabbia, con intelligenza e non con sarcasmo, con fermezza e (senza perdere la) tenerezza. Avete rovesciato la retorica velenosa di Renzi, Grillo, Salvini, Berlusconi, D’Alema: il sarcasmo, la supponenza, l’allusione maligna, il distacco, il disprezzo per chi non ce la fa e per chi viene sconfitto.
È già questa una vittoria: il popolo non si comanda e non si combatte, non si ignora e non si sfotte. Del popolo, delle persone, bisogna avere cura. Avere considerazione e compassione. Nel senso etimologico del patire insieme, del farsi carico del dolore e del disagio gli uni degli altri come vi ho visto fare ogni giorno in questi anni. Per questo vi viene facile il comunismo: sortire soli dal bisogno è avarizia, sortirne insieme è politica, diceva Don Milani.
Ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi. Un censimento dei bisogni e dei desideri, delle lotte e degli slanci. Ora bisogna mettere i presidi a sistema, collegarsi agli altri, avanzare proposte di cambiamento, spiegare come intendiamo rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di essere ugualmente libere e felici.
Parlando semplice, come ha raccomandato Viola. E’ semplice spiegare che la scuola pubblica è motore di uguaglianza. A scuola si entra uguali e si esce diversi, disse Renzi: chi è più bravo passa avanti, la scuola premia il merito. Noi sappiamo che è il contrario: a scuola si entra diversi, chi con i libri già sfogliati e chi no, chi con i verbi coniugati già in bocca e chi no e, dalla scuola, grazie alla scuola, si deve uscire uguali. È semplice, perché è vero.
E allora deve essere gratuita e libera la scuola di ogni ordine e grado, gratuita l’università, gratuiti i libri di testo. Si può fare, servono meno soldi dei 18 miliardi regalati alle imprese attraverso gli sgravi per le assunzioni.
È semplice spiegare che il lavoro, meno e per tutti, è la battaglia da recuperare ma quella contro il lavoro gratuito e sottopagato la prima lotta da ingaggiare: la Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto in ogni caso a una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa per sé e per propria famiglia. Le riforme che hanno reso legale il lavoro sottopagato sono quindi incostituzionali e incostutuzionale è la condotta delle pubbliche amministrazioni che bandiscono gare al massimo ribasso – è il cuore della vertenza Almaviva che abbiamo raccontato ieri – e che sfruttano gli stagisti, gli studenti in alternanza, i finti volontari pagati con gli scontrini, i richiedenti asilo che svolgono lavori socialmente utili.
«Quando c’era Berlusconi il sindacato ci chiedeva di non far rivendicazioni perché non eravamo in una fase acquisitiva – raccontava ieri Stefania, lavoratrice Almaviva. Poi è arrivato il governo amico di Renzi ed è stato anche peggio». Oggi un giudice ha dato ragione a quei lavoratori che nonostante la fase, nonostante fossero pochi, soli, descritti come irresponsabili e velleitari, hanno avuto la forza di lottare per il loro diritto, che poi è il nostro. Quei lavoratori ci indicano il metodo e la strada da seguire. Ci diranno che siamo pazzi, noi diremo una cosa semplice: i pazzi sono quelli che per risolvere lo squilibrio tra i lavoratori tutelati e quelli che no hanno tolto le tutele a chi le aveva. Ci capiranno, perché è vero.
È semplice e spiegare il diritto e il dovere alle ferie, alla maternità alla malattia, alla pensione per tutte le categorie di lavoratori anche per le (sempre più spesso false) partite iva sfruttate, come gli ordinisti, grazie alla riforma Fornero che non solo va abolita come il Jobs Act ma come il il Jobs Act sostituita con una riforma equa. È semplice perché quei lavoratori sono affaticati e hanno bisogno e voglia di andare in vacanza, di stare con i propri figli la domenica e con i propri compagni la notte invece di essere costretti agli straordinari e al lavoro notturno.
L’elenco è lungo, non lo faccio adesso, sono tutti temi che abbiamo tante volte affrontato e studiato nelle nostre assemblee, nelle università nelle piazze dove siamo andati insieme a batterci contro le riforme costituzionali di Matteo Renzi. Spiegavamo allora che non era il bicameralismo perfetto a starci a cuore ma lo spazio della democrazia che i partigiani hanno liberato e la Costituzione difeso perché quello è lo spazio dove da allora si lotta per affermare la giustizia e non la legalità. Quello spazio è stato aggredito dentro e fuori dalle istituzioni e ci è stato sottratto con le riforme che limitano la rappresentanza, i decreti Minniti-Orlando che imbavagliano le piazze e il dissenso, con le limitazioni alla libertà sindacale, gli sgomberi, i licenziamenti disciplinari, la scuola che addestra all’obbedienza e le leggi elettorali che premiano chi si piega e non chi lotta.
Pensavano che ci saremmo accontentati di protestare e resistere fuori dal Palazzo, come sempre abbiamo fatto e continueremo a fare, con i cortei e il mutualismo, i picchetti e le occupazioni. Si sbagliavano: non vogliamo più limitarci a disobbedire e contestare chi governa negli interessi di pochi ma vogliamo governare nell’interesse dei molti.
Ho sempre fatto, nel mio piccolo, con tanti altri piccoli, tutte e due le cose. Votando e sostenendo chi prometteva di battersi nelle istituzioni – e spesso lo ha fatto, con convinzione e capacità – e impegnandomi tra le persone e con le persone nell’accoglienza, la difesa dei diritti, il racconto delle lotte.
Negli ultimi mesi mi sono sentita monca, in tutti e due i contesti. Monca a sostenere politicamente i compagni che inseguivano chi abbiamo combattuto insieme: a inseguire invece di combattere chi ha fatto la guerra, allungato l’età pensionabile, inserito il pareggio di bilancio in costituzione, regalato i soldi alle imprese e alle banche togliendoli ai poveri e impoverendo i lavoratori. Conosco e stimo la loro buona fede ma non ho condiviso la loro strategia e l’ho detto e scritto in ogni sede, tipo qui.
Sarà che faccio ragionamenti poco tattici e troppo semplici: come possiamo difendere i lavoratori e farci votare dai lavoratori con chi ha abolito l’articolo 18?! Come possiamo difendere i pensionati e farci votare dai pensionati con chi ha votato a favore dell’allungamento dell’età pensionabile?! Come possiamo unificare la sinistra che ha votato No alle riforme di Renzi con chi incorona leader chi ha votato Sì alle riforme di Renzi?! Con chi, solo quando Pisapia si tira indietro, incorona leader del quarto polo alternativo al Pd Piero Grasso, che fino al giorno prima stava nel Pd?! Come facciamo a fare la sinistra con chi ancora oggi invoca il centrosinistra?! Come facciamo a spiegarlo agli elettori, se non ci credono nemmeno i militanti?!
Mi spiegavano che non c’era lo spazio politico perché lo aveva ocupato Grillo, che non c’era tempo, che bisognava mettere insieme le forze. Rispondevo che così si mettevano insieme le debolezze, che Melanchon e Corbyn hanno raddoppiato i consensi in poche settimane con una proposta radicale e grazie alla credibilità delle loro storie, che i voti non si sommano ma si conquistano, come abbiamo lasciato fare in solitudine a Grillo e Salvini.
So che questi ragionamenti semplici non appartengono solo a me ma a moltissimi di quelli che non vanno a votare e a molti – dunque pochi – di quelli che si disponevano a sposare Giovanni: a votare per la lista unica a sinistra, destinata per come si è posta a dar vita una lista unica di sinistra e a una o due di centrosinistra.
Mi sono sentita monca, in questi mesi, anche sul fronte che più frequento: non quello elettorale ma quello quel dell’impegno diretto nelle lotte e del loro racconto. La denuncia degli sgomberi di Piazza Indipendenza, dei licenziamenti all’Hitachi, dello sfruttamento degli studenti in alternanza o dei lavoratori a nero. Monca, perché mentre scrivevo e sfilavo in corteo vedevo lo spazio della lotta e della denuncia restringersi per volontà di chi è al potere. Quel potere che ieri abbiamo deciso di restituire al popolo.
Dopo esserci convocati e impegnati a farlo bisognerà da subito entrare nel merito non solo delle riforme da abolire, più volte evocate ieri, dal pacchetto Treu al Jobs act, la buona scuola, lo sblocca Italia… ma anche dei rimedi e delle cure: come disobbedire ai trattati europei, fermare il consumo di suolo, tagliare le spese militari, modificare a monte il modello di produzione e non solo mitigare a valle le ingiustizie che produce.
Tornando a casa ho pensato che sarebbe utile un comitato scientifico, anche informale, per fornire a tutti i compagni gli strumenti per capire come uscire dalla crisi, come ribaltare il tavolo. Costituzionalisti, economisti, sociologi che spieghino le soluzioni da adottare. Farne dei video, delle brevi dispense: i libri ci sono già, non tutti hanno il tempo di leggerli e i soldi per comprarli, nessuno quello di leggerli tutti, ma molti di quelli che li hanno scritti sono compagni generosi e competenti che certamente si presterebbero a insegnare: mi ha colpito quel che ha detto Marina Boscaino, insegnante in lotta contro la Buona Scuola: «Mi dispiace non essere stata insegnante di nessuno di questi ragazzi, perché io intendo l’insegnamento come militanza politica».
Vi guardava ammirata pensando, certo, ai vostri insegnanti, che sono stati i suoi.
Abbiamo tanti buoni maestri, e non mi è mai piaciuto il detto “Se uno ha fame insegnagli a pescare” perché non si impara a stomaco vuoto. Se uno ha fame sfamalo, come voi fate a Napoli, nutrendo chi ha bisogno di cibo e cure, e poi insegnagli a sfamare gli altri affamati. Insegnagli a lottare.
Perdonatemi se procedo alla rinfusa, se cito la scuola e non le migrazioni – chiudere gli hostspot, aprire i corridoi umanitari… – ogni tema è urgente, ogni urgenza è un tema che merita approfondimento: i diritti civili, la tutela dell’ambiente, il diritto alla salute, la disobbedienza dei tratti europei.
Qui mi premeva soltanto dirvi che di questo – e solo di questo – ho avvertito la mancanza. No, anzi, l’assenza: mancare non mi è mancato nulla, che l’assemblea serviva a trovarsi, accogliersi, partire.
Ho ricevuto decine di messaggi da parte di compagni che sarebbero andati al Brancaccio e che volevano sapere come era andata oggi, che impressione avevo avuto. Sono incuriositi, speranzosi, entusiasti, dubbiosi, critici, avviliti dalle divisioni, incazzati con noi.
Tra loro una compagna che mi ha detto più volte che l’alleanza con Mdp era necessaria e che non c’era bisogno di persuadere Rifondazione, che tanto Rifondazione avrebbe aderito comunque alla lista con Mdp, pur con Bersani e D’Alema, poiché realisticamente non aveva altra possibilità: «Non c’è né lo spazio né il tempo per una lista della sola sinistra radicale», dicevano in tanti.
Avevano ragione. C’è infatti lo spazio per una sola lista della sinistra radicale.
Le ho risposto così:
«Poiché siete convinti che una lista di sinistra radicale sia irrealizzabile andate avanti a farne una moderata, senza ostacolare chi una lista radicale la sta realizzando».
Così è la vita, con chi è in buona fede ci ritroveremo pur militando in progetti diversi, perché non si sta insieme nelle liste, si sta insieme nelle lotte. Teniamoci stretti.
#poterealpopolo

domenica 19 novembre 2017

Ex OPG Occupato: Avevamo detto: "bisogna sognare!", e ieri il sogno è cominciato


Anche se i media, pure quelli di sinistra, non sembrano essersene accorti, ieri è successo qualcosa di straordinario. E non solo perché un centro sociale ha dichiarato di voler partecipare alle elezioni, o perché un'assemblea chiamata 3 giorni prima ha riempito un teatro di 800 posti senza sponsor mediatici, senza "grandi nomi", senza bisogno di truppe cammellate...
Ma per l'entusiasmo, la passione, l'emotività che ieri si sentiva nell'assemblea e che ha attraversato in questi giorni l'Italia come una scarica.
Tanti gli interventi, circa 40, di vertenze lavorative, lotte territoriali, associazioni e comitati, realtà politiche, singoli cittadini. Tantissimi i giovani e le donne che hanno preso parola sul palco, come mai se ne vedono in eventi simili. Tutti animati dagli stessi problemi, dalle stesse paure, ma anche dalla stessa voglia di fare, di costruire una lista popolare che riesca a intercettare il bisogno di riscossa che cova nel nostro paese.
Oltre cinquecento persone in media collegate da tutta Italia per seguire la diretta, decine di migliaia quelle che l'hanno vista in seguito, oltre 90.000 che hanno visto il video di lancio.
Due, tre generazioni che si sono riunite e finalmente hanno dialogato, mondi delle organizzazioni della sinistra che si sono ritrovati insieme ai movimenti sociali in nome di comuni ideali.
Uno spirito nuovo, bello, fresco, sincero: senza tatticismi e politicismi, perché la politica è innanzitutto questo, migliorare la vita collettiva, trovare insieme soluzioni ai problemi, mettere in pratica le cose di cui abbiamo bisogno.
Ieri sera abbiamo brindato, felici perché in tanti hanno accettato la sfida che avevamo lanciato, felici perché la politica è anche gioia, e per noi rompere un muro di rassegnazione e depressione, creare scompiglio, è già una vittoria.
Oggi si ricomincia a lavorare. Non possiamo perdere tempo. Perché non ne abbiamo. Perché chi ci segue e chi dobbiamo ancora coinvolgere aspetta un messaggio chiaro, deciso, che gli permetta di mobilitarsi, di partecipare, di salire anche lui sul palco delle elezioni a raccontare al paese la sua storia, le sue lotte, i suoi bisogni, i mezzi per soddisfarli.
Perché siamo sicuri che ci sono ancora tanti compagni di strada da coinvolgere, altri centri sociali, altri comitati di lotta, altri pezzi sindacali, altre reti studentesche, altri gruppi politici, e tanti altri singoli insoddisfatti di quello che hanno. Possiamo e dobbiamo farlo. Questa deve essere la casa di tutti quelli che lottano, di tutti quelli che ci credono sinceramente e senza tornaconti.
Oggi mettiamo su la mailing list. Faremo uscire il resoconto di tutti gli interventi. A partire da quelli, prepareremo una bozza di programma, che sottoponiamo a tutte le assemblee territoriali, a quelle già esistenti e alle nuove che saranno chiamate in questi giorni. Fra due/tre settimane ci rivediamo, e cerchiamo di chiudere il tutto.
Non sarà facile raccogliere centinaia di migliaia di firme in tutta Italia, non sarà facile arrivare a bucare i media, non sarà facile guadagnare il diritto all'esistenza per i soggetti non rappresentati dalle classi dominanti.
Ma ognuno di noi ha un potere che nemmeno immagina, che se messo in relazione con quello degli altri, può produrre una mezza rivoluzione!
Grazie ancora a tutte e tutti. Potere al popolo!
Ex OPG Occupato - Je so' pazzo

sabato 18 novembre 2017

Pazza idea a sinistra, l’assemblea di Roma per una lista alternativa

In corso a Roma l’assemblea popolare per la costruzione di una lista alternativa al Pd e al centrosinistra per le prossime elezioni politiche

di Checchino Antonini
Appunti in dretta.
La diretta facebook è disponibile sulla pagina dell’ex Opg. Alle 10 ci sono già alcune decine di persone al Teatro Italia per un’assemblea convocata solo un’ora dopo. E’ l’appuntamento lanciato dal centro sociale napoletano Je so’ pazzo dopo l’eutanasia del Brancaccio da parte degli autonominati garanti, Falcone e Montanari. Punto unico all’ordine del giorno, la nascita di una lista davvero alternativa al Pd e al centrosinistra, senza le ambiguità di un percorso guidato dagli stessi settori politici che hanno smantellato le conquiste dei lavoratori imponendo tutti i dictat del liberismo: austerità, privatizzazioni, trappola del debito, guerra globale, repressione e un sistema elettorale maggioritario.
«Alla fine un teatro ce lo siamo dovuto affittare per poter intervenire!», esordisce Viola dell’ex Opg alludendo a quando lei stessa contestò Gotor, l’emissario di D’Alema sul palco del Brancaccio. «Del Brancaccio – continua – non ci piacevano certi compagni di viaggio». Viola parla della barbarie che avanza, dello spostamento a destra ormai conclamato, di Minniti che si presenta ai funerali di 26 donne migranti uccise dalle sue leggi. C’è una Costituzione da applicare soprattutto quando dice che vanno rimossi gli impedimenti sociali che sono alla base di disuguaglianze crescenti. Ha un linguaggio semplice e diretto, Viola, e più volte viene interrotta dagli applausi: «Facciamo le cose al rovescio», dice spesso esortando il teatro a superare i politicismi, i tatticismi, “le addizioni”, le chiama lei. «Dov’era il No facciamo il Sì!»: l’Internazionale di Fortini, evoca il mutualismo, il controllo popolare, l’esperienza del suo centro sociale nell’ascolto degli esclusi per «riprederci quel popolo che ci hanno levato». I passaggi che suggerisce il suo intervento prevedono una serie di assemblee popolari nei territorio prima di tornare a Roma fra due-tre settimane con poche parole d’ordine, un «programma minimo» capace di far breccia nel popolo.
Cosa sia il “popolo” lo spiegherà, dopo di lei, Manuela, 24 anni, accento campano e pelle nera, nata a Santa Maria Capua Vetere nel ’93 ma senza diritti di cittadinanza. Martedì, per l’ennesima volta, varcherà la soglia di una questura per farsi prendere le impronte digitali e richiedere il permesso di soggiornare nel paese in cui è nata. Bene, è lei a ripulire la parola popolo da ogni ambiguità populista e interclassista: «Sono le persone escluse, violate, sfruttate». Ossia, spiega Eleonora Forenza, eurodeputata Prc-Altra Europa, è la maggioranza della popolazione che il capitalismo divide in minoranze, mette in competizione, condanna alla solitudine. Forenza, una delle prime a essere contagiata dalla “pazza idea”, coglie la suggestione di una esperienza che parte proprio dalla riappropriazione di un luogo, un manicomio, in cui il capitalismo segrega persone condannate da esso stesso a un destino di patologia e devianza. Forenza chiede una campagna elettorale di cui non ci si debba vergognare, che sia chiaro che chi sta col Pse è un avversario di classe e non un possibile alleato.
No Muos, No Tap, No Tav (anche se l’intervento di Nicoletta Dosio, dalla ValSusa salta per motivi tecnici), Almaviva di Roma, autoconvocati della scuola, rete alternativa al G7, rete per l’autorganizzazione popolare, Bsa, Osservatorio Repressione, Napoli direzione opposta, un operaio dell’Ast di Terni (certamente mi sto dimenticando qualcuno): la lista degli interventi è soprattutto la fotografia delle movimentazioni sociali e delle vertenze nei posti di lavoro.
A fare da filo conduttore sembra essere l’idea di una riappropriazione collettiva della politica, della rappresentanza, delle pratiche sociali. La fine dell’equivoco, il «paradosso clamoroso», lo definisce Franco Turigliatto di Sinistra Anticapitalista, che chi ha guidato «vent’anni di neoliberismo che hanno cambiato tutto», chi ha bombardato, gestito l’austerità e distrutto l’unità di classe e tra le generazioni, oggi voglia guidare la ricostruzione della sinistra. Turigliatto riprende l’osservazione che già aveva fatto nell’intervista a Popoff, che saranno decisive le lotte, e da lì bisogna ripartire.
«Se ci sarà una lista di sinistra, sarà quella che esce da questa sala!», mette in chiaro Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione in fondo a un intervento in cui ha provato a spiegare che il suo partito, più che mettere il cappello, è interessato a partecipare alla ricostruzione di una sinistra popolare e di massa «che non sia quella confiscata da quelli del governo Renzi, del governo Monti, del governo Gentiloni.
«Basta con il meno peggio e con l’illusione di tirare per la giacchetta governi amici», dice anche Sergio Cararo di Eurostop annunciando che una decisione potrà arrivare dalla loro assemblea del 2 dicembre.
Molti interventi restano (colpevolmente) fuori da questi appunti per cui si consiglia di riguardare la diretta per rendersi conto della qualità dell’interlocuzione in corso e del clima realmente inedito che si respira in sala.

venerdì 17 novembre 2017

La sinistra è come ogni altra cosa. Impossibile fino a quando non la fai di Francesca Fornario

La sinistra è come ogni altra cosa. Impossibile fino a quando non la fai

Andrà a votare solo un elettore su due.
Al posto dei sondaggi sulle intenzioni di voto bisognerebbe fare i sondaggi sulle intenzioni di non voto: chiedere a chi non vota da quanto e perché. Non lo faranno, non è interesse dei grandi partiti che commissionano i sondaggi, poiché in politica non esiste il boicottaggio.
Le compagnie telefoniche ti tempestano di telefonate se le abbandoni per un altro operatore. Ti promettono sconti e vantaggi per convincerti a tornare. I partiti non lo fanno, perché la quantità di denaro e potere che si spartisce chi arriva in Parlamento non aumenta né diminuisce in funzione di quanti vanno a votare. Quel che conta è spartirsi la torta, nessuno si cura degli elettori delusi, impoveriti dai governi che hanno preferito salvare le banche invece delle persone e le imprese invece dei lavoratori.
Questa sofferenza diffusa si è canalizzata quasi sempre nel rifiuto, nella disillusione, nel non voto. Più raramente nel voto al Movimento Cinquestelle o in quello dichiaratamente reazionario alla Lega, nella convinzione che la novità e la reazione fossero comunque meglio della conservazione dello status quo.
E la sinistra? Non è mai apparsa sufficientemente nuova o non è mai sufficientemente apparsa: quella che andava in tv era rassegnata ad accettare i rapporti di forza, prometteva di mitigare l’ingiustizia, invece di che di combatterla, poiché faceva accordi con quelli che l’ingiustizia l’hanno prodotta attraverso le leggi che hanno votato: il pareggio di bilancio in Costituzione, la legge Fornero, lo Sblocca-Italia, il Jobs Act.
L’altra sinistra – quella che ha sempre avversato questi provvedimenti e quelli che li hanno votati – in tv non viene invitata. Partiti come Rifondazione Comunista o il Partito Comunista che hanno mille volte più militanti, elettori, eletti e sedi di Casapound e che chiedono di cancellare la legge Fornero, vengono ignorati, mentre Di Stefano imperversa in prima serata, essendo funzionale al disegno dei grandi partiti conservatori (“Vota Pd o arrivano i fascisti!”. Una volta era: “Vota Pd o arriva Berlusconi che cancella l’art. 18”. Che nostalgia). A parlare di pensioni si invita la stessa Fornero, ministra di Monti, che quando si è misurato con il consenso elettorale ha racimolati pochi parlamentari per lo più confluiti nel Pd. Per questo Fornero viene invitata in tv e la sinistra che vuole cancellare la sua legge no.
Tra gli elettori di sinistra, la delusione e il conseguente bisogno di una rappresentanza politica alternativa si è andata allargando mano a mano che Renzi cancellava l’articolo 18, minacciava di riformare la Costituzione e la legge elettorale riducendo spazi di democrazia, imponeva 400 ore di lavoro gratuito agli studenti in alternanza.
Per molti tra gli elettori delusi dal centrosinistra le offerte alternative non sono potabili. Preferiscono astenersi piuttosto che votare per Di Maio che minaccia di riformare i sindacati – i sindacati li riformano i lavoratori – e che definisce con disprezzo “taxi del mare” le barche delle Ong che salvano vite umane, così come preferiscono astenersi piuttosto che votare per il Pd di Renzi che difende Marchionne e di Minniti che ha stretto accordi con gli ex trafficanti per trattenere i profughi nei lager libici.
Alcuni elettori di sinistra avevano riposto fiducia nel processo del Brancaccio, esploso per le sue contraddizioni. L’unità a sinistra è fallita per aver inseguito chi invocava il compromesso – un nuovo centrosinistra – prima della svolta radicale, e la svolta radicale solo come ripiego tardivo se proprio non c’erano margini per il compromesso.
In tanti avevano sperato che le ambiguità e le contraddizioni si risolvessero grazie al potere taumaturgico del programma radicale. Si erano illusi che bastasse farlo sottoscrivere a chi ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, la legge Fornero, il Jobs Act, per costruire un partito credibile e attrattivo per quelli che queste riforme le hanno subite e combattute: a patto di chiedere a chi aveva avuto incarichi di governo di non candidarsi.
A pochi mesi dalle elezioni, quel programma era ancora da scrivere, il passo indietro – mai imposto – non è stato fatto, il Brancaccio è saltato.
Ne avevo scritto mesi fa, con Marta Fana, su questo giornale. Continuo come allora, sommessamente, a credere che gli elettori non vogliano una sinistra unita ma una sinistra credibile. Che i voti non si sommano ma si conquistano.
Che la politica sia anche compromesso ma soprattutto coerenza, che sia anche confronto ma soprattutto lotta, che sia anche prudenza ma soprattutto coraggio, slancio, determinazione. Perché se non si è convinti – se si oscilla ogni giorno tra il centrosinistra e il quarto polo – non si è convincenti, e lo ha dimostrato il voto in Sicilia.
Al posto dell’assemblea del Brancaccio, sconvocata dai suoi promotori, domani a Roma ce ne sarà un’altra, alle 11 al Teatro Italia di Via Bari. L’hanno indetta i giovani militanti dell’Ex Opg Je so pazzo e in centinaia stanno aderendo da tutta Italia. Di loro ho scritto qui, per le battaglie a favore dei migranti, e qui, per quelle contro il lavoro nero.
Avevano partecipato alla prima assemblea del Brancaccio, erano stati allontanati dopo che una di loro era salita sul palco per protestare in modo scomposto perché si dava la parola a Miguel Gotor, di Mdp, e non a loro e perché c’era Massimo D’Alema in prima fila: «Come la costruisci la sinistra dal basso con Bersani e D’Alema?!». «Una provocazione», si disse. Anche molto sgarbata. Ma le contestazioni, per essere efficaci, devono indisporre chi viene contestato, perciò sono spesso prive di garbo.
Alla luce di come sono andate le cose, quella contestazione che allora era sembrata fuori luogo (li avrebbero comunque fatti parlare, ma dopo Gotor) appare, nel merito, centrata: Mdp ha avuto più voce in capitolo della “società civile” e ha incoronato leader della lista alternativa al Pd Pietro Grasso, che fino a ieri era nel Pd. Così ha dichiarato Tomaso Montanari, spiegando le ragioni per le quali il Brancaccio è saltato: «I segretari di Mdp, Possibile e Sinistra italiana hanno scelto un leader. E questo ha ‘risolto’ tutti i problemi: nella migliore tradizione messianica italiana. Poi hanno lanciato un’assemblea, che si sta costruendo come una spartizione di delegati tra partiti, con equilibri attentamente predeterminati». I tre segretari hanno sottoscritto un documento escludendo Rifondazione Comunista – sgradita a Mdp – che aveva aderito al percorso del Brancaccio, e lo stesso Montanari che di quel documento, dice, aveva partecipato alla stesura della sola introduzione e riteneva il testo inaccettabile.
Mentre tutto si lacera (diversi esponenti di Sinistra Italiana si sono sospesi dalle cariche: a Firenze, tutti i consiglieri comunali) e monta lo smarrimento e lo sconforto nei militanti, i ventenni dell’Ex Opg propongono di fare comunque l’assemblea, aperta a tutti quelli che vogliono costruire una lista di sinistra alternativa – come volevano e ancora vogliono molti tra i protagonisti del Brancaccio – e che abbia come punto di partenza e non di approdo un programma radicale, in totale contrapposizione con le riforme che hanno impoverito il 99 per cento di noi e arricchito l’un per cento degli altri: «Da troppo tempo ormai la sinistra è lontana dal popolo, si perde in inutili accrocchi invece di risolvere i problemi reali delle persone. L’annullamento dell’assemblea che sabato avrebbe dovuto dare seguito al percorso del Brancaccio, per cui tante e tanti avevano profuso impegno in buona fede, è stata l’ennesima dimostrazione. Noi che siamo stati cacciati dal Brancaccio, vogliamo accogliere tutti, dare modo a tutte quelle forze pulite, alle assemblee territoriali, di riaprire una strada».
Parteciperanno in tanti tra quanti, del resto, avevano già comprato il biglietto del treno. «La storia ci dice che sarà l’ennesimo partitino di sinistra», scrive qualcuno. La storia ci dice anche che una cosa è impossibile finché non arriva qualcuno che la fa.

Sinistra antiliberista, lavori in corso: vietato fermarsi!


Sinistra antiliberista, lavori in corso: vietato fermarsi!


di Andrea Ferroni, Portavoce Nazionale Giovani Comunisti/e

Il 18 Novembre avremmo dovuto partecipare – dopo oltre 100 assemblee territoriali – ad una assise decisiva del percorso iniziato al teatro Brancaccio di Roma il 18 Giugno scorso. Il Brancaccio ha rappresentato per me una reale occasione, un vero momento di discussione e partecipazione tra i tante e le tante (non tutti purtroppo) che in questi anni hanno resistito e continuano a resistere faticosamente, ma con un coraggio da leoni, nelle strade, nelle città, nelle province, nei luoghi di lavoro e in ogni aspetto della propria vita alle politiche neoliberiste. Penso a tutti noi, a chi milita nelle associazioni, nei movimenti, negli spazi sociali, nei partiti; a chi, organizzando e partecipando ai comitati del NO al Referendum del 4 Dicembre ha festeggiato con noi la vittoria nella battaglia in difesa della costituzione; a chi ancora riempie le piazze, a chi si getta anima e corpo nelle lotte, a chi ancora insegue la certezza che un altro mondo non solo sia possibile, ma sia anche necessario. Per me questo è stato, e rimane, il percorso del Brancaccio, un modo per rovesciare tutto, per invertire la rotta di un paese ormai vittima da tanti anni delle politiche neoliberiste, portate avanti sia dal centro-destra che dal centro-sinistra. L’espressione “rimane” non è casuale, abbiamo l’occasione e la necessità di non rovinare quanto di buono fatto in questi mesi e migliorare il percorso. La necessità è quella di dare voce alle mille vertenze di conflitto sociale aperte in questo Paese, pensiamo alla campagna Stop-Ttip, agli operai dell’Ilva che occupano la fabbrica, agli studenti che scendono nelle piazze italiane per dire No all’alternanza scuola-lavoro, ai No-Tav, ai No-Tap e molti altri ancora, questi dovranno essere il nostro programma vivente. Per farlo va ribadito che il percorso del neoliberismo in Italia non inizia con la stagione del renzismo, quindi con Jobs Act e Buona Scuola, ma delle riforme precedenti che hanno fatto da spartiacque a quest’ultime, pensiamo alla riforma Treu sul lavoro e alla riforma Berlinguer per la scuola. Per questo l’appello lanciato dai compagni dell’Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo di Napoli (che viene fuori dalla pancia e dal cuore) di riaprire e ravvivare a partire dalle assemblee territoriali e da tutte le forze pulite li presenti un percorso dato dai media per morto non può che essere accolto, condiviso e rilanciato con entusiasmo. A questi compagni sono grato anche perché la proposta parte proprio da chi dal Brancaccio si era sentito sbattuto fuori. Alla luce di queste mie brevi riflessioni, mi unisco al loro appello e chiedo perciò a tutti/e (in primis ai Giovani Comunisti, ma in maniera più ampia anche a tutta la mia generazione) uno sforzo sovraumano che, a partire da questo sabato, possa davvero ambire a ricompattare le numerose, generose e fondamentali esperienze dell’alternativa socialista reale disseminate nei nostri territori, troppo spesso, ahimè, atomizzate. Il 18 Novembre andiamo tutti e tutte a Roma, partecipiamo all’assemblea da protagonisti, dimostriamo che il popolo, quando sa organizzarsi, non ha bisogno di mentori, leader, messia o padroni. Dimostriamolo lavorando insieme per costruire la rappresentanza delle istanze di chi subisce l’ingiustizia e la marginalizzazione sociale e della parte migliore del paese, quella propositiva e solidale. Possiamo ambire a rappresentarli perché loro siamo noi. E possiamo costruirla dalla base, perché noi siamo la base. Sono anni che ci dipingono come nichilisti, superficiali svogliati e individualisti: non siamo appassionati alla politica, siamo disinteressati alla società, rassegnati e indifferenti; dimostriamo che non è così. E’ arrivato il momento di riprenderci il presente per costruire un futuro diverso. E cambiare questo paese da protagonisti. Stavolta davvero.

mercoledì 15 novembre 2017

«Sinistra, basta teatrini! Nessuno ci rappresenta, facciamolo noi»

Sinistra, dopo l’eutanasia del Brancaccio, una proposta da un centro sociale napoletano per un’assemblea popolare a Roma, sabato prossimo

«Nessuno ci rappresenta, facciamolo noi!»: da Napoli provano a smuovere le acque i militanti di Je so pazzo, occupanti dell’ex Opg, che hanno appena lanciato in rete un video appello per un’assemblea popolare a Roma, proprio il 18, proprio perché i due tutori del percorso del Brancaccio non hanno reputato i loro adepti abbastanza all’altezza di tenere un’assemblea. E a smuovere le acque dopo l’eutanasia del Brancaccio, sono proprio quesgli attivisti napoletani che quel 18 giugno che sembra un secolo fa erano balzati sul palco per contestare l’ambiguità dell’eventi rispetto allo stato maggiore di Mdp, presente in prima fila con D’Alema e sul palco con Gotor che se ne uscì sprezzante con chi aveva osato disturbare la sceneggiata.
In pochi minuti centinaia di like sono scattati sotto il post e tra questi spiccano i nomi di Eleonora Forenza e Maurizio Acerbo, rispettivamente eurodeputata e leader della minoranza interna del Prc, e segretario nazionale dello stesso partito.
«Siamo come voi che ci state guardando: studenti, precari, disoccupati – si ascolta nel videomessaggio – abbiamo realizzato che a marzo si andrà a votare e nessuno si farà carico deprimerci, rassegnarsi, andare al mare, votare il meno peggio. Ma se siamo la maggioranza di questo paese perché non candidarci in un progetto alternativo. E forse non siamo i soli pazzi a pensarlo. Per questo abbiamo deciso noi di convocare quest’appello».
Tra le risposte anche quella di Francesca Fornario: «Siccome le trattative sono in corso, io posso fare quella che chiama Fassino e lui mi dice: «Se Ex OPG Occupato – Je so‘ pazzo vuole fare politica fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende!».
L’idea circolava in vari ambiti. Poche ore prima, Guido Liguori, docente a Cosenza, legato all’International Gramsci Society, s’era chiesto, sempre sui social, e aveva domandato ai suoi compagni dell’Altra Europa: «Perché non ci si può vedere incontrare discutere lo stesso? Solo perché Ana e Tomaso hanno vacillano, impauriti, di fronte al baratro di una assemblea davvero democratica, non gradita ad alcuni partiti? La si faccia lo stesso! Invitando anche tutte dico tutte, quelle forze politiche presenti al Brancaccio. E ancora di più i senza partito ivi convenuti il 18 giugno. Visto che i partiti son visti con sospetto, perché non può essere un “non partito” come l’Altra Europa a prendere l’iniziativa?». 
«Io ci sarò. Non mi arrendo ma credo che per ripartire occorra buttarsi alle spalle tutto il politicismo che ci ha soffocato in questi anni», ha ribattuto Eleonora Forenza.
Ecco il post che lancia l’appuntamento di sabato prossimo.
IERI SERA ABBIAMO PARLATO DI ELEZIONI… NE È VENUTA FUORI UN’IDEA DA PAZZI E ABBIAMO REGISTRATO QUESTO VIDEOMESSAGGIO: CHI CI STA A REALIZZARLA?
Non badate alla forma, è un messaggio improvvisato, alla buona, ma che viene fuori dalla pancia e dal cuore. Vogliamo che sia chiaro e arrivi forte a voi tutti, lavoratori, studenti, disoccupati, giovani, italiani e immigrati, donne: ci siamo stancati di subire, di scegliere il “meno peggio” o di sentirci tagliati fuori. A Marzo si andrà a votare…
Nessuno si farà carico dei bisogni popolari.
Nessuno parlerà di disuguaglianze sociali, di diritti negati, di democrazia sui territori.
Nessuno racconterà la parte propositiva e solidale, che vive dappertutto nella penisola.
NESSUNO CI RAPPRESENTA, FACCIAMOLO NOI! Dal nord al sud, nelle città e nelle province, il popolo che ogni giorno subisce decisioni scellerate, che produce la ricchezza di cui pochi beneficiano, che ogni giorno migliora i contesti in cui viviamo.
Da troppo tempo ormai la sinistra è lontana dal popolo, si perde in inutili accrocchi invece di risolvere i problemi reali delle persone. L’annullamento dell’assemblea che sabato avrebbe dovuto dare seguito al percorso del Brancaccio, per cui tante e tanti avevano profuso impegno in buona fede, è stata l’ennesima dimostrazione. Noi che siamo stati cacciati dal Brancaccio, vogliamo accogliere tutti, dare modo a tutte quelle forze pulite, alle assemblee territoriali, di riaprire una strada.
Questo paese sta diventando depresso, cattivo, risentito. Incontriamoci, dimostriamo che la lotta ci dà un senso, ci dà speranza!
Trasformiamo il teatrino elettorale in una dichiarazione di esistenza di tutti gli esclusi.
SABATO MATTINA ALLE 11 A ROMA ASSEMBLEA POPOLARE! A breve indicazioni sul luogo preciso. Forza che sto paese lo cambiamo!

martedì 14 novembre 2017

«Scendiamo dal palco del Brancaccio!»

Verso l’assemblea del percorso del Brancaccio. Intervista con Massimiliano Murgo, uno degli operai che occupò la Marcegaglia e dirigente Prc

di Checchino Antonini
Protesta di operai che si sono incatenati davanti al cancello della ditta Marcegaglia
Che cosa pensano gli operai della politica? E della sinistra? Perché le tute blu sono tra le più disaffezionate al voto e, se votano, scelgono Lega o 5 stelle? Massimiliano Murgo è il delegato che negli scorsi anni ha animato la durissima vertenza alla Marcegaglia di Milano ed è membro della direzione nazionale di Rifondazione Comunista. Come tutti gli operai che lo scorso anno hanno occupato gli uffici della Marcegaglia per 15 giorni è stato raggiunto da avviso di garanzia. E’ con lui che proviamo a ragionare sul legame tra le lotte quotidiane dei proletar* e i percorsi politici in campo relativamente alle tornate elettorali recenti e in arrivo.
Dopo la conclusione vittoriosa della vertenza dello scorso anno la repressione non ha tardato a farsi sentire, cosa vi contestano esattamente e quali sono le ragioni?
Chi ha seguito la vertenza Marcegaglia a Milano sa che è stata durissima e che, negli ultimi due anni, ha visto protagonisti, da soli, 7 operai contro il gigante della siderurgia, nonché rappresentante europeo degli industriali. L’occupazione degli uffici di Milano ha di fatto rallentato, se non bloccato del tutto, la produzione di 4 stabilimenti Marcegaglia legati al ramo Buildtech. Tutti gli impiegati commerciali e amministrativi non hanno potuto lavorare in quei giorni, e con loro gli operai degli stabilimenti coinvolti. Il magistrato ci contesta la violenza privata, con l’aggravante del concorso e di “essere armati” di taniche con liquido verde. Per riconquistare la nostra dignità non avevamo alternative e rivendico ogni singola scelta fatta in quei giorni. La giustezza della nostra azione è rappresentata dall’accordo che ne è scaturito. Ora l’apparato repressivo dello stato ci processa perché non vogliono e non possono accettare che i lavoratori e le lavoratrici si organizzino con tutta la radicalità e la forza di cui sono potenzialmente capaci e siano in grado di piegare la volontà dei padroni. La regolamentazione del diritto di sciopero, la legge Fornero, il Jobs Act, l’accordo del 10 gennaio sono il recinto dentro il quale non riusciamo più a vincere una vertenza, fuori da quel recinto ci sono le possibilità di riscossa di classe. Noi abbiamo rotto le regole del gioco per questo vogliono farcela pagare. Ma per noi il processo sarà un occasione ulteriore di battaglia per i diritti e la dignità di tutti e tutte. Stiamo Pensando di organizzare a ridosso del processo una assemblea autoconvocata per condividere le scelte di mobilitazione durante il procedimento.
Nella tua esperienza ventennale in fabbrica, e per 15 anni di delegato riconosciuto e seguito anche fra gli altri metalmeccanici, qual è la percezione diffusa della cosiddetta “sinistra” fra i lavoratori?
C’è un abisso enorme tra la percezione dei lavoratori e delle lavoratrici e la politica in generale. Intanto spesso identificano la sinistra, o addirittura il comunismo, nel Partito Democratico, ma fondamentalmente covano una rabbia che non riesce a trovare sbocco e prospettiva in nessuna proposta in campo. Molta di questa rabbia nell’urna trova sbocco nel “voto di protesta” al movimento di Grillo, altrettanto spesso la croce finisce a supportare la xenofobia leghista o peggio. Almeno il 50% non vota più perché non crede più a nessuno. A causa delle politiche sindacali degli ultimi anni, della frammentazione profonda del sindacato di base, è diventata una rarità fra gli operai la consapevolezza della lotta quale strumento di emancipazione sociale, e nonostante ciò sono decine, centinaia e forse migliaia le vertenze che scoppiano ogni giorno in aziende di tutta Italia. Vertenze che non hanno né eco né rappresentanza, né organizzazione. Tutto questo produce rabbia e senso di frustrazione che spinge verso una radicalità che la cosiddetta “sinistra” né paventa né organizza, ma anzi spesso rifugge. E’ in questo modo che il razzismo e il fascismo riattecchiscono nel tessuto proletario del nostro paese.
A questo punto ti chiedo un’opinione sulle elezioni regionali siciliane, e se, a tuo parere, la lista di alternativa messa in campo abbia dato qualche risposta alle enormi masse di sfruttati di cui parli.
L’unico elemento positivo che rilevo nella recente esperienza elettorale siciliana è la grandissima generosità e operosità dei compagni e delle compagne del nostro partito che si sono spesi in una lunga e difficile campagna elettorale, ma sia l’origine della lista, la sua composizione e il risultato non hanno nulla a che vedere con quanto hanno bisogno le lavoratrici e lavoratori e la galassia di organizzazioni e associazioni che tentano incessantemente di dare rappresentanza ai loro interessi. Dal mio punto di vista la lista ha, come spesso accaduto negli ultimi 10 anni , parlato a un ceto medio di “sinistra” deluso dalle scelte del centro sinistra ma che nulla ha a che fare, nel suo portato politico e sociale, con l’esigenza di radicalità e prospettiva necessaria a risvegliare non solo la partecipazione al voto ma anche e soprattutto la mobilitazione di quelli che Antonio Gramsci chiamava “i subalterni”, coloro i quali pagano le conseguenze più nefaste del potere padronale. La lista è stata, nonostante i proclami, il frutto di un accordo fra dirigenti politici, le candidature espresse da segreterie e non dalle assemblee di base, di movimento, di lotta, di prospettiva. MDP con questa tornata ha cominciato la sua opera di costruzione/ricostruzione della sua immagine. Non credo di essere stato solo io a far caso che i TG che hanno seguito tutto lo spoglio indicavano accanto alla foto di Fava la dicitura “MDP-ALTRI”. Il tanto evocato “popolo dell’astensione” non è stato affatto stimolato dalla proposta messa in campo, sia per le modalità della proposta, per i contenuti e per il fatto che alcuni candidati fino a poche settimane prima della presentazione delle liste stavano ancora sul carrozzone di Orlando e Micari. Addirittura si è registrato un ulteriore calo dell’affluenza alle urne. Insomma nulla di tutto ciò che negli ultimi mesi la proposta del “Brancaccio” auspicava.
E qui arriviamo al punto più controverso di tutta la discussione politica degli ultimi mesi, l’alleanza popolare per la democrazia. Il 18 novembre è convocata la nuova assemblea. I limiti dell’esperienza siciliana non potrebbero secondo te ritrovarsi anche sul piano nazionale?
“La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni” diceva qualcuno, il rischio è molto alto. In diverse città piccole e grandi d’Italia si sono tenute assemblee programmatiche. In alcuni casi alcuni settori di classe conflittuali si sono timidamente affacciati alla discussione. Poco in realtà rispetto a ciò che servirebbe. Con la dovuta chiarezza programmatica, cercando di includere chi è critico non escludendo a sinistra, allargando la partecipazione il più possibile, così come il nostro partito si è proposto nell’ultima direzione nazionale, a tutti quelle organizzazioni di classe, settori sociali e conflittuali, comitati, associazioni, sindacati conflittuali e tutta la ricchezza di militanza che ha dato vita al “NO SOCIALE”, potrebbe aprirsi un terreno di ricomposizione utile soprattutto al rilancio di una stagione di conflitto e riappropriazione, di riunificazione di classe su una prospettiva solidale, passando anche attraverso la costruzione della rappresentanza delle istanze “subalterne” alle prossime elezioni politiche. Ma l’accordo programmatico pubblico fra MDP-SI-Possibile e, con lo stupore di molti, di Montanari e Falcone, dà la dimensione della traiettoria che vogliono dare al percorso: in cento piazze si discute il programma ma, senza avere neanche la furbizia di attendere la prossima assemblea del 18 novembre, il programma si delinea in qualche salottino tra gruppi dirigenti e i 2, a mio avviso ex, garanti. Una trappola che, ahimè, ha diversi precedenti, tra cui la Sicilia, e che tenta di mettere alle strette proprio il nostro partito, chiudendo su alcune questioni programmatiche dirimenti, fra cui la questione del pareggio di bilancio in costituzione, spingendoci ad attestarci su quel terreno politicista degli accordi tra vertici che ci renderebbe maggiordomi di D’Alema, Bersani, Fratoianni, Civati e il resto della banda.
Quindi che direte il 18 novembre?
A mio parere la presenza di Mdp e di tutti quei politicanti da salotto che hanno il solo obiettivo di eleggere un manipolo di parlamentari per mantenersi i vizi, nel percorso di costruzione di una prospettiva sociale antiliberista e anticapitalista capace di stimolare la partecipazione di chi da anni alla politica non ci crede più, era solo un intralcio. Il nostro partito non accetterà questo ricatto becero, ma liberi da quelle zavorre finalmente potremo aprire, con umiltà e spirito solidale, un percorso ampio con tutti quei soggetti che fino ad oggi da quel palco sono stati tenuti lontani. Possiamo finalmente provare a costruire un programma che incarni la necessaria radicalità rivendicativa di cui noi lavoratori e lavoratrici sfruttati abbiamo bisogno, che parli ai precari, alle finte partita iva, ai collaboratori, e metta insieme chi della lotta ne ha fatto una ragione della propria esistenza, consapevole che la terra la abbiamo in prestito dai nostri figli e sta a noi lasciargliela in condizioni vivibili. Il 18 a Roma ci sarò anche io, nonostante sia stato sempre, ed evidentemente a ragione, critico con quel percorso. Ci sarò per chiudere definitivamente con la banda del centro sinistra, e porre le condizioni per l’unità con cui da sempre condivido piazze, picchetti, occupazioni, scioperi. Con quelli che son sempre stati da una parte sola!