giovedì 31 maggio 2012

Opposizione alla controriforma della Fornero

presidio3005
di Stefano Galieni
Sono passati turisti che guardavano attoniti, automobilisti e motociclisti che rallentavano e salutavano, qualcuno si è fermato a scattare una foto, altri hanno espresso piacere nel vedere in piazza le bandiere con la falce e il martello. Pomeriggio caldo quello di ieri, si votava in Senato la fiducia alla controriforma al mercato del lavoro. Per porre il testo al riparo da piccole modifiche e soprattutto per dare una pronta risposta ai diktat della Merkel, della Bce e dei “mercati”, il governo ha come ormai di norma evitato anche il dibattito in aula. Un dibattito che sarebbe stato animato soltanto dall’opposizione proveniente dai banchi dell’IdV e forse da una destra che sperava di ottenere ancora di più. Il tutto nell’assordante e imbarazzante silenzio assenzo del Pd. Quindi quattro votazioni, dopo aver spacchettato l’intero testo della riforma, due ieri nel tardo pomeriggio e due questa mattina. A protestare un presidio indetto dalla FdS, i manifestanti erano stati confinati in Piazza delle Cinque Lune, per non disturbare neanche con i propri slogan e con la propria presenza, i ritmi parlamentari, soltanto dopo una trattativa è stato permesso di avvicinarsi leggermente a Palazzo Madama, restandone comunque distanti. In piazza militanti di base e dirigenti nazionali della Fds, una parte consistente della segreteria nazionale del Prc e del PdCI, i leader di Lavoro e Solidarietà. Una presenza cospicua tenendo conto del fatto che il presidio è stato organizzato in poche ore e in orario di lavoro. Si sono alternati interventi al megafono in cui oltre a protestare per quello che si preannuncia come un vero e proprio salto nel passato per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, si chiedeva a gran voce la convocazione di uno sciopero generale. I manifestanti reggevano un lungo striscione giallo con su scritto “Giù le mani dall’articolo 18”. Quando sono iniziate le operazioni di voto alcuni ex senatori del Prc e del PdCI, sono potuti entrare in parlamento e dalle tribune hanno lanciato verso chi sedeva negli scranni, volantini che motivavano le dure critiche alla controriforma e che chiamavano alla mobilitazione. Gli ex senatori sono stati poi ovviamente espulsi. Il segretario del Prc Paolo Ferrero, presente in piazza ha dichiarato:«Con il lancio di volantini che abbiamo fatto oggi nell’aula del Senato, la Federazione della Sinistra ha portato nel palazzo la voce dei lavoratori: giù le mani dell’articolo 18, non votate la controriforma della Fornero. Continueremo nei prossimi giorni la mobilitazione in opposizione alla controriforma del lavoro, quella che non era riuscita nemmeno a Berlusconi». A poche centinaia di metri un altro presidio organizzato dalla Cgil indetto unicamente come forma di protesta rispetto al voto di fiducia. Un presidio in cui di fatto si critica il metodo della controriforma ma se ne condivide gran parte della sostanza. Ora il pacchetto antilavoratori passerà all’esame della Camera. Si procede in gran fretta, bisogna dimostrare all’Europa che se si tratta di azzerare i diritti, si è primi della classe, cosa importa se con questo intervento di macelleria sociale si sprofonda ancora di più nella crisi invece di affrontarla?

In Europa avanzano le sinistre radicali e comuniste. In Italia si discute ancora di centrosinistra

L'avanzare inesorabile di una crisi sistemica del capitalismo che fa sentire sempre più forte in Occidente i suoi morsi, determinando maggiori disparità, povertà e aumento della disoccupazione, ha messo seriamente in discussione quel sistema imperniato sulla dittatura del capitale finanziario che per oltre vent'anni ci è stato presentato come ineluttabile.

L'avanzare inesorabile di una crisi sistemica del capitalismo che fa sentire sempre più forte in Occidente i suoi morsi, determinando maggiori disparità, povertà e aumento della disoccupazione, ha messo seriamente in discussione quel sistema imperniato sulla dittatura del capitale finanziario che per oltre vent'anni ci è stato presentato come ineluttabile.

Un pensiero penetrato in maniera profonda anche a sinistra, in certi settori dove politiche di segno maggiormente orientato in senso neoliberista sono state spesso portate avanti, con una furia tutta ideologica verso il keynesismo e lo stato sociale, in primis dai partiti socialisti ed affini alleati. Infatti, ogni qualvolta si è andati a manomettere tutele sociali, diritti sul posto di lavoro, pensioni, lo si è fatto appellandosi al necessario bisogno, impellente e improrogabile, di attuare le “riforme”. Dove per riforma era da intendersi la cancellazione di un diritto conquistato. Spesso dopo anni di lotte molto dure. Insomma, la lotta di classe dal versante dei padroni.
Tali politiche classiste, hanno colpito con durezza la classe lavoratrice, acuito le contraddizioni sistemiche e aperto uno spazio politico immenso a sinistra. Come hanno dimostrato le elezioni francesi in parte e quelle greche, nell'epicentro della crisi economica e finanziaria in maniera plastica. In entrambi i casi la sinistra radicale e comunista ha ottenuto ragguardevoli risultati.
In Francia la sinistra d'alternativa, riunita sotto le insegne del Front de Gauche – coalizione comprendente il Partito Comunista Francese, il Partito della Sinistra e movimenti ambientalisti ed anticapitalisti riuniti sotto la sigla della Federazione per un'Alternativa Sociale ed Ecologica – ha adottato un programma di netta rottura con i dettami ultraliberisti “dell'abbietta trojka” da cui non si discostano, sostanzialmente, i partiti socialisti “riformisti” d'Europa.
Programma imperniato sul rilancio del concetto di uguaglianza ritenuto dirimente a sinistra, che prevede, riassumendo in pochi punti: una «Costituente per la VI Repubblica», la «fine dei privilegi del capitale», il salario minimo a 1700 euro, tassazione al 100% per i redditi superiori ai 360000 euro, età pensionabile fissata a 60 anni, un massicciopiano di assunzioni nella funzione pubblica, nazionalizzazione delle grandi banche al fine 
di fondare un polo bancario - finanziario pubblico, la difesa dell'ambiente e dei beni comuni come acqua ed energia. Misure che costrinsero lo stesso presidente eletto Hollande, incalzato a sinistra, a rivedere alcuni suoi punti programmatici. 
In Grecia Siryza, la coalizione comprendente soggetti socialisti radicali, ambientalisti e comunisti, si appresta a diventare il primo partito con un programma ancora più di rottura col liberismo rispetto al Front de Gauche. La formazione di Tsipras propone: un audit sul debito con rinegoziazione di interessi e pagamenti; riforma della Bce; nazionalizzazione del sistema bancario e delle aziende pubbliche privatizzate; lotta alla precarietà; aumento dell’imposta sul reddito al 75% per tutti i redditi al di sopra di mezzo milione di euro l’anno; ritiro delle truppe dagli scenari di guerra e uscita dalla Nato; aumento dei sussidi per disoccupati e del salario minimo; depenalizzazione del consumo delle droghe. Per citare alcuni punti, che ben rendono l'idea, del netto programma antiliberista con sfumature anticapitaliste, della formazione greca che potrebbe guidare il prossimo governo ellenico.
In Italia, dove la sinistra non gode affatto di buona salute ed urgono misure concrete per alleviare le sofferenze delle classi sociali più deboli maggiormente colpite dalla crisi e su cui sono stati scaricati i costi, sarebbe lecito aspettarsi un'evoluzione in tal senso delle formazioni collocate alla sinistra del Partito Democratico. Invece abbiamo la Federazione della Sinistra (Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Socialismo 2000 e Lavoro e Società) a richiedere sostanzialmente in solitudine l'avvio di un percorso che porti alla costruzione di una sinistra d'alternativa e di contrasto al liberismo, dunque autonoma dal Partito Democratico che sostiene il governo Monti anche nel nostro paese. Mentre altre forze come Italia dei Valori e Sinistra Ecologia e Libertà di Vendola continuano ad appellarsi a formule ormai desuete e superate come il centrosinistra, oppure il fantomatico nuovo Ulivo che sarebbe rappresentato nella ormai celeberrima foto di Vasto, senza escludere l'apertura a forze centriste.
Un'alleanza che non avrebbe forza, probabilmente nemmeno volontà di operare una rottura netta con le politiche di austerità che sta portando avanti in maniera pervicace il governo tecnico. Senza alcuna visione organica di una società ridotta allo stremo, da trasformare. Una politica pavida ridotta a mera governance. Accettazione supina delle stato di cose attuali.

Beppe Grillo, Casaleggio e il M5S

Gianroberto Casaleggio
PER UN'ANALISI DEL GRILLISMO

IL LATO OSCURO DELLA FORZA

lettera aperta agli attivisti del M5S

di http://Sollevazione.blogspot.com

Lo sfondamento elettorale del Movimento cinque stelle (M5S) ha gettato il "grillismo" al centro del dibattito politico, e sotto la luce dei riflettori dei media di regime. Una domanda cruciale, per capire la natura del movimento, da dove viene e dove vuole andare a parare, è il legame tra i due guru fondatori: Grillo e Casaleggio.
Se fino a ieri questo problema era dibattuto in una piccola nicchia sul web, ora è al centro dell'attenzione. Molti i quotidiani che se ne sono occupati, ad esempio Marco Alfieri, su LA STAMPA del 26 maggio [Grillo e l'ombra inquietante di Casaleggio].

La cosa ha obbligato Gianroberto Casaleggio a venire allo scoperto, con una lettera indirizzata al Corriere della Sera [Casaleggio: "Ho scritto io le regole del M5S"] e da questo quotidiano messa in bella mostra, sia sulla versione stampata che quella sul web. Una lettera interessante, poiché Casaleggio, pur dicendo che egli non sta "dietro" ma "accanto" a Grillo, conferma alla grande di essere non solo un consigliere di Grillo per quanto attiene alla comunicazione, ma un vero e proprio mentore politico e l'architetto di tutta l'operazione politica.

Non si può dribblare la questione di quale sia, se c'è, il disegno politico e culturale. Il M5S è quel che sembra, o è solo un veicolo e una maschera di una conventicola che ha un disegno strategico? Possiede una sua idea di società? E se ce l'ha, qual é? E che giudizio darne?

E' in questo quadro che ha una notevole importanza vedere e ascoltare il videoclip ("Gaia: un nuovo ordine mondiale è nato oggi") con cui la Casaleggio associati, nel 2008, ben quattro anni dopo il sodalizio tra Casaleggio e Grillo, si presentò al suo pubblico.
 
 
 A premessa. Per chi scrive sono chiare 2 cose: (1) che il M5S è oramai un movimento di massa, per quanto solo d'opinione, e in quanto tale va giudicato; (2) che il successo del M5S —avendo colpito e indebolito un regime politico e sociale in cui ristrette oligarchie capitalistiche fanno il bello e il cattivo tempo— è un fatto salutare. 

Detto questo non ci si può esimere dal dare un giudizio, culturale prima ancora che politico, della narrazione di cui sopra. E il giudizio non può che essere impietoso. Ma prima di dare questo giudizio va chiarita una cosa: noi non pensiamo, come affermato da diversi apologeti della Casaleggio, che il video sia solo una mera operazione di marketing e che il messaggio sia solo un'escamotage da piazzisti per aumentare le vendite, senza cioè alcuna pretesa politica e ideologica. Noi siamo dell'idea che quella del video sia una esplicita narrazione ideologica. Una narrazione certo ambigua, ma nella sua tetra perfidia, nel suo sinistro carattere apocalittico, essa ha la potenza di un messaggio incontrovertibile.

E qual è questa narrazione? In buona sostanza questa: il Bene, ovvero l'Occidente "democratico" (imperialistico aggiungiamo noi), rigenerato dalla potenza salvifica di internet, si trova costretto a combattere la terza guerra mondiale contro il Male, ovvero il blocco tra Russia, Cina e il mondo islamico (dove internet è controllata e mutilata).  La guerra, catastrofica, provoca la morte di sei miliardi di esseri umani, si conclude con la vittoria del Bene, dell'Occidente, grazie a ciò anche "la rete trionfa". Dopo di che i sopravvissuti, tramite le proprietà taumaturgiche di internet, fondano la net democracy, un sistema mondiale che intreccia la "democrazia diretta di migliaia di comunità riunite attraverso la rete" con un regime centrale presidenzialista (Gaia). Un sistema in cui sono cancellati "partiti politici, ideologie e religioni".  Per la precisione: Google crea un network sociale mondiale (earthlink): "per essere tu devi essere in earthlink o non avrai un'identità, non è più richiesto un passaporto". Il video si chiude con l'inquietante asseverazione che "la conoscenza collettiva è la nuova politica".

La narrazione, squisitamente ideologica, si compone quindi di due parti. La prima descrittiva, la seconda prescrittiva. (A) L'umanità va verso una guerra e (B) essa risorge grazie alla vittoria campale dell'Occidente fondando un nuovo ordine mondiale.

Per quanto attiene alla prima parte (sorvoliamo sulle numerose stupidaggini, tra cui l'oblio in cui vengono gettati il miliardo e mezzo di cittadini africani e quelli latinoamericani), è spaventoso come essa sia una versione, nemmeno edulcorata, dell'Armageddon tanto in voga negli ambienti cristiano-sionisti nordamericani. L'idea centrale di Armageddon è che stiamo andando verso un conflitto ineluttabile tra l'Occidente democratico, raggruppato attorno all'asse euro-atlantico, contro il "mondo totalitario" della triade Russia-Cina-Iran, e la battaglia avrà appunto come epicentro Israele e scoppierà anzi in sua difesa. Sintomatico è che questo scenario apocalittico non venga minimamente esecrato. La guerra è presentata come battaglia ineluttabile e necessaria affinché vinca la net democracy. Due paradigmi saltano agli occhi: un'aperta apologia imperialistica della funzione redentrice dell'Occidente, e un'implicito e fascistoide culto della funzione rigeneratrice e palingenetica della guerra.

Il nuovo ordine mondiale post-apocalisse è in perfetta sintonia con le premesse: un sistema  globalista e dispotico di tipo orwelliano in cui, cancellati nazioni, partiti, ideologie e religioni, viene addirittura imposta, sotto le mentite spoglie della "conoscenza o intelligenza collettiva", una nuova teosofia fondamentalista livellatrice del pensiero. Internet diventa la modalità di connessione e di controllo di una società atomizzata e  autoritaria. Sotto piccole comunità autogestite, sopra un potere centrale assolutistico, probabilmente ierocratico. 
Uno stravagante e inquietante mostro anarco-fascista (non ce ne vogliano gli amici anarchici).

Tre domande sorgono inesorabili:

(1) La Casaleggio associati si riconosce nella spaventosa narrazione Gaia? o si è trattato solo di una disdicevole operazione di marketing?

(2) Beppe Grillo ne era a conoscenza? Si riconosce o respinge il delirante messaggio?

(3) La cosa più importante: cosa aspettano gli attivisti del M5S a dissociarsi dalla Casaleggio? A chiedere a Beppe Grillo di chiarire e fare altrettanto?

Poveri commercianti, come soffrono...

I dati derivanti dagli "studi di settore" rivelano che i redditi dichiarati dai commercianti crescono un pochino, nonostante la crisi.
A benguardare, però, sembra più l'effetto delle "intimidazioni" congiunte tra Guardia di finanza e Agenzia delle entrate, che non "crescita" del giro d'affari. E tantomeno di una "più matura coscienza civica" da parte del grosso di questa categoria. Per rendersene conto basta guardare il reddito dichiarato dai gioielieri, in un'epoca in cui la "corsa all'oro" attraversa le nostre città... con una marea di negozi che "comprano" il metallo che da sempre fa da bene-rifugio.
Persino il Corriere della sera si mostra perpleso e un tantino scandalizzato.


Bar, alberghi e gioiellieri:  redditi sotto 17 mila euro
Studi di settore: per la prima volta in un anno di crisi salgono, anche se soltanto dell’1%
ROMA — I redditi medi dichiarati nel 2011 dai quasi 3,5 milioni di contribuenti soggetti agli studi di settore sono aumentati dell’1%, ma la spinta all’adeguamento della dichiarazione dei compensi è arrivata prevalentemente dal basso, cioè da chi guadagna, o dice di guadagnare di meno. Tra il 2010 ed il 2009, visto che le dichiarazioni 2011 riguardano l’anno precedente, gli aumenti maggiori delle somme dichiarate si sono registrate per gli istituti di bellezza, i negozi di abbigliamento e di scarpe, i pellicciai, ma soprattutto per i bar, gli alberghi ed i ristoranti. Qualcosa dunque si muove, anche se in molti settori economici i redditi medi dichiarati al fisco restano poco verosimili.
Gli istituti di bellezza, ad esempio, hanno dichiarato al fisco un reddito medio di 6.500 euro, che è sempre qualcosa in più dei 5.300 euro del 2009, ma sembra ancora poco aderente alla realtà. I negozi di abbigliamento e scarpe, nel 2011, hanno dichiarato guadagni medi di 8.600 euro, contro i 7.700 dell’anno precedente, mentre per i pellicciai il reddito medio dichiarato negli studi di settore è passato da 8.800 a 12.200 euro. Niente a che vedere con le performance di bar, ristoranti e alberghi che, nonostante l’aggravamento della crisi, hanno adeguato all’insù, e di parecchio, la propria denuncia dei redditi. Nei servizi di ristorazione il reddito medio tra il 2009 ed il 2010 è passato da 12.900 a 14.300 euro, per i bar e le gelaterie è salito da 15.800 a 16.800 euro, mentre per gli alberghi si segnala un aumento spettacolare: da 11.900 a 14.700 euro di media. La maggior propensione di ristoratori e albergatori a pagare le tasse è confermata anche dai dati sulle dichiarazioni delle società di persone che per il settore di alberghi e ristoranti è cresciuto in media del 2,9% (contro una media dello 0,41%). Tornando agli studi di settore, appaiono in crescita anche i guadagni denunciati dalle gioiellerie (da 16 a 17 mila euro) e dai meccanici (da 24.300 a 24.700 euro), ma dichiarano di più anche i notai, che sono di gran lunga la categoria di contribuenti più ricca, con 318.200 euro denunciati nel 2010, contro i 310.800 dell’anno prima.
Al contrario, diminuiscono i redditi medi di commercialisti ed esperti contabili (da 65.900 a 61.300 euro) e soprattutto degli avvocati (da 66.100 a 57.600 euro), ma anche quelli di architetti, pasticceri, macellai e negozianti di giocattoli, mentre sostanzialmente invariati sono i redditi dei farmacisti, dei fornai, dei negozi di alimentari, dei fiorai. Ovviamente si parla di valori medi, perché tra le diverse tipologie di contribuenti soggetti agli studi di settore esistono differenze molto evidenti. Basti pensare, come sottolinea il ministero dell Finanze in una nota che accompagna i dati di ieri, che i contribuenti persone fisiche dichiarano il 26,9% dei ricavi complessivi, ma dichiarano il 57,3% dei redditi. Mentre, al contrario, le società di capitali soggette agli studi di settore, pur dichiarando la metà del totale dei compensi, denuncia solo il 17,8% del totale dei redditi. Anche l’analisi delle dichiarazioni Iva fornisce indicazioni interessanti sulla struttura dei redditi. In quell’ambito lo 0,85% dei contribuenti, che sono quelli che hanno un giro d’affari superiore a 7 milioni di euro l’anno, detengono circa il 66% del volume d’affari complessivo registrato dai 5,2 milioni di partite Iva attive. Da sottolineare, sempre per quanto riguarda l’Iva, gli effetti della stretta sulle compensazioni tra crediti e debiti, avviata due anni fa con la certificazione obbligatoria del crediti da parte dei commercialisti. Il giro di vite ha prodotto un calo delle compensazioni di quasi il 40%: tra il 2009 ed il 2010 sono scese da 16,5 a 10,1 miliardi di euro. Segno che le nuove norme, dice il ministero, si sono dimostrate efficaci contro le compensazioni indebite, e dunque contro l’evasione fiscale.
Un fronte sul quale il governo e le sue agenzie non hanno intenzione di arretrare. «Noi applichiamo la legge, e non possiamo stabilire caso per caso quale sia una sofferenza giusta che si può infliggere, e quale sia una ingiusta che non va inflitta. Se così si facesse, si derogherebbe alla legge. È il Parlamento che deve affrontare questo problema. Essere fermi non vuol dire essere insensibili».
Mario Sensini

mercoledì 30 maggio 2012

Il caso Grillo e la passione tutta italiana per l’eloquenza di Gianni Fresu

Il “caso Grillo” è per molti versi l’ultimo esempio della grande passione degli italiani per l’eloquenza e la guida carismatica. Questa tradizione, lunga e consolidata, almeno da D’Anunnzio in poi, ci spiega forse più di ogni cosa perché oggi la gran parte dei partiti politici italiani (PDL, UDC, IdV, SEL, FLI, Lega) reca nei rispettivi simboli il nome del proprio leader. Senza voler entrare nel merito delle rispettive proposte politiche, né fare assurdi paralleli tra le diverse personalità, è un fatto che in Italia ci sia una tendenza del tutto peculiare ad affidarsi ciecamente a un capo politico, cui si attribuiscono capacità illimitate, delegandolo ben oltre il mero rapporto di rappresentanza. Del resto non è certo un caso se uno dei temi più ricorrenti nell’opera di Gramsci sia proprio un particolare tipo di relazione tra governanti e governati, in linea con un elemento permanente del carattere italiano: la sua propensione a farsi sedurre dalle doti oratorie del “tribuno intelligente”. Così si esprimeva in proposito nei Quaderni, «l’ammirazione ingenua e fanatica per l’intelligenza come tale, per l’uomo intelligente come tale, corrisponde al nazionalismo culturale degli italiani, forse unica forma di sciovinismo popolare in Italia. D’Annunzio si presentava come la sintesi popolare di tali sentimenti: apoliticità fondamentale, nel senso che da lui ci si poteva aspettare tutti i fini immaginabili dal più sinistro al più destro». La guida carismatica è corrispondente a una fase ancora primitiva nello sviluppo dei partiti, una fase nella quale la dottrina è un qualcosa di nebuloso per le masse e queste necessitano di un «papa infallibile», capace di interpretarla ed adattarla alle diverse circostanze. Una fase dominata da «ideologie incoerenti e arruffate» incentrate sul colpo di teatro, l’abilità oratoria e l’emotività delle classi sociali cui fanno riferimento. Se però, per una ragione o l’altra cade improvvisamente il grande leader, l’organizzazione è gettata nello scompiglio e nella crisi più assoluta, vive una condizione anarchica da “8 settembre”. La sola eccezione italiana a questa storia può essere rintracciata nella vitalità molecolare dei grandi partiti di massa tra la Resistenza e il primo dopoguerra, dove di certo non mancavano i leader, ma la loro funzione era mediata da una serie di rapporti organizzativi nei quali la verifica democratica e le forme di partecipazione non erano meramente passive. Il rapporto senza filtri tra leader e masse adoranti, che si può esprimere nelle adunate come nelle forme assembleari, non porta maggiore partecipazione, determina semmai l’emergere di una concezione sempre più mediatica dell’organizzazione politica. Essa contribuiesce a edificare nuove oligarchie politiche difficili da controllare e, in quanto tali, indiscutibili, non è la liberazione di nuove energie democratiche. In questi anni ci si è interrogati spesso sulla cosiddetta «crisi della politica», senza però andare mai al fondo dei nodi che riguardano il funzionamento dei partiti, la selezione dei loro gruppi dirigenti e istituzionali basata, in generale, sulla cooptazione fiduciaria attorno a singole personalità. I vecchi partiti del secondo dopoguerra, non gli immensi carrozzoni clientelari degli anni Settanta e Ottanta, avevano pur tra tanti limiti la capacità di realizzare una partecipazione costante alla vita politica, favorendo una formazione di gruppi dirigenti non esclusivamente composti di “specialisti”. La vita dei partiti si articolava nelle strutture culturali, di associazione sportiva e sociale, di agregazione ludica, favorendo una maggiore organicità tra cittadini e politica. So di andare contro l’opinione prevalente, ma la risposta alla crisi del rapporto di rappresentanza non penso possa venire delle primarie, che confondono la personale capacità persuasiva del candidato con la costruzione di una comunità politica, affidandosi alle sue virtù taumaturgiche. Servirebbe semmai una reale autoriforma dei partiti politici, per renderli nuovamente lo strumento principe della partecipazione popolare, assegnando nuovamente ai congressi una funzione alta di luogo collettivo per l’elaborazione, direzione e selezione politica. Oggi assistiamo agli smottamenti inconsulti del sistema politico italiano, in risposta a ciò tutti descrivono spregiativamente Grillo come immondo “pifferaio magico”, ma mi chiedo, la tendenza alla personalizzazione della politica italiana degli ultimi venti anni, a destra come a sinistra, non ha oggettivamente preparato il terreno a questo risultato? E’ una massima storica infallibile, quando un movimento politico punta tutto sulle doti del suo “pifferaio magico”, prima o poi il flauto si rompe o compare sulla scena un suonatore più capace. Spesso le due cose vanno assieme.
da www.giannifresu.it

La lettera che avremmo voluto scrivere per il 2 giugno

La lettera che non potremo scrivere a Monti o Napolitano

Questa è la lettera di risposta che Lelio Basso scrisse all’allora ministro della Difesa Arnaldo Forlani che decise di sospendere la parata militare del 2 giugno 1976 dopo il terremoto che sconvolse il Friuli.


Sono personalmente grato al ministro Forlani per avere deciso la sospensione della parata militare del 2 giugno, e naturalmente mi auguro che la sospensione diventi una soppressione.
Non avevo mai capito, infatti, perché si dovesse celebrare la festa nazionale del 2 giugno con una parata militare. Che lo si facesse per la festa nazionale del 4 novembre aveva ancora un senso: il 4 novembre era la data di una battaglia che aveva chiuso vittoriosamente la prima guerra mondiale. Ma il 2 giugno fu una vittoria politica, la vittoria della coscienza civile e democratica del popolo sulle forze monarchiche e sui loro alleati: il clericalismo, il fascismo, la classe privilegiata. Perché avrebbe dovuto il popolo riconoscersi in quella sfilata di uomini armati e di mezzi militari che non avevano nulla di popolare e costituivano anzi un corpo separato, in netta contrapposizione con lo spirito della democrazia?
C’era in quella parata una sopravvivenza del passato, il segno di una classe dirigente che aveva accettato a malincuore il responso popolare del 2 giugno e cercava di nasconderne il significato di rottura con il passato, cercava anzi di ristabilire a tutti i costi la continuità con questo passato. Certo, non si era potuto dopo il 2 giugno riprendere la marcia reale come inno nazionale, ma si era comunque cercato nel passato l’inno nazionale di una repubblica che avrebbe dovuto essere tutta tesa verso l’avvenire, avrebbe dovuto essere l’annuncio di un nuovo giorno, di una nuova era della storia nazionale. Io non ho naturalmente nulla contro l’inno di Mameli, che esalta i sentimenti patriottici del Risorgimento, ma mi si riconoscerà che, essendo nato un secolo prima, in circostanze del tutto diverse, non aveva e non poteva avere nulla che esprimesse lo spirito di profondo rinnovamento democratico che animava il popolo italiano e che aveva dato vita alla Repubblica.
La Costituzione repubblicana, figlia precisamente del 2 giugno, aveva scritto nell’articolo primo che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Una repubblica in primo luogo. E invece quel tentativo di rinverdire glorie militari che sarebbe difficile trovare nel passato, quel risuonare di armi sulle strade di Roma che avevano appena cessato di essere imperiali, quell’omaggio reso dalle autorità civili della repubblica alle forze armate, ci ripiombava in pieno nel clima della monarchia, quando il re era il comandante supremo delle forze armate, “primo maresciallo dell’impero”. Le monarchie, e anche quella italiana, eran nate da un cenno feudale e la loro storia era sempre stata commista alla storia degli eserciti: non a caso i re d’Italia si eran sempre riservati il diritto di scegliere personalmente i ministri militari, anziché lasciarli scegliere, come gli altri, dal presidente del consiglio. Ma che aveva da fare tutto questo con una repubblica che, all’art. 11 della sua costituzione, dichiarava di ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali? Tradizionalmente le forze armate avevano avuto due compiti: uno di conquista verso l’esterno e uno di repressione all’interno, e ambedue sembravano incompatibili con la nuova costituzione repubblicana.
Repubblica democratica in secondo luogo. In una democrazia sono le forze armate che devono prestare ossequio alle autorità civili, e, prima ancora, devono, come dice l’art. 52 della costituzione, uniformarsi allo spirito democratico della costituzione. Ma in questa direzione non si è fatto nulla e le forze armate hanno mantenuto lo spirito caratteristico del passato, il carattere autoritario e antidemocratico dei corpi separati, sono rimaste nettamente al di fuori della costituzione. I nostri governanti hanno favorito questa situazione spingendo ai vertici della carriera elementi fascisti, come il gen. De Lorenzo, ex-comandante dei carabinieri, ex-capo dei servizi segreti ed ex-capo di stato maggiore, e, infine, deputato fascista; come l’ammiraglio Birindelli, già assurto a un comando Nato e poi diventato anche lui deputato fascista; come il generale Miceli, ex-capo dei servizi segreti e ora candidato fascista alla Camera. Tutti, evidentemente, traditori del giuramento di fedeltà alla costituzione che bandisce il fascismo, eppure erano costoro, come supreme gerarchie delle forze armate, che avrebbero dovuto incarnare la repubblica agli occhi del popolo, sfilando alla testa delle loro truppe, nel giorno che avrebbe dovuto celebrare la vittoria della repubblica sulla monarchia e sul fascismo. E già che ho nominato De Lorenzo e Miceli, entrambi incriminati per reati gravi, e uno anche finito in prigione, che dire della ormai lunga lista di generali che sono stati o sono ospiti delle nostre carceri per reati infamanti? Quale prestigio può avere un esercito che ha questi comandanti? E quale lustro ne deriva a una nazione che li sceglie a proprio simbolo?
Infine, non dimentichiamolo, questa repubblica democratica è fondata sul lavoro. Va bene che, nella realtà delle cose, anche quest’articolo della costituzione non ha trovato una vera applicazione. Ma forse proprio per questo non sarebbe più opportuno che lo si esaltasse almeno simbolicamente, che a celebrare la vittoria civile del 2 giugno si chiamassero le forze disarmate del lavoro che sono per definizione forze di pace, forze di progresso, le forze su cui dovrà inevitabilmente fondarsi la ricostruzione di una società e di uno stato che la classe di governo, anche con la complicità di molti comandanti delle forze armate, ha gettato nel precipizio?
Vorrei che questo mio invito fosse raccolto da tutte le forze politiche democratiche, proprio come un segno distintivo dell’attaccamento alla democrazia. E vorrei terminare ancora una volta, anche se non sono Catone, con un deinde censeo: censeo che il reato di vilipendio delle forze armate (come tutti i reati di vilipendio) è inammissibile in una repubblica democratica.

2giugno 500Egregio Presidente Giorgio Napolitano
Lei ha chiesto ai giovani di aprire porte e finestre, anche qualora le trovassero chiuse.
Le chiediamo con tutto il rispetto di dare l’esempio: apra porte e finestre alla solidarietà; trasformi il 2 giugno da festa della Repubblica militare a festa della Repubblica solidale.
Annulli la parata, che l’anno scorso era costata 4,4 milioni di euro e che secondo il ministero della Difesa quest’anno costerà quasi 3 milioni di euro.
Quei denari siano investiti in opere di solidarietà con la popolazione stremata dal terremoto e quei contingenti chiamati a sfilare vengano utilizzati nelle zone bisognose di aiuti.

Sipuòfare: nel 1976 la parata fu sospesa in occasione del terremoto del Friuli.
INVIAMO UNA MAIL A:
presidenza.repubblica@quirinale.it
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
https://servizi.quirinale.it/webmail/


Vendola e le alleanze a prescindere da http://www.agoravox.it/

Storia curiosa quella di Nichi Vendola che invoca gli stati generali del centro-sinistra e non passa giorno senza puntellare il Partito Democratico con sempre la stessa richiesta: ci alleiamo? 
Come tutti sanno, nel 1998 Vendola era membro importante di Rifondazione Comunista e contribuì in maniera decisiva a fare cadere il governo Prodi. Troppo a destra quel governo. Oggi le cose son cambiate, pare, e dunque andare al governo non con Prodi, ma con Letta e Fioroni va più che bene. De gustibus... D'altronde è innegabile che lo scenario politico ed economico sia cambiato e questo deve per forza portare a qualche riflessione e qualche ripensamento. Ed infatti oggi Vendola non è più comunista, ma socialdemocratico. Deve essere stata la crisi del socialismo reale a Wall Street a fargli scegliere un approccio più moderato.

Tutto legittimo, ma non sarebbe il caso di dare spiegazioni? Certo sarebbe ingiusto immaginare un percorso alla Veltroni, dall'Unità alla post-sinistra passando per Kennedy e saltando l'Africa ma riuscendo pure a raccontarci che era entrato nel PCI perché non era comunista. No, Nichi no. Non è uno stupido. Al massimo con Walter condivide il giudizio su D'Alema.

Però questo percorso politico andrebbe giustificato, spiegato. Uno si potrebbe immaginare che con la crisi della finanza, con i tagli fiscali, con lo strangolamento della Grecia, un personaggio come Vendola possa saltare su e dirti: avete visto? Avevo ragione io, il capitalismo è marcio, il liberismo è oppressione. E invece no. Certo, continua la critica del modello economico dominante, ma si modera sempre più. Ora è passato a Hollande e alla socialdemocrazia. Forse si è reso conto che il comunismo era datato nel 2010. Forse. 
 
O forse c'è un calcolo politico. Vendola è convinto di poter vincere le primarie, visto che candidati vicini a SEL hanno spesso battutto quelli del PD quando si trattava di scegliere i sindaci. Sarebbe un sogno, alla guida della coalizione che non può non vincere (e qui tutti a toccare ferro)! Ma a che prezzo?

Fino all'anno scorso si poteva anche pensare che il patto col PD fosse indispensabile, visto che l'obiettivo era battere la destra alle elezioni. Ma ora? Il PD sostiene un governo che SEL (e IDV) fortemente osteggia, e certo con ragione. Trattasi di uno dei peggiori governi di sempre, lo abbiamo detto più volte - età pensionabile più alta d'Europa, riforma del lavoro per indebolire i sindacati, spread altissimo, paese in recessioni, suicidi, attacchi contro Equitalia, tasse che strozzano i cittadini. E il pareggio di bilancio in Costituzione. Eppure il PD ha avvallato tutto. Legittimo, ci mancherebbe. Ma su quali basi allora si dovrebbe costruire questa alleanza se non si è d'accordo su nulla?

Vendola sogna la socialdemocrazia di Hollande, ma il PD porta avanti la politica del PASOK, non quella dei socialisti francesi. Come si fa a stare con Landini e con Follini? Questo non vuol dire che il PD non sia un interlocutore, ci mancherebbe. Da soli non si vince, certo. Ma non sarebbe il caso di partire da qualcosa di concreto che vada oltre la personalizzazione della politica e la corsa per le primarie? Magari inziare a costruire una alternativa a Monti con le forze che al governo si oppongono, a partire quindi da SEL, IDV e Federazione della Sinistra, Movimento dei Beni Comuni?
Invece Vendola la FdS non la vuole vedere neanche in cartolina, e sembrano ripicche personali, mentre è pronto ad allearsi col PD sempre e comunque. A costo pure di perdere la faccia. Palermo è stato l'ultimo caso, dopo quello altrettanto fallimentare di Napoli. SEL ha sostenuto Ferrandelli perché aveva vinto le primarie. Formalmente, nulla da eccepire. Peccato che Ferrandelli fosse la faccia peggiore della politica siciliana, sostenuto dagli amici di Lombardo e organizzatori di inciuci e pastette di ogni sorta. Che il popolo palermitano non lo volesse è del tutto evidente. Però Vendola lo ha sostenuto lo stesso, sacrificando la politica, quella vera, sull'altare dei giochi di potere. Robe da D'Alema, ahimè. 
 
A forza di pensare solo alle primarie, Vendola si è distratto e non si è accorto di quello che sta succedendo in Italia, dove la gente non ne può più e preferisce la rottura agli intrighi di palazzo. Ed infatti il ciclone Vendola sembra essersi smorzato, mentre il tornado Grillo, uno che della alleanze se ne infischia, ha preso forza. SEL continua ad essere accreditata del 7-8% alle elezioni, ma ogni volta che si contano le schede si ferma al 3% ed un motivo forse ci sarà. Intanto a forza di cincischiare, il bacino elettorale della sinistra che si oppone a Monti si va sempre più restringendo. Vendola, sul palco, continua ad aspettare Godot. Ma il pubblico se ne è già andato.

 
Di Nicola Melloni


martedì 29 maggio 2012

Fiom in politica? Cremaschi e Bellavita: “scelta sbagliata”

"Se le intenzioni di Maurizio Landini e Giorgio Airaudo sono quelle annunciate dai giornali, in particolare da Il Fatto, bisogna dire che il gruppo dirigente della Fiom ha preso una via completamente sbagliata, che va combattuta con forza e rigore".

Scrive in una nota Giorgio Cremaschi, ex Presidente del Comitato Centrale della Fiom

Il 9 giugno dovrebbe esserci un incontro promosso dalla Fiom con i partiti del centrosinistra. A quell’incontro avrebbero dato la conferma della partecipazione sia Bersani, sia Vendola, sia Di Pietro. Domandiamo subito: qual è lo scopo reale di quell’incontro? Se la Fiom vuole proporre le sue opinioni sulle elezioni e sui programmi di governo credo che la strada debba essere un’altra. Quando si interviene nella politica lo si fa con piattaforme, e i contenuti di queste piattaforme devono essere discusse, verificate e decise con ampia democrazia. Questa è l’indipendenza sindacale scritta nello Statuto della Fiom. Tutto questo manca. Finora in Fiom si è parlato genericamente delle proposte della Fiom ma, almeno fino a quando sono rimasto presidente del Comitato centrale, non ho vissuto una riunione nella quale si definissero i punti precisi da presentare ad un incontro con le forze politiche. D’altra parte è abbastanza singolare la coincidenza tra l’avvio di un’offensiva di Vendola e Di Pietro verso Bersani per stringere un patto elettorale e di governo, e l’incontro promosso dalla Fiom. Può darsi che tutto sia casuale, ma si fa fatica a crederlo, anche perché i giornali parlano di incontri preparatori di cui nessuno sa nulla. Infine c’è la sostanza. Cosa vuole la Fiom dalle forze politiche? Leggendo i giornali, risulta un insieme di richieste confuse e generiche, fatte apposta - direbbe un malizioso - per far andare tutti d’accordo. Domanda secca: se la Fiom incontra Bersani gli chiede di non votare la controriforma sull’articolo 18? E se la Fiom parla di prossime elezioni, chiede che uno dei primi punti del programma da sostenere sia la cancellazione, non l’attenuazione, della controriforma Fornero sulle pensioni assieme a quella del lavoro? Il fiscal compact si accetta o si respinge? Il pareggio di bilancio in Costituzione resta così o viene rimesso in discussione?
Finora dovrebbe essere scontato che la Fiom chiede queste cose. E dovrebbe quindi essere scontato che le posizioni attuali di Bersani sono radicalmente diverse da quelle del sindacato dei metalmeccanici. E, tuttavia, quest’incontro viene presentato come quello che darebbe un contributo alla piattaforma unitaria del nuovo centrosinistra. Si vuole forse inserire qualche faccia della Fiom nella foto di Vasto? Non so se sarebbe una bella cosa sul piano elettorale, ma per i lavoratori sarebbe un disastro.
E’ bene allora che nella Fiom si apra una discussione a fondo, su dove si vuole andare. Da troppo tempo in quell’organizzazione l’immagine e lo spettacolo televisivo prendono il posto di una reale discussione politica. Questo mentre la situazione sociale del paese degrada e i metalmeccanici ne subiscono, come tutti, le drammatiche conseguenze. Pensare di affrontare questo con una mossa del cavallo, cioè con uno sparigliamento di carte per cui la Fiom si butta in politica, può certo piacere a chi sente in Italia il vuoto di una sinistra politica, ma non è una soluzione né per il sindacato né per la sinistra. Il gruppo dirigente della Fiom ha rinunciato in questi ultimi mesi a una battaglia contro la deriva moderata del gruppo dirigente della Cgil. Adesso si mette a fare politica in proprio, mentre la Cgil lascia passare l’attacco all’articolo 18. No, non ci siamo proprio.
Così la Fiom, anziché essere quel modello sindacale positivo, che ha suscitato tante speranze nel mondo del lavoro, rischia di essere parte della crisi della Cgil e persino di aggravarla. Le lotte eroiche dei metalmeccanici di questi ultimi anni non meritano di finire nel teatrino della politica italiana.

Scriveva invece a caldo questa mattina Sergio Bellavita, della segreteria nazionale della Fiom-Cgil, in una nota:
Su Il Fatto Quotidiano di oggi viene reso noto un presunto piano Landini-Airaudo per la discesa in campo elettorale della Fiom, se dovesse fallire il tentativo di costruire un cartello elettorale della sinistra.  In nessun luogo dell'organizzazione si è mai discusso ne' di patti con alcuni partiti, ne' di discesa della Fiom nell'agone politico. Troverei drammaticamente sbagliato rispondere alle durissime sfide che sono poste sul terreno sociale al sindacato con un'ennesima mossa del cavallo che sposti tutto nella competizione elettorale, o in un impegno diretto nella ricomposizione politica a sinistra, evitando così di affrontare il tema di quale politica contrattuale e sociale deve mettere in campo la Fiom, a fronte alla evidente piena crisi della linea scelta con la piattaforma per il rinnovo del Contratto nazionale.
La Fiom fa politica nel momento in cui costruisce l'opposizione sociale alle politiche del governo Monti, lotta contro la cancellazione delle pensioni e dell'art.18 e su questo propone alla politica e ai movimenti un fronte unito. Oggi si dimostra drammaticamente sbagliato non aver proclamato sciopero generale avverso la contro riforma del lavoro Fornero e in difesa dell'art. 18. Questa è la politica che la Fiom deve tornare a fare, dismettendo ogni illusione che il governo tecnico intervenga sul ripristino della democrazia nei luoghi di lavoro e delle libertà sindacali.
A questo punto è  necessario chiarire nelle sedi opportune il senso e la posizione della Fiom, nel confronto previsto con i partiti. La linea e le scelte Fiom devono essere discusse e definite negli organismi dirigenti, non nelle pagine dei quotidiani o nelle interviste.

lunedì 28 maggio 2012

A TORINO QUELLI DI VASTO VENDERANNO TUTTO di MAURIZIO PAGLIASOTTI*


Rimanere senza parole al mattino, appena svegli, con la fetta di pane e marmellata incastrata dentro la bocca. Accade a Torino, nella palla di cristallo che racconta la magnifica Italia che sarà dal marzo 2013.
Apri il giornale e trovi una dimostrazione plastica della marmellata all’opera, da intendersi come il partito del potere che venti anni amministra questa città: con risultati disastrosi. In un’intervista raccolta da Paolo Griseri, tale Lo Russo, capogruppo Pd in Comune, sostiene che la città avrà una fase “salva Torino e poi una successiva cresci Torino”. I democratici torinesi sono così contenti di Monti e dei suoi straordinari risultati che fanno proprio il linguaggio di una politica nazionale rivelatasi apprezzata e soprattutto vincente.
Il consigliere Lo Russo, povero, i capi della marmellata ormai non ci mettono nemmeno più la faccia e mandano avanti le seconde linee, ammette che i conti sono sempre più sballati e la città rischia perché forse sforerà nuovamente il patto di stabilità.
Poi arriva il capolavoro: nella stessa intervista sostiene relativamente all’assessore al bilancio Passoni: “E' lui che ha guidato le politiche di bilancio dell'amministrazione negli ultimi sette anni e non abbiamo motivo per ritenere che anche questa volta non abbia fatto i conti in modo impeccabile.” E poche righe sotto, l’incredibile rovesciata volante: “Direi che abbiamo ereditato una situazione non proprio semplice e la responsabilità di trovare una via d'uscita è sulle nostre spalle.” E’ il teatro dell’assurdo, oppure la cieca fiducia che i lettori torinesi siano dei cerebrolesi. Coloro che hanno ereditato la situazione difficile sono gli stessi che l’hanno creata, Lo Russo: la marmellata è quella da vent’anni. Il giornalista dimentica di far notare questo dettaglio. Ah, che belli i tempi in cui in val Susa i Notav facevano un pandemonio, e quelli sì potevi spianarli! Come dimentica anche di chiedere come mai coloro che hanno creato ed ereditato il disastro abbiano eletto il curatore fallimentare della città, Sergio Chiamparino, a capo della Compagnia di san Paolo, ovvero il primo azionista di Intesa Sanpaolo. L’ex sindaco è a capo di una fondazione bancaria (la più potente d’Italia), che non è un ente morale, che ha possibilità incisive sulla gestione di un debito che egli stesso ha creato. La città di Torino quindi non rischia il commissariamento: è già commissariata da Intesa Sanpaolo. Ovvero dagli stessi uomini della stessa banca (Fornero, Passera, Ciaccia) che hanno commissariato l’Italia. Che il governo commissari l’ex capitale dell’auto sarebbe quindi solo un passaggio ridondante.
Lo Russo poi racconta bene quale sia l’ideologia sottesa, torinese e nazionale, al piano di austerità voluto dalle varie amministrazioni marmellata locali e nazionali. Dice: “Quando ci si è indebitati sperando che lo sviluppo creato dagli investimenti alla fine li avrebbe ripagati. In parte questo è avvenuto ma non in modo sufficiente anche a causa della crisi. Così oggi ci troviamo il peso degli interessi sui mutui. Se non cediamo quote non riusciamo a incassare i denari sufficienti per chiudere quei mutui e quindi abbattere gli interessi".
Eccolo il nodo. Gli interessi predatori che la politica ha intenzione di ripianare privatizzando tutto il possibile.
Sono gli interessi applicati da Intesa Sanpaolo e le altre ventitré banche che stanno strozzando i cittadini di Torino. Ed il sindaco Fassino, con tutta la sua giunta marmellata, avalla questa politica senza batter ciglio, oppure fa teatro con penose pantomime utili solo a salvare momentaneamente la faccia. Torino è la Grecia d’Italia, qui si stanno portando tagli e privatizzazioni draconiane volte alla privatizzazione totale dello Stato Sociale, in nome di un’ideologia barbara che ricaccia la civiltà all’età dei nostri trisavoli. E’ un piano che ha avuto varie fasi, sia a livello locale che nazionale: la privatizzazione del sistema bancario, la creazione di un debito enorme con istituti a quel punto privati, la bancarotta-commissariamento e quindi, alla fine, la privatizzazione-vendita dello Stato sociale. E’ un piano nato agli inizi degli anni novanta che vede la sua fase conclusiva in questi giorni.
A Torino la triade della foto di Vasto (Pd-Sel-Idv) venderà tutto: l’inceneritore, il trasporto pubblico, parte dei servizi educativi, pezzi di città. Verranno toccati invece gli stipendi dei mega dirigenti Comunali? Ed anche quelli dei signori piazzati a capo delle partecipate? Soprattutto quelli provenienti dal mondo Fiat? Oppure gli amici di partito rimasti senza poltrona e piazzati in posti pubblici dove si sono auto assunti oppure si sono autonominato auto consulenti d’oro? E soprattutto chi avrà il coraggio di andare contro il cuore del potere, chiedendo la rinegoziazione massiccia del debito della città? Magari trattando direttamente con il neo banchiere Sergio Chiamparino. A lui sta a cuore la città? E allora si adoperi per ridurne il debito che lui ha creato.

 * AUTORE de Chi comanda Torino, ed castelvecchi Rx

L'antipolitica - Compiacerla non serve di Leonardo Caponi, www.umbrialeft.it

PERUGIA -  Non sono affatto convinto che quello che in Italia va oggi sotto il nome di antipolitica sottintenda, in tutto o in parte (in parte almeno significativa) una domanda di “cambiamento” (in senso “positivo”), che si serve degli strumenti culturali “disponibili” sul mercato. L’antipolitica mi sembra semplicemente l’altra faccia della cattiva politica, ad essa complementare e funzionale. Del resto si può ben vedere come la critica feroce e il rifiuto della politica e dei “politici” conviva, il più delle volte, con un atteggiamento riverente e questuante nei loro confronti e, anzi, tanto più accentuati sono i primi, tanto più lo diventa il secondo.
Da cosa nasce l’antipolitica? A mio giudizio, fondamentalmente, dalla caduta della idea che possa esistere una alternativa al modello economico e all’organizzazione sociale oggi dominante, che è quella del liberismo e del capitalismo (da questo punto di vista il “crollo” del comunismo ha avuto un effetto devastante). In queste condizioni è evidente che il conflitto si sposta, come dire?, dall’”idea alla persona”, cioè l’insoddisfazione, la critica, la protesta non si rivolgono più verso il sistema, ritenuto intangibile o comunque il migliore possibile, ma verso i suoi “gestori” e interpreti materiali, cioè governanti e politici e, di conseguenza, verso gli aspetti più appariscenti, detestabili e invidiati della loro condizione. Nel contesto di un rapporto non più collettivo, ma “individuale”, la critica alla politica e ai politici diventa una sorta di sfogatoio in cui frustrazioni anche di carattere personale si aggiungono a problemi di disagio sociale ed “economico”. Emblematica, da questo punto di vista, la tragica catena di suicidi di imprenditori e di lavoratori, che sembra solo oggi scoperta dall’apparato mediatico, ma che in realtà, come è stato ricordato, accompagna tutte le fasi di acuta crisi sociale.
A delineare il quadro si aggiungono due altri importanti elementi: il pessimo esempio e le pessime prove di se che offre la cosidetta “classe politica” (coinvolta in toto, nel senso comune e forse anche nella realtà, nelle pratiche di decadimento etico e di malcostume) e il fatto che forze economiche, politiche e mediatiche potentissime hanno lavorato e lavorano per minare la fiducia nella politica come strumento del cambiamento e della risoluzione dei problemi individuali e collettivi
Da questo punto di vista con il governo Monti siamo “dentro”, ed in parte credo, “oltre” i fenomeni del “diciannovismo” e del “sovversivismo delle classi dirigenti” analizzati da Antonio Gramsci. Negli anni ’20 del secolo scorso l’ondata di sfiducia nella politica e nelle istituzioni fu funzionale a sbarrare la strada all’avanzata del movimento operaio e l’avvento al potere del fascismo ne fu lo strumento “operativo” finale; oggi, periodo nel quale il pericolo della “rivoluzione” è accantonato, l’antipolitica viene usata per affermare la dittatura dei mercati e il compito di polo di riferimento, destinato a “riempire” il vuoto istituzionale conseguente, è affidato non più ad un regime politico reazionario “classico”, ma alla “tecnica”, che assume, in questo momento, le sembianze del governo Monti.
Io non credo che l’antipolitica e i suoi protagonisti vogliano in realtà moralizzare e cambiare la politica e le istituzioni. Questo naturalmente non vuol significare ignorare queste esigenze e non comportarsi di conseguenza, con denunce quando è necessario, programmi e atti politici conseguenti e, soprattutto, comportamenti ed esempi positivi, che sono quanto mai necessari e urgenti a “sinistra”.
Mi parrebbe però sinceramente inutile accodarsi alla campagna denigratoria e alle già sovrabbondanti posizioni ed espressioni di critica e discredito della politica e delle istituzioni che, ad ogni piè sospinto in una sorta di moda esagerata e dissolvente, riempiono le pagine dei giornali e gli schermi delle tv. Così come mi pare del tutto superfluo proporsi e insistere sulla “apertura al dialogo” con forze, come quella del cosiddetto “grillismo”, che il dialogo non lo vogliono e annegano in una marea qualunquista proposte o programmi originariamente “di sinistra” e che andranno, semplicemente, giudicate sui fatti concreti, cioè sostenuti sulle scelte giuste, criticati su quelle sbagliate.
Il punto mi pare un altro: il consenso e la fiducia nella politica si recuperano e si ottengono, come sempre, sul terreno, per così dire, delle condizioni materiali. Oggi la sinistra registra e paga una pesante caduta di credibilità che è, fondamentalmente, all’origine delle sue difficoltà elettorali. Questa credibilità può essere recuperata non certo compiacendo, in tutto o in parte, le suggestioni dell’antipolica. La strada è un’altra: i comunisti e la sinistra devono resistere e combattere, per così dire, su due fronti: uno “interno”, unendosi, in prospettiva unificandosi, mettendo in discussione e rinnovando il proprio modo di essere ed operare, ripristinando un “costume” esemplare, aprendo le organizzazioni e rendendole democratiche e inclusive; l’altro rivolto verso l’esterno, avanzando e praticando programmi e proposte realistiche e credibili, che parlino ad un fronte largo e complesso di forze e che mirino a suscitare e ad assumere, come interlocutori primari, movimenti “strutturali”, cioè ancorati a solide radici nella società e, in quanto tali, in grado di trasformarla .
E’ una strada lunga, complessa, forse incerta, ma che non ha alternative.
 

Le 5 stelle, le consulenze, e lo stipendio della casta che diventa “misero” da http://fiore.iworks.it/blog


Bisogna ammettere che questi 5 stelle, dopo aver saputo interpretare quella voglia di novità che proveniva direttamente dalla pancia della gente, ci danno grandi soddisfazioni ora che cominciano finalmente a razzolare fra le mura delle istituzioni.
Non entrerò nel merito della vicenda Tavolazzi-Parma. Se non per dire che secondo me farebbe un errore il Sindaco a prendere l’ex city manager ferrarese come dirigente in comune, ma che il diktat di Casaleggio-Grillo è lo specchio di come è stato concepito il movimento 5 stelle, ovvero un ectoplasma fluido fatto per raccattare i voti in libertà e che dipende da un solo uomo, che vive a Milano. Anche per questo va la mia solidarietà al povero Tavolazzi, reo di aver provato ad inserire nell’ectoplasma del non statuto quei procedimenti democratici interni tipici di qualsiasi partito/associazione/movimento sano. Anche se lui non lo ammetterebbe mai.
Ma la cosa che mi diverte di più è vedere come improvvisamente, prese le poltrone del potere della casta, i giovani grillini si confrontino improvvisamente con la realtà. E mandino in frantumi molti dei loro dogmi costitutivi.
Così i rifiuti che non si inceneranno più a Parma probabilmente finiranno inceneriti in Olanda (non si capisce bene con quale vantaggio per il nostro pianeta), su un sito privato di un comico si pubblicano bandi di ricerca personale per posti da Direttore Generale di un Comune che non prevede più tale figura in pianta organica (leggasi consulente esterno), e a Sarego forse si alzeranno le tasse  perchè “sono cambiate le regole sui trasferimenti statali… l’Imu non copre le entrate attuali… ” ma senza diminuire i gettoni di presenza degli eletti perchè il Sindaco ha improvvisamente scoperto che la “casta” è altrove e “con quei soldi non ci pago nemmeno la benzina per andare in Comune”.
Ultima chicca l’uscita del neo Sindaco di Comacchio, che non sembra sorpreso che alla sua richiesta di curricula per il ruolo di assessore, “in tanti si sono presentati e, saputo del “misero” stipendio da assessore di circa mille euro, hanno detto “no grazie”.”
Insomma, cari Sindaci a 5 stelle, benvenuti nel mondo reale.
E, sinceri, auguri di buon lavoro.

domenica 27 maggio 2012

Austerity...per chi?

Austerity...per chi?
Ecco il sistema pensionistico contributivo scelto dal governo dei “tecnici” con il  sostegno del trio delle meraviglie Alfano-Bersani-Casini!
Ai redditi lordi inferiori ai 100.000€ corrisponderanno diminuzioni considerevoli  delle pensioni, mentre ai redditi lordi superiori ai 100.000 € corrisponderanno
aumenti pensionistici anche notevoli!
 

Ed ora gli stati generali della sinistra radicale di Citto Saija


Da tempo vado scrivendo, nel mio piccolo, che il sorpasso del cosiddetto Partito democratico è possibile.

Né il futuro è la socialdemocrazia che purtroppo nell’intera Europa ha fallito miseramente.
Nel giornale “Il Fatto quotidiano” di oggi, Paolo Flores d’Arcais sostiene giustamente che la Sinistra ha la possibilità di fare l’ultimo giro: “La sinistra ha qualche chance solo se si rimette in gioco, aprendo radicalmente alla società civile, a sue liste civiche rigorosamente autonome”.E’ vero, non vi sono altre strade perché vi è il rischio concreto che circa 25 milioni di italiani non vadano a votare.
Ed è anche vero che il bravo comico Grillo ha salvato in parte l’Italia (si è trattato di elezioni amministrative) da una deriva di destra e diciamo pure di tipo fascista.
Come la storia recente dimostra, nei momenti di possibili cambiamenti e di messa in discussione delle politiche liberiste, appare all’orizzonte il volto truce dello stragismo… Chi è stato e chi sta dietro le stragi?
Ed allora ci pare del tutto patetico l’ultimatum di Vendola a Bersani. Se Vendola, insieme con ampi strati della sinistra radicale che nella società esistono, crede veramente (e non ne abbiamo dubbio) nelle politiche antiliberiste, non può affermare che “Noi siamo disponibili ad un programma socialdemocratico di tipo europeo” né può parlare semplicisticamente di stati generali per un centro-sinistra “Hollande style”.
E’ del tutto evidente (basta riflettere sul sostegno del Partito democratico al governo Monti) che un programma di sinistra radicale (che in alcuni contenuti vuole anche Grillo e comunque il suo elettorato) non può esistere nell’attuale conformazione del Partito democratico. Il suo rischia di restare solo un urlo alla luna. Il Dna del Partito democratico non è più di sinistra e tanti fatti lo dimostrano.
Condivido con Vendola che è necessario aprire un cantiere, ma deve essere un cantiere delle sinistre radicali allargato a tutte le forze antagoniste del cambiamento che nella società esistono.
E’ necessario partire subito dal basso, a cominciare dalle regioni e dai comuni, a costruire il programma politico di quella che per comodità definisco “sinistra radicale” e che va oltre le attuali forze organizzate della sinistra radicale;
La foto di Vasto è limitata (e nella sua parte centrale ci sta chi non vuole la sinistra radicale al governo del Paese). Deve essere sostituita da una grande foto di gruppo (quindi collettiva senza alcun taumaturgo) nella quale appaiono i partiti che in questo momento scelgono una politica alternativa e tutti i movimenti della società civile che portano avanti politiche antagoniste e sostenibili: in una parola politiche antiliberiste.
E’ vero, bisogna costruire un polo alternativo di governo, come si sta cercando di fare in Grecia da parte della sinistra radicale. Non so se vi sono pezzi del Partito democratico disposti a scegliere questa strada. E’ comunque certo che il Partito democratico tout court ha un’altra linea politica che purtroppo è quella neoliberista. In questa linea sostenuto anche dalla massima carica dello stato.
Vendola, che è persona capace e intelligente, dovrebbe uscire dal politichese e parlare di sinistra radicale e non di centro-sinistra.
Non serve quindi un secondo incontro di Vasto (pare già fissato per il 21-23 settembre), probabilmente fra ceti politici.
Servirebbe un grande e libero incontro delle forze organizzate della sinistra radicale con tutti i movimenti antagonisti per porre le premesse al fine di abbozzare un programma politico antiliberista per governare l’Italia e da discutere dal basso in tutte le realtà. Ancora il tempo c’è ed è a nostra disposizione.
Personalmente ritengo che anche la Federazione della sinistra e Rifondazione comunista (dopo la grande manifestazione dei quarantamila del 12 maggio con la presenza delle forze della sinistra radicale europea) debbano fare uno sforzo prima interno (penso ad un grande dibattito con tutti i militanti che esistono in carne ed ossa e non sono un fatto mediatico), per lanciare all’esterno e farsi promotori di un grande incontro politico delle tante anime della sinistra radicale per porre all’ordine del giorno (la proposta va fatta agli italiani) la possibilità di un governo della sinistra radicale nel nostro Paese.
Il momento è quello giusto, perché la gente non può aspettare e bisogna bloccare sul nascere tutti i tentativi del “Leviatano” neoliberista che come novello Nosferatu si appresta a succhiare il sangue del popolo sovrano.
Anche con Grillo potrebbe essere aperto il dialogo se rinunciasse (anche in parte perché ovviamente non possiamo cambiarlo né sarebbe giusto farlo) ad una certa “taumaturgicità”. Ma, nell’Italia dell’apparenza, sono tanti i taumaturghi e qualche passetto indietro dovrebbero farlo tutti.
Ma, la sostanza è un’altra. Il sorpasso è possibile. La sinistra radicale più ampia possibile potrebbe governare.
La strada di Roma deve essere anche quella da attuare nella nostra Regione Sicilia e nel comune di Messina. Il modello Napoli e Palermo è da diffondere. E’ necessaria la volontà politica e le braccia per costruire un’Italia diversa ci sono e tutti aspettiamo qualche segnale per metterci insieme.

IL PRC CONTESTA MONTI A BERGAMO INSIEME AI MOVIMENTI. ASSENTI TUTTI GLI ALTRI



 Contestazione al presidente del consiglio Mario Monti, presente al giuramento dei cadetti dell’Accademia della Guardia di Finanza, che ha sede a Bergamo, ospite d’onore insieme a evasori, speculatori, banchieri e potenti vari, ovvero coloro che questa crisi l’hanno provocata.Mario Monti è stato contestato da un migliaio di manifestanti che hanno preso parte a un corteo organizzato da “Adesso basta”, il coordinamento a cui hanno aderito diverse organizzazioni, da Rifondazione comunista, al PdCI, i Giovani Comunisti, il Movimento Studentesco, il centro sociale “Pacì Paciana”, l’USB e altri collettivi, ma a cui non hanno aderito né SEL, né l’IDV e nemmeno i grillini.
Il coordinamento “Adesso basta” ha invitato la cittadinanza bergamasca a mobilitarsi individuando in Monti il fedele attuatore delle politiche prescritte dalla BCE, che impongono sacrifici sempre alle stesse persone: tasse totalmente inique, attacchi all’articolo 18 e ai diritti del lavoro, allungamento dell’età pensionabile, tagli ai servizi sociali, all’istruzione, alla sanità e alla cultura.
I manifestanti hanno ribadito di non essere più disposti a ulteriori sacrifici, rifiutando le politiche di austerità di un governo di “unità nazionale” che fa ricadere sulle spalle dei ceti popolari un debito che non hanno contratto.
Forte la denuncia sul fatto che questo governo invece non sottrae un centesimo a tutto ciò di cui potremmo certamente fare a meno: spese militari, grandi patrimoni, capitali finanziari, opere speculative e dannose (come le autostrade Bre.Be.Mi, Bergamo-Treviglio o la TAV), i costi di una classe dirigente, anche locale, che ormai non gode più di alcun credito.
La protesta è partita dal piazzale della stazione intorno alle 9.30, poco prima dell’arrivo del premier Mario Monti in piazza Vittorio Veneto. Imponente lo spiegamento delle forze dell’ordine, ma non si è registrato nessun incidente.
In Porta Nuova la manifestazione è sfilata a cento metri dal palco da cui stava parlando il Premier e i cori di fatto hanno coperto, rendendolo incomprensibile, la seconda parte del suo intervento. Alle 11 il corteo si è sciolto.
A fronte del successo e la buona partecipazione che si è avuta nella manifestazione del coordinamento “Adesso basta” la Lega Lombarda, che pur aveva annunciato attraverso la stampa clamorose proteste, ha dimostrato platealmente la forte crisi di consensi che l’attanaglia anche in una realtà come la bergamasca, ritenuta da sempre un feudo del partito di Bossi. I leghisti si sono limitati a far passare un aereo a noleggio trainante uno striscione di protesta contro le tasse di Monti sopra il palco delle autorità, incapaci ormai di organizzare, anche nella roccaforte bergamasca, una protesta di massa degna di questo nome. Eppure altre proteste spontanee e contestazioni contro Monti si sono comunque levate dai cittadini presenti al giuramento anche se sono state subito represse dalle forze dell’ordine.
I questo contesto buona è stato il contributo dato alla riuscita della manifestazione dalla Federazione della Sinistra di Bergamo, e in particolare di Rifondazione Comunista molto attiva nella Bergamasca nel denunciare il progressivo impoverimento che sta colpendo drammaticamente i ceti popolari. Disoccupazione, licenziamenti e dismissioni industriali stanno infatti progressivamente erodendo le capacità economiche delle famiglie. Una situazione aggravata dal pregresso uso distorto del territorio e dagli alti costi della vita. La nostra è infatti una provincia in cui si stanno diffondendo fenomeni sconosciuti sino a non molto tempo fa come gli sfratti per morosità o il pignoramento delle abitazioni per debiti che sono ormai all’ordine del giorno e a cui ci opponiamo con i picchetti e l’autorganizzazione delle famiglie colpite. Una situazione socialmente disastrosa che spesso trova del tutto impreparata e insensibile la classe politica locale troppo occupata a trastullarsi in polemiche ideologico-partitiche prive di ogni reale significato sociale e incapaci di offrire valide soluzioni a chi si trova vittima della crisi. Una risposta che i comunisti indicano invece tramite la costruzione del partito sociale, cioè tramite l’autorganizzazione dal basso e attraverso le nuove forme di mutualismo.
Non deve tuttavia sfuggire che in una situazione sociale così difficile, soprattutto al profondo nord, la crisi potrebbe sfociare anche in un’ulteriore rafforzamento del consenso alla destra xenofoba e fascista che si trova il terreno arato da decenni di propaganda leghista.

Francesco Macario 
* segretario della Federazione del PRC-FdS di Bergamo

VENDOLA E DI PIETRO PREFERISCONO IL CARTONE DI BERSANI ALLA SINISTRA MODELLO SYRIZA



Giornata memorabile quella di oggi per il popolo della sinistra: mentre al Senato è in discussione la manomissione dell'art.18 e la ratifica del Fiscal Compact, Di Pietro e Vendola non trovano di meglio da fare che rilanciare la foto di Vasto come se niente fosse, come se il Governo Monti fosse una piccola parentesi, un brutto inciampo, passato il quale tutto ritorna come prima.  I due leader lo fanno dal palcoscenico di Luca Telese, vendoliano doc,  cercando di fare la solita mossa della spinta a sinistra del centro sinistra. Evidentemente il vero obbiettivo è evitare che alla prossima direzione del PD i centristi spostino ancora più a destra l'asse della coalizione. Bersani però si nega, e come in un gioco al massacro i due leader del centro sinistra non trovano di meglio da fare che abbracciare un Bersani di cartone. Bella trovata, Grillo ci farà la zuppa. Così mentre il popolo calcola l'imu e bestemmia, mentre la Fornero porta avanti con lucidità la riforma del lavoro, Vendola e Di pietro  danno appuntamento a settembre invitando Bersani alla festa di Vasto. Il PD voti pure favorevole alla riforma del lavoro e la ratifica del Fiscal compact, non ci saranno problemi. SEL e IDV  vanno così in ferie prima del previsto, ma minacciano il PD che se continua a tentennare sulle alleanze i due andranno da soli e lo faranno lanciando il cantiere del centro sinistra. Bello spot, necessario visto i sondaggi in discesa, peccato però che non ci crede nessuno, basta vedere le scelte di campo fatte da IDV alle regionali e da Vendola a Napoli e Palermo. Il primo a rispondere dalle parti del PD ai leader di SEL e IDV è Fassina, che accetta l'invito di Vasto e rilancia.  «  Prima riusciamo ad offrire un percorso aperto e plurale per la definizione del programma di governo - dice Fassina - più efficace è la ricostruzione della fiducia nella politica, nella buona politica».  Mentre in tutta Europa la sinistra si sta riorganizzando federandosi e dotandosi di un programma radicale in un rapporto fecondo con i movimenti sociali, in Italia le cose sembrano andare diversamente. Vendola e Di Pietro non scelgono le coalizioni sociali ma le usano, invocandole senza praticarle per contrattare con i partiti che appoggiano Monti. Francia, Spagna, Grecia, però ci indicano un'altra strada. Queste nazioni a noi vicine stanno diventando per la sinistra di opposizione alle politiche liberiste, dei laboratori importantissimi che sembrano rompere, nella crisi economica, la crisi della politica, rigenerando partecipazione e conflitto. In Grecia addirittura Syriza con una proposta unitaria e radicale è riuscita a diventare una forza sociale in grado di concorrere alla guida del Paese, anni luce di distanza dalla foto di Vasto con o senza cartoni. Un elemento questo che non sfugge a Paolo Ferrero e alla Federazione della Sinistra, che Vendola non cita mai, nonostante gli estenuanti appelli all'unità della sinistra d'opposizione arrivati in questi mesi. "A Vendola e Di Pietro dico - dichiara il segretario del PRC - uniamoci per fermare il governo Monti. Organizziamo rapidamente una manifestazione unitaria per bloccare la manomissione dell'articolo 18 e il Fiscal Compact. Così come dico: uniamo subito la sinistra per costruire con i movimenti la piattaforma dell'alternativa. Tsipras in Grecia come Mélenchon in Francia hanno indicato la strada: uscire dalle politiche neoliberiste che hanno portato alla crisi - conclude Ferrero -  occorre costruire un polo di sinistra che sappia parlare il linguaggio dell'alternativa: se non ora quando?". 

ps. Ma secondo voi perchè mai Bersani non dovrebbe presentarsi a settembre a Vasto?