martedì 29 marzo 2011

Leggende nucleari, tutta la verità sul fabbisogno energetico nazionale

Leggende Nucleari: tanto lo producono in Francia ai nostri confini...

Dalle centrali atomiche francesi l'Italia importa solo l'uno per cento dell'elettricità totale che consuma
Che senso ha continuare a snobbare il nucleare? Alla fine lo importiamo dalla Francia, tanto vale portarcelo in casa”. Lo sentiamo ripetere come un mantra ogni volta che si tocca la questione dell’atomo. Ma è veramente così?

E se lo è, quanto pesa effettivamente l’energia atomica francese sul totale del nostro fabbisogno energetico? Per capirlo basta armarsi di pazienza e fare due calcoli. Partiamo dal “fabbisogno nazionale lordo” e cioè dalla richiesta totale di energia elettrica in Italia. Nel 2009, secondo i dati pubblicati da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, è stato pari a circa 317.602 Gwh278.880 GwhAlgeria (34,44% del totale importato), Russia (29,85%) e Libia (12,49%). La parte di fabbisogno non coperta dalla produzione nazionale viene importata, tramite elettrodotti, dai paesi confinanti. (Gigawatt/ora all’anno). Di questi, circa
(87,81%) sono stati prodotti internamente, in buona parte da centrali termoelettriche (77,4% delle produzione nazionale) che funzionano principalmente a gas (65,1% del totale termoelettrico), carbone (17,6%) e derivati petroliferi (7,1%): combustibili fossili, in larga parte importati. Il gas, che è la fonte più rilevante nel mix energetico italiano, arriva per il 90% dall’estero, soprattutto da
In tutto, nel 2009, sempre secondo i dati di Terna, abbiamo acquistato dall’estero circa 44.000 Gwh di energia, al netto dei 2.100 circa che abbiamo esportato. 10.701 Gwh ce li ha ceduti la Francia, 24.473 la Svizzera e 6.712 la Slovenia. Tre paesi ai nostri confini che producono elettricità anche con centrali nucleari. In base ai dati pubblicati dalla Iaea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), la Francia produce il 75,17% dell’elettricità con il nucleare, la Svizzera il 39,50% e la Slovenia circa il 38%. In termini di Gwh questo significa che importiamo circa 8.000 Gwh di energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari francesi, 9.700 Gwh dalle centrali svizzere e 2.550 Gwh dall’unica centrale slovena. Quanto pesa quindi il nucleare estero sul fabbisogno italiano? Il conto è presto fatto. Basta dividere i Gwh nucleari importati mettendo a denominatore il fabbisogno nazionale lordo. Si scopre così che solo il 2,5% del fabbisogno nazionale è coperto dal nucleare francese, il 3,05% dal nucleare svizzero e lo 0,8% da quello sloveno. In realtà, se si considera il mix medio energetico nazionale calcolato dal Gestore servizi energetici (GSE) in collaborazione con Terna, la percentuale di energia nucleare effettivamente utilizzata in Italia è pari ad appena l’1,5% del totale. Se si scompone il dato, si scopre che il nucleare francese pesa per circa lo 0,6% sul mix energetico nazionale. Ma c’è un’altro dato da considerare. Consultando i dati pubblicati da Terna si scopre infatti che l’Italia dal punto di vista energetico è tecnicamente autosufficiente. Le nostre centrali (termoelettriche, idroelettriche, solari, eoliche, geotermiche) sono in grado di sviluppare una potenza totale di 101,45 GW, contro una richiesta massima storica di circa 56,8 GW (picco dell’estate 2007). Perché allora importiamo energia dall’estero? Perché conviene. Soprattutto di notte, quando l’elettricità prodotta dalle centrali nucleari, che strutturalmente non riescono a modulare la potenza prodotta, costa molto meno, perché l’offerta (che più o meno rimane costante) supera la domanda (che di notte scende). E quindi in Italia le centrali meno efficienti vengono spente di notte proprio perché diventa più conveniente comprare elettricità dall’estero. “E se dovesse succedere un incidente in una delle centrali dei paesi confinanti?”. Beh, non ci sarebbe da rallegrarsi, ma ancora una volta i dati possono esserci (un po’) di conforto. Le tre centrali nucleari più vicine all’Italia sono in Francia a Creys-Malville (regione dell’Isère), in Svizzera a Mühleberg (vicino a Berna) e in Slovenia a Krško, verso il confine con la Croazia. Creys-Malville è a circa 100 Km in linea d’aria dalla Valle d’Aosta, a 250 Km da Torino e a 350 Km da Milano. Mühleberg dista circa 100 Km dal confine piemontese e 220 Km da Milano. Krško è a 140 Km da Trieste. Ammesso che si possa usare come riferimento il disastro di Černobyl‘, in caso di incidente sembra che la più alta esposizione alle radiazioni si verifichi nel raggio di 30-35 chilometri dal reattore. Quindi nelle nostre valli alpine e nelle grandi città del nord si possono dormire ancora sonni abbastanza tranquilli rispetto all’eventualità che si costruisca un reattore dentro i confini nazionali.

Articolo originale: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/25/leggende-nucleari-tutta-la-verita-sulfabbisogno-energetico-nazionale/100027/



domenica 27 marzo 2011

Fai qualcosa di sinistra...

A Napoli Nichi Vendola e Sel appoggeranno Mario Morcone, ex capo della segreteria di Ciriaco De Mita. A Torino, Piero Fassino, l’amico di Marchionne





In queste settimane sono stati diversi i commenti e le riflessioni intorno al caso delle elezioni amministrative del Comune di Napoli. Un dibattito che si è sviluppato sostanzialmente intorno alla candidatura a sindaco della città di Luigi De Magistris, sostenuto oltre che dal suo partito e dalla Federazione delle Sinistre, anche da importanti e consistenti aree della società civile e dei movimenti della città. Abbiamo condiviso la lettura di chi riteneva cieca ed incomprensibile una eventuale scelta del partito di Vendola di sostenere il candidato del Partito Democratico, il prefetto Morcone. Infatti, riteniamo che si è sviluppato un laboratorio politico intorno alla candidatura di De Magistris, fatto di protagonismo dei movimenti, di voglia di discontinuità con il bassolinismo contro il malgoverno ed il malaffare, rappresentato a Napoli tanto dai Democratici quanto dal Pdl di Berlusconi e Cosentino.

L’ipotesi che Sel e Vendola non decidessero di fare parte di questa sperimentazione veniva evocata come un errore politico imperdonabile; non solo per le sorti politiche del progetto "Vendola", ma anche per rincorrere il principale obiettivo di battere le destre e sottrarre palazzo san Giacomo al blocco politico e agli interessi rappresentati in Campania da Cosentino & C; il nostro punto di vista parte dal registrare l'umore della città, che aspira al cambiamento e alla rottura con Bassolino ed il bassolinismo; il problema è che il cambiamento non sia peggiore del passato. Ci troviamo ad intervenire su quello che avviene nella nostra città, e sulle scelte che abbiamo condiviso con i tanti compagni e compagne che sosterranno la candidatura di Luigi De Magistris a sindaco di Napoli, nello spazio in cui il tempo delle ipotesi è finito: Nichi Vendola e Sel appoggeranno Mario Morcone, ex capo della segreteria di Ciriaco De Mita, scegliendo il passato al laboratorio politico dell’alternativa.

I disastri che hanno caratterizzato il ventennio di Antonio Bassolino hanno segnato profondamente la città che in questi due anni ha regalato al centro destra fatto di camorristi e neofascisti la Provincia di Napoli e la Regione Campania. Un moto di repulsione se vogliamo comprensibile e sacrosanto davanti ad una città messa in ginocchio dalla monnezza ai bilanci in rosso, dalle clientele alle riqualificazioni mai avvenute (Napoli Est, Bagnoli, Napoli Nord). Noi non stiamo scegliendo il meno peggio come spesso si è costretti a fare, stiamo provando a costruire direttamente un’alternativa. Pensiamo che non solo Luigi De Magistris sia il miglior candidato possibile alla carica di sindaco di Napoli, ma che oggi rappresenti l’opportunità dell’apertura di uno spazio di sperimentazione dove i saperi prodotti dai conflitti possano essere strutturati in proposta di pratiche di buon governo del territorio. Non dobbiamo camminare in equilibrio su un crinale ad alta quota, figli delle contraddizioni di un rapporto non sempre comprensibile tra movimenti ed istituzioni.

L’intero programma di governo, la proposta politica da fare alla città sta vedendo il contributo attivo di intelligenze, comunità, realtà organizzate che hanno animato i conflitti in città negli ultimi anni. E’ così sui rifiuti, sulla gestione degli spazi pubblici, sulla riqualificazione urbana come nel caso di Bagnoli, sul welfare, sulla cultura, su una idea di città sicura che significa innanzitutto una città senza paura. Contenuti, proposte, pratiche di buon governo. Oggi lo spazio politico delineato dalla candidatura di Luigi De Magistris significa questo. In un contesto dove gli stessi partiti, a cominciare dall’Italia dei Valori faticano notevolmente a trovare uno spazio di esistenza, travolti da un processo sociale e politico in atto nella città che li travalica e li scavalca.

Nichi Vendola e Sel hanno deciso di non esserci. Hanno deciso di continuare con il passato. Qualcuno prova a leggere il caso Napoli come una dinamica locale, ma ciò che avviene all’ombra del Vesuvio è paradigmatico di uno scenario complessivo che si sta delineando. Da un lato la rincorsa dei democratici di D’Alema – Bersani – Bindi – Veltroni all’estremo centro di Casini –Caltagirone, in una idea di alternativa a Berlusconi che altro non è che una resa dei conti interna ai poteri forti del paese, dove si deve cambiare cavallo per mantenere gli assetti, dove il modello Marchionne, come ci ricorda Piero Fassino, candidato a sindaco di Torino con l’appoggio di Sel, diventa modello di società. Dall’altro il figlio diverso della personalizzazione della politica, ovvero Nichi, che piuttosto che provare a mantenere quel rapporto dialettico con i movimenti ed i segmenti sociali in conflitto nel paese, rincorre il Partito Democratico fin sulla Luna, per aspirare ad agognate primarie per aspirare al ruolo di nuovo cavalluccio dei poteri forti.

La vicenda delle elezioni napoletane si iscrive in questo contesto. Un terzo polo che corre da solo, un Pdl che corre monco – con Clemente Mastella candidato sindaco per l’Udeur – ed un Partito Democratico che per mesi ha rincorso il partito di Casini. La candidatura di De Magistris non solo ha sbaragliato i piani dei centristi e dei democratici, già naufragati dopo la vergognosa sceneggiata delle primarie napoletane del Pd tra brogli e scandali, ma ha messo in crisi la stessa Sel. Non è vero, come in chiave giustificazionista si vuole far credere, che la scelta di Sel di sostenere Morcone sia frutto di equilibri locali. La rincorsa di Vendola al Pd che rincorre l’Udc ben si sposa con la voglia locale di continuità con il bassolinismo, con la voglia di continuità con le clientele e le aberrazioni di vent’anni di malgoverno della città. Quando alcuni mesi fa, Nichi Vendola cominciò a stabilire un dialogo costruttivo con alcuni pezzi del movimento nel paese, ci permettemmo di sottolineare lo scetticismo nella possibilità di coniugare la costruzione di alternativa dal basso al modello Berlusconi – Marchionne e l’aspirazione a diventare premier del paese attraverso le primarie dei democratici. Quello scetticismo non ci impedì un approccio laico e costruttivo a quel rapporto dialettico, che come tale andava messo a verifica periodicamente.

Non sappiamo bene se la verifica è rappresentata da ciò che si è consumato nella vicenda delle amministrative napoletane, ma sappiamo bene che dopo la vicenda del “lancio” di Rosy Bindi premier, la scelta di non sostenere De Magistris a Napoli (sostenendo poi Fassino l’amico di Marchionne a Torino) suppone una mutazione genetica dell'idea di sinistra che hanno. I drammi li lasciamo ad altri. Il “sogno infranto” non appartiene alla dialettica tra movimenti ed istituzioni a meno di non cadere nel fideismo tardo piccista.

A Napoli daremo un contributo alla costruzione della lista civica e dei movimenti che sosterrà la candidatura di Luigi De Magistris a sindaco di Napoli, provando a caratterizzare la specificità della nostra area di movimento in quel contesto. Come andrà a finire lo scopriremo solo vivendolo. Insomma, il tanto evocato rinnovamento della sinistra caldeggiato da Vendola con il laboratorio Puglia sembra aver già esaurito la sua spinta propulsiva, il vendolismo uscito dal tacco d'Italia, non riesce a divenite discorso politico. A Sel restano da dire poche cose. La prima è che non ci pare un bello spettacolo definire “una bella prova di democrazia” il “referendum” tra gli iscritti promosso per decidere chi sostenere se De Magistris o Morcone. Pur non essendo avvezzi alla vita di partito ci pare naturale che la composizione del quadro dirigente dei partiti è definito dalla composizione degli iscritti…insomma perché mai gli iscritti avrebbero dovuto votare diversamente dalle indicazione dei loro organismi dirigenti, se sono stati loro ad eleggerli ?

La seconda è rivolta direttamente a Nichi. Ricordi il "di qualcosa di sinistra" rivolto a quel tale? Ci chiediamo quando farai mai qualcosa di sinistra… Ce lo siamo chiesti quando abbiamo visto che in Puglia ci sono sei inceneritori ed a costruirli c’è la presidente di Confindustria; ce lo siamo chiesti quando abbiamo compreso l’impatto ambientale ed economico dell’avvento delle energie rinnovabili in Puglia sponsorizzate da Enel e da De Benedetti; ce lo siamo chiesti dopo la mossa Rosi Bindi e dopo quella Morcone. Ovviamente dovrai pure venire a Napoli a sostegno del candidato democratico, applaudito da Bassolino.

di Antonio Musella e Pietro Rinaldi

FONTE: Global project

L'ipocrisia dell'Occidente

Nei bei tempi andati le Potenze quando volevano una cosa mandavano le cannoniere e se la prendevano. Era un metodo brutale ma, almeno, intellettualmente onesto. Oggi noi ci vergogniamo di fare la guerra. Una società che si è inventata uno “Statuto dei diritti degli animali” e dove se dai una pedata a un cane puoi finire in galera (l’unico modo di rispettare un cane è trattarlo da cane, altrimenti è lui a non rispettarti) non può permettersela. Naturalmente le guerre si fanno lo stesso, perché sono parte della storia dell’uomo, ma con cattiva coscienza pensando di salvarsi l’anima chiamandole con altri nomi: operazioni di polizia internazionale, di “peace keeping”, missioni in difesa dei “diritti umani”. Con i “diritti umani” nell’Occidente liberale, democratico, illuminista, non si scherza. In nome loro siamo disposti a fare delle vere carneficine. Siamo i nuovi Robin Hood, cavalieri senza macchia e senza paura che difendono i Deboli contro i Forti, il Bene contro il Male che per noi è sempre Assoluto e non può avere dalla sua ragione alcuna. L’Occidente si è sostituito a Dio e amministra la Giustizia Universale, attraverso una sua polizia internazionale chiamata Nato alla cui testa c’è un Paese dalla morale specchiatissima, il vero faro della “cultura superiore”, l’unico ad aver sganciato l’Atomica, il solo ad avere praticato, in tempi moderni, la schiavitù, scomparsa dall’epoca romana, che ha avuto fino a mezzo secolo fa l’apartheid, che nel dopoguerra si è reso protagonista, secondo un conteggio di Gore Vidal, di 166 attacchi ad altri Stati non motivati da aggressioni nei suoi confronti, che ha 66 basi militari in 19 Paesi del mondo (senza contare quelle dell’Alleanza Atlantica, che son poi ancora basi Usa) e la cui storia è cominciata con un genocidio, anche a base di “armi chimiche” (whisky) su un popolo praticamente inerme (Winchester contro frecce). In Serbia, in nome dei “diritti umani”, si fecero 5500 vittime civili, di cui 500 erano albanesi cioè quelli che si intendeva difendere, si è perpetrata (dopo quella del presidente croato Tudjman, nostro alleato: 800 mila serbi cacciati in un solo giorno dalle krajne) la più grande “pulizia etnica” dei Balcani: dei 360 mila serbi che vivevano in Kosovo ne sono rimasti solo 60 mila. In compenso c’è la più grande base americana del mondo. Ma questo era solo l’esordio dei “diritti umani”. In Iraq l’intervento americano ha provocato 170 mila morti, infinitamente di più di quanti ne avesse fatti Saddam Hussein in decenni di satrapia (il calcolo è stato fatto, molto semplicemente, da una rivista medica inglese confrontando i decessi dell’era Saddam con gli anni dell’intervento americano). Ma non è finita perché, acquisito l’Iraq come neoprotettorato Usa, si è innescata una feroce guerra civile fra sciiti e sunniti con decine e a volte centinaia di morti quasi ogni giorno, divenuti cosa così abituale che la stampa occidentale non ne dà più notizia, a meno che non venga accoppato qualche cristiano e allora ci sono le geremiadi del Papa che non ha mai speso una parola, dicansi una, per le vittime civili, adulti maschi, vecchi, donne, bambini, provocate dai bombardamenti Nato in Afghanistan. Rispetto all'Afghanistan, un rapporto Onu del 2009 recita: «La maggioranza delle vittime civili (circa 60 mila, ndr) è causata dai bombardamenti della Nato». Perché i difensori dei “diritti umani”, i cavalieri senza macchia e senza paura, non hanno nemmeno più il coraggio di combattere. «Se potessi» ha detto Barack Obama «manderei in Afghanistan solo i robot, per risparmiare la vita dei nostri soldati». E gli afgani? E i Talebani? Non sono uomini propriamente detti, non appartengono alla “cultura superiore”. Ma il combattente che non combatte, approfittando della sua enorme superiorità tecnologica, perde ogni legittimità. In Afghanistan come in Libia.

Massimo Fini, Il Fatto quotidiano

sabato 26 marzo 2011

Ferrero: Si può vincere!


Buona manifestazione al popolo della pace, dell’acqua pubblica e dell’energia pulita.

Oggi saremo in piazza per affermare chiaramente che è possibile e necessaria una alternativa di sistema che rovesci i paradigmi delle classi dominanti.

Siamo in piazza per affermare la necessità del dialogo e della cooperazione contro la logica della guerra. Non esistono guerre umanitarie, esistono solo guerre che producono drammi all’umanità. Oggi come ieri siamo contro la guerra “senza se e senza ma”. Siamo scesi in piazza una settimana fa per difendere la Costituzione repubblicana. Noi la difendiamo sempre e la difendiamo tutta: anche l’articolo 11, e denunciamo l’illegalità di questa guerra.

Siamo in piazza per l’acqua pubblica. Riteniamo che ogni persona abbia diritto ad avere l’acqua potabile a casa senza che nessuno debba arricchirsi alle sue spalle. L’acqua potabile non è una merce, è un bene necessario ad ogni uomo e ad ogni donna e non vogliamo che nessuno possa fare profitti sull’acqua.
Siamo per l’acqua pubblica perché la riteniamo un bene comune così come siamo per la sanità pubblica, per l’istruzione pubblica, affinché la cultura diventi un bene comune. L’acqua pubblica è il primo appuntamento della stagione dei beni comuni: contro le privatizzazioni e superando una concezione burocratica del pubblico.

Siamo in piazza contro il nucleare e per le energie pulite. L’energia nucleare costituisce l’essenza paradigmatica del capitalismo odierno: nociva, pericolosa, incontrollabile, centralizzata, gestita attraverso l’occultamento delle informazioni, basata sullo spreco. L’energia, come l’acqua, è un bene di tutti e di tutte: vogliamo in primo luogo risparmiarla e poi la vogliamo produrre in modo pulito, rinnovabile, decentrato, rispettoso della natura.

Siamo in piazza perché riteniamo che questo capitalismo - tutto centrato sul profitto e sulla gestione autoritaria e centralizzata del potere - ci stia portando alla barbarie. Abbiamo detto negli anni scorsi che un altro mondo è possibile: non solo lo pensiamo anche oggi, ma lo riteniamo più che mai necessario.
Questa manifestazione è importante anche perché può vincere. Fra tre mesi, il 16 giugno, si andrà a votare per i referendum sull’acqua e sul nucleare. Quei referendum possono essere vinti. Il disastro avvenuto in Giappone ha richiamato a livello di massa la pericolosità devastante del nucleare. Dal male dobbiamo trovare il bene. Dal disastro giapponese dobbiamo costruire la possibilità di mettere la parola fine, una volta per sempre, al nucleare in Italia. Il quorum può essere raggiunto.
La vittoria nei referendum può cambiare il corso della storia italiana, può chiudere una fase e aprirne un’altra, non solo sul piano politico – e non è poco – ma proprio sul piano delle culture egemoni, di quello che chiamiamo il modello di sviluppo. Questa manifestazione è quindi un punto di partenza per la campagna referendaria che possiamo e dobbiamo vincere. Facciamoci gli auguri.
di Paolo Ferrero

Segretario nazionale PRC