«Attacco scioano impetuoso, avvolgente destra sinistra, obbligò truppe ritirata che presto prese aspetto di rovescio. Tutte le batterie di montagna cadute in mano del nemico». Così il Comando italiano comunicò a Roma, la cocente sconfitta subita ad Adua il 1 marzo 1896 ad opera del pur arraffazzonato esercito fedele al re etiope Menelik II. Era la terza disfatta delle ambizioni coloniali italiane in Africa dopo le sconfitte di Dogali 1887) e Amba Alagi (1895). Al governo c'era Crispi, esponente della "sinistra", che si dimise, sotto la pressione di tumulti popolari al grido di «Viva Menelik!».
Così si esprimeva l'odio proletario verso il governo italiano, verso la sinistra trasformista, che cercava di rabbonire le masse e ottenere il loro sostegno alla "italica missione di civilizzazione" in Africa.
La storia si ripete per l'ennesima volta. Ieri nella Commissione esteri della Camera, il Pd ha votato con i berlusconidi e il "terzo polo", affinché l'Italia scenda in guerra. Non fosse stato per questo "sostegno immediato e senza condizioni" (Il Corriere della Sera, 19 marzo), il governo sarebbe stato battuto (visto che i rappresentanti leghisti non hanno partecipato al voto) e la stessa sorte di Berlusconi molto probabilmente segnata.
Cosa dimostra questo fatto? Che il contrasto politico e istituzionale, a volte furibondo, con Berlusconi, passa in secondo piano quando si tratta di ubbidire, non tanto all'ONU, ma alla NATO. C'è da entrare in guerra, non si scherza più. Una volta si diceva, per giustificare il patriottismo nazionalista, "bella o brutta questa è la mia patria". In questo caso non c'è di mezzo alcuna minaccia alla patria, né si può tirare in ballo il nazionalismo italiota. C' è in ballo piuttosto la fedeltà al Patto atlantico, il rispetto zelante, non degli interessi nazionali, ma di quelli sovranazionali imperialistici. Gheddafi, il vecchio amico, è spacciato, meglio salire subito sul carro dei vincitori, per sperare di raccogliere le briciole della futura spartizione del bottino libico.
Oggi come allora noi gridiamo "Viva Menelik!", non per amore di Menelik, ma per rispetto di chi, suo malgrado, si trova a combattere il nuovo colonialismo; come sfregio verso gli artefici dell'ennesima crociata, mascherata da esercito della salvezza libertario, dove democrazia sta per petrolio, e mercato e libero scambio per diritti umani.
C'è infine, in questo grido, il più smisurato disprezzo verso il Pd il quale, ancor più dei berlusconidi, e per quanto sia all'opposizione, si comporta come il più fedele cane da guardia del sistema imperiale, e quindi della funzione di questo paese come sua portaerei e avamposto bellico.
Non solo verso il Pd.
Mentre scriviamo leggiamo che Di Pietro ha affermato che «L'Idv non si tirerà indietro per impedire a Gheddafi di massacrare il suo popolo. Ci impegniamo a dare il nostro apporto in Parlamento quando la settimana prossima si voteranno i contenuti della risoluzione dell'Onu».
Da parte sua Vendola ha farfugliato: «Dobbiamo lavorare per impedire il massacro dei civili in Libia ma dobbiamo anche evitare che in Libia si replichino copioni tragici, che hanno visto soluzioni militari precipitare in pericolosi e terribili pantani. Dobbiamo impedire che Gheddafi completi la sua macelleria civile ma dobbiamo anche vigilare con cautela che l’opzione militare non si trasformi in qualcosa di imprevedibile. Serve davvero infinita saggezza da parte di tutti».
Un primo pensiero corre a quelli che domani o dopodomani verranno a dirci che occorre votare questi bastardi per... "cacciare Berlusconi". Uno sputacchio in un occhio!
Un secondo corre a coloro che sono insorti contro Gheddafi e che hanno invocato la tutela neocoloniale della NATO. Per non essere servi di un piccolo tiranno vi siete gettati tra le braccia di quelli più grossi. Non crediamo voi abbiate, ribellandovi, ubbidito a qualche centrale occidentale. Pensiamo anzi che la vostra rivolta è stata legittima quanto sconclusionata e improvvisata. C'è un limite alla spontaneità, ed è la sua superbia. Nessuna insurrezione armata si improvvisa, e una volta cominciata la battaglia si deve accettare il rischio di essere sconfitti. Non lamentatevi se così facendo vi siete alienati le simpatie di mezzo mondo. A chi tocca nun se ngrugna!
Campo Antimperialista
Così si esprimeva l'odio proletario verso il governo italiano, verso la sinistra trasformista, che cercava di rabbonire le masse e ottenere il loro sostegno alla "italica missione di civilizzazione" in Africa.
La storia si ripete per l'ennesima volta. Ieri nella Commissione esteri della Camera, il Pd ha votato con i berlusconidi e il "terzo polo", affinché l'Italia scenda in guerra. Non fosse stato per questo "sostegno immediato e senza condizioni" (Il Corriere della Sera, 19 marzo), il governo sarebbe stato battuto (visto che i rappresentanti leghisti non hanno partecipato al voto) e la stessa sorte di Berlusconi molto probabilmente segnata.
Cosa dimostra questo fatto? Che il contrasto politico e istituzionale, a volte furibondo, con Berlusconi, passa in secondo piano quando si tratta di ubbidire, non tanto all'ONU, ma alla NATO. C'è da entrare in guerra, non si scherza più. Una volta si diceva, per giustificare il patriottismo nazionalista, "bella o brutta questa è la mia patria". In questo caso non c'è di mezzo alcuna minaccia alla patria, né si può tirare in ballo il nazionalismo italiota. C' è in ballo piuttosto la fedeltà al Patto atlantico, il rispetto zelante, non degli interessi nazionali, ma di quelli sovranazionali imperialistici. Gheddafi, il vecchio amico, è spacciato, meglio salire subito sul carro dei vincitori, per sperare di raccogliere le briciole della futura spartizione del bottino libico.
Oggi come allora noi gridiamo "Viva Menelik!", non per amore di Menelik, ma per rispetto di chi, suo malgrado, si trova a combattere il nuovo colonialismo; come sfregio verso gli artefici dell'ennesima crociata, mascherata da esercito della salvezza libertario, dove democrazia sta per petrolio, e mercato e libero scambio per diritti umani.
C'è infine, in questo grido, il più smisurato disprezzo verso il Pd il quale, ancor più dei berlusconidi, e per quanto sia all'opposizione, si comporta come il più fedele cane da guardia del sistema imperiale, e quindi della funzione di questo paese come sua portaerei e avamposto bellico.
Non solo verso il Pd.
Mentre scriviamo leggiamo che Di Pietro ha affermato che «L'Idv non si tirerà indietro per impedire a Gheddafi di massacrare il suo popolo. Ci impegniamo a dare il nostro apporto in Parlamento quando la settimana prossima si voteranno i contenuti della risoluzione dell'Onu».
Da parte sua Vendola ha farfugliato: «Dobbiamo lavorare per impedire il massacro dei civili in Libia ma dobbiamo anche evitare che in Libia si replichino copioni tragici, che hanno visto soluzioni militari precipitare in pericolosi e terribili pantani. Dobbiamo impedire che Gheddafi completi la sua macelleria civile ma dobbiamo anche vigilare con cautela che l’opzione militare non si trasformi in qualcosa di imprevedibile. Serve davvero infinita saggezza da parte di tutti».
Un primo pensiero corre a quelli che domani o dopodomani verranno a dirci che occorre votare questi bastardi per... "cacciare Berlusconi". Uno sputacchio in un occhio!
Un secondo corre a coloro che sono insorti contro Gheddafi e che hanno invocato la tutela neocoloniale della NATO. Per non essere servi di un piccolo tiranno vi siete gettati tra le braccia di quelli più grossi. Non crediamo voi abbiate, ribellandovi, ubbidito a qualche centrale occidentale. Pensiamo anzi che la vostra rivolta è stata legittima quanto sconclusionata e improvvisata. C'è un limite alla spontaneità, ed è la sua superbia. Nessuna insurrezione armata si improvvisa, e una volta cominciata la battaglia si deve accettare il rischio di essere sconfitti. Non lamentatevi se così facendo vi siete alienati le simpatie di mezzo mondo. A chi tocca nun se ngrugna!
Campo Antimperialista
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