mercoledì 16 marzo 2011

La cricca dell'atomo

È superfluo ripetere che le immagini che arrivano dal Giappone, l'enormità del disastro e delle sofferenze chiamano il senso della fraternità, ma è anche odioso che questa dichiarazione venga ripetuta a legittimare censure su ciò che quegli eventi suggeriscono per i fatti di casa nostra.
Al contrario, quella vicenda porta alla luce fatti ai quali viene da rispondere con un senso di ribellione per l'incompetenza e/o la disonestà che emergono nel dibattito di queste ore.
Siamo alle soglie di una catastrofe, afferma il commissario europeo Oettinger, ma in Italia si proclama che il programma nucleare italiano prevede la realizzazione di impianti della migliore tecnologia, per i quali non ci sono questi rischi. Chi lo dice, se è un competente, sa di dire cose contrarie alla realtà.
Quando gli americani nel 1999, dopo che dal 1978 l'avversione delle popolazioni per l'impatto sanitario delle centrali in condizioni di routine aveva causato il blocco di ogni ordinativo, dopo l'incidente di Three Mile Island, dopo Chernobyl, danno il via al consorzio di ricerca Generation IV, l'obiettivo proclamato è quello di ripensare dalle fondamenta la sostenibilità del nucleare. Non un lavoretto di maquillage: un aggiustamento per pompe, tubi e valvole, alla luce degli «insegnamenti» di Three Mile Island - ciò che oggi si intende per III generazione - ma quei cambiamenti radicali che diano alla parola sicurezza un significato non probabilistico, ma di certezza. Si possono infatti migliorare i dispositivi, renderli ridondanti, ma questo, se riduce la probabilità di un incidente del tipo sin qui noto, non cambia il fatto che l'incidente resta possibile con i suoi effetti enormi di sofferenze e di paura.
Cambiare invece la fisica del reattore pone evidentemente problemi difficili di ricerca, il cui approdo si allontana nel tempo: 2035? 2040? E già Carlo Rubbia, considerando l'insieme dei progetti di Generation IV, ne metteva in evidenza il carattere di soluzioni incomplete. Generation IV è tuttavia una sfida sulla tecnologia.
Ciò che si gioca invece dinanzi ai nostri occhi è assai meno nobile. Degne di rispetto sarebbero istituzioni che dicessero agli italiani: è vero, questi rischi ci sono, il paese è sismico e la tecnologia è imperfetta, ma non c'è alcun altro modo per fornire energia al paese e dunque si dovrà, in modo trasparente, ripartire i rischi e ripagarli con benefici diretti a chi dovrà direttamente subirli.
Questo discorso non si fa, e come farlo?: l'intero programma nucleare italiano darebbe meno di un settimo dell'obiettivo a cui ci chiama l'Unione europea il 2020. Una Ue che, peraltro, nei suoi obiettivi, diventati obiettivi di tutto il mondo, non prevede il ricorso al nucleare.
Ma si campa di imbroglio, come quando alla gente di Scanzano si disse che le rocce saline garantivano l'integrità nei secoli di un deposito di scorie. Un falso. O si nasconde quanto recentemente dichiarato dal Governo federale tedesco: sì, intorno agli impianti nucleari c'è più del doppio di leucemie infantili. Ma per Veronesi, presidente dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, il rischio da funzionamento normale non esiste.
Emerge cioè l'etica di una lobby, decisa a conseguire comunque il suo risultato e, del resto, il terreno dell'energia è da sempre terreno di lobby: anche sul vento la cricca ha tentato la sua speculazione. Ma di fronte alla catastrofe anche le lobby dovrebbero tacere.
di Gianni Mattioli e Massimo Scalia
su Il Manifesto

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