venerdì 30 luglio 2010

VOLANTINO

Tremonti, Berlusconi, Bossi
contro i lavoratori….
…dalla parte di ladri, banchieri, padroni e speculatori
Ø Il trio Berlusconi, Tremonti e Bossi mette le mani nelle tasche dei lavoratori. La manovra da 25 miliardi colpisce chi vive del proprio lavoro. I grandi patrimoni, la speculazione finanziaria, gli evasori non verseranno un euro e, sentitamente, ringraziano.
Ø La crisi, esito delle politiche neoliberiste, della deregolamentazione finanziaria, delle privatizzazioni, dei bassi salari e dell’alta precarietà del lavoro, dovrebbe essere pagata nuovamente, secondo “lor signori” dai lavoratori. Ma se in questi anni, come ha detto Berlusconi, “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, ciò non riguarda lavoratori e pensionati, sulle cui spalle è ricaduto tutto il peso del risanamento dei conti pubblici degli ultimi 20 anni.
Ø Si vuol far credere che la crisi del debito pubblico è causata dall’eccesso di spese pubbliche, in particolare della spesa sociale e pensionistica. Ma l’INPS ci dice che il 72% dei pensionati vive con meno di 1.000 euro al mese, e il 46% addirittura con meno di 500 euro. Mentre ISTAT e Banca d’Italia sottolineano che negli ultimi 20 anni salari, stipendi e pensioni hanno perso il 20% del proprio potere d’acquisto a favore dei profitti e delle rendite.
Ø La verità è che l’aumento del debito è strettamente legato ai miliardi di euro serviti per coprire i debiti del sistema bancario e salvare il sistema finanziario speculativo. A questo enorme disavanzo si aggiungono, per l’Italia, le politiche a favore dell’evasione ed elusione fiscale volte a garantire, per questa via, un sistema economico incapace di innovazione e investimenti.
Ø Il governo Berlusconi, dopo aver a lungo negato le difficoltà finanziarie, adotta una manovra socialmente iniqua ed economicamente nociva.

NOI NON PAGHEREMO LA VOSTRA CRISI

Ø In un Paese in cui il 10% della popolazione possiede il 45% della ricchezza, mentre il 50% ne possiede appena il 10%, non è possibile che a pagare siano sempre i soliti noti: lavoratori e pensionati.
Ø In un Paese che ha i salari e gli stipendi tra i più bassi d’Europa e in cui aumenta vertiginosamente disoccupazione e cassa integrazione, non sono accettabili il blocco dei contratti del pubblico impiego, il licenziamento di metà dei precari della P.A. (100.000 persone a spasso), il blocco del turn over (90.000 mancate assunzioni ogni anno)
Ø In un Paese dove lo stato sociale è già sotto finanziato rispetto al resto d’Europa, è immorale tagliare di 15 miliardi i trasferimenti agli Enti Locali che si tradurranno in ulteriori tagli dei servizi ai cittadini e in aumenti di tariffe.
Ø In un Paese dove ogni anno si contano 120 miliardi di evasione fiscale e 50 miliardi di evasione contributiva, è criminale varare, con cadenza quasi annuale, condoni come lo “scudo fiscale” di pochi mesi fa.
Ø In un Paese dove l’INPS, con 8 miliardi di avanzo, finanzia il deficit dello Stato e in cui il fondo lavoratori dipendenti paga le pensioni dei dirigenti di azienda è profondamente ingiusto ridurre le prestazioni previdenziali ed aumentare l’età per la pensione.

Non è vero che a pagare debbano essere sempre gli stessi.
E’ POSSIBILE COSTRUIRE UN’ALTERNATIVA


v CONTRASTO ALLA SPECULAZIONE. Si può fare ripristinando meccanismi di controllo dei movimenti a breve dei capitali, proibendo le vendite allo scoperto dei titoli di Stato, obbligando la BCE a politiche antispeculative.
v FISCO PIU’ GIUSTO. Che contrasti davvero l’evasione e l’elusione; che porti la tassazione sulle rendite a livello europeo, che introduca una patrimoniale sulle grandi ricchezze; che reintroduca l’ICI sui redditi più alti; che diminuisca la pressione fiscale su lavoratori e pensionati.
v UN PIANO PER IL LAVORO E L’AMBIENTE. Con un nuovo ruolo pubblico in economia e nel credito, nella ricerca e nelle politiche industriali. Servono piani per la mobilità sostenibile, per l’efficienza energetica e lo sviluppo delle energie rinnovabili, per la messa in sicurezza del territorio. Servono investimenti nella rete idrica, per ridurre gli sprechi. Serve bloccare le grandi opere (Ponte sullo stretto e TAV Torino-Lione, che da sole valgono 21 miliardi di euro). Servono più servizi sociali.
v CONTRASTO ALLA PRECARIETA’. Stabilizzando i precari della P.A. Estendendo gli ammortizzatori sociali e introducendo il reddito sociale minimo. Abolendo la legge 30 e difendendo i diritti del lavoro.
v PIANO PER LA CONOSCENZA. Che blocchi i tagli a scuola, università e ricerca.
v ECONOMIA DI PACE. Tagliando le spese militari, i 15 miliardi per i nuovi caccia F30, la missione in Afghanistan.


La Federazione della Sinistra chiede alle forze dell’opposizione di non cedere alle lusinghe bipartisan, ma di costruire una mobilitazione unitaria
contro la manovra economica e contro le politiche reazionarie
del trio Berlusconi, Tremonti e Bossi
a partire dall’appoggio alla
MANIFESTAZIONE della FIOM del 16 OTTOBRE
per il lavoro, i diritti, la democrazia sindacale
e la riconquista del contratto nazionale di lavoro
Circolo PRC "Pierino Ranieri" Torgiano

giovedì 29 luglio 2010

Con l'incentivo.... c'est plus facile

Incentivi agli Investimenti previsti dalla Serbia per la FIAT

Oltre ad un allettante pacchetto di incentivi fiscali, sono ora disponibili concessioni statali tra i 2.000 e i 10.000 euro per ogni nuovo posto di lavoro creato per progetti su terreni vacui riguardanti produzione, servizi e ricerca e sviluppo.

Incentivi finanziari
· Produzione: sovvenzioni statali da 2.000 fino a 5.000 euro per ogni nuovo posto di lavoro creato;
· Servizi: sovvenzioni statali da 2.000 fino a 10.000 euro per ogni nuovo posto di lavoro creato;
· Ricerca e sviluppo: sovvenzioni statali da 5.000 fino a 10.000 euro per ogni nuovo posto di lavoro creato.


Incentivi fiscali

· Esenzione fiscale della durata di 10 anni sui i profitti aziendali per investimenti superiori ai 7.5 milioni di euro con la creazione di almeno 100 nuovi posti di lavoro;
· Crediti fiscali per i profitti aziendali fino all'80% del valore dell'investimento sui capitali fissi;
· Riporto delle perdite nell'arco di un periodo massimo di 10 anni;
· Ammortamento accelerato sui capitali fissi;
· Esenzione fiscale di 5 anni per le concessioni;
· Deduzione sulla base salariale imponibile per un ammontare fisso di 60 euro al mese;
· Esenzioni fiscali per lavoratori di età inferiore ai 30 anni e superiore ai 45;
· Deduzioni sulla tassa annuale sul reddito fino al 50% dell'imponibile;
· Esenzioni sui contributi previdenziali per lavoratori di età inferiore ai 30 anni e superiore ai 45.



INSOMMA GLI INVESTIMENTI LI FA LO STATO, LAVORARE TOCCA AGLI OPERAI.....E I PROFITTI, LE ESENZIONI FISCALI......SE LI RUBANO I PADRONI....


COSI' E' MOLTO FACILE FARE L'IMPRENDITORE, NON SERVIREBBE NEMMENO LA LAUREA AD HARVAD!

mercoledì 28 luglio 2010

CRISI EUROPEA E RUOLO DELLA SINISTRA

L'editoriale di Paolo Ferrero sull'ultimo numero della
rivista
"SU LA TESTA - Materiali per la Rifondazione"


· La crisi attuale è una crisi strutturale, di sistema. È la crisi del sistema capitalistico come si è venuto a configurare nella globalizzazione neoliberista.
· Le politiche messe in atto dai vari governi non sono in grado di rilanciare il meccanismo di accumulazione. Restano irrisolti i problemi dell’instabilità finanziaria e quelli relativi agli sbocchi di mercato. Così come non si intravedono soluzioni per le crisi energetica, ambientale e alimentare.
· La crisi è soprattutto una ridefinizione delle gerarchie preesistenti. È infatti evidente che la crisi consacra il ruolo di grande potenza della Cina e vede un forte declino dell’Europa. Questo smottamento delle gerarchie consolidate non è un fenomeno passeggero, ma storico che ha ricadute non solo in campo economico ma soprattutto sul piano sociale, politico e antropologico che vanno analizzate attentamente.

1-DECLINO DELL’EUROPA
· Le classi dominanti europee, guidate dalla Germania, stanno attuando una pesante politica deflattiva e di taglio della spesa sociale. Con un accordo bipartisan fra centrodestra e centrosinistra europei, si punta a rendere più stretti i parametri di Maastricht e a rendere automatiche le sanzioni per i paesi che non si adeguano. Insomma, di fronte al fallimento conclamato delle politiche neoliberiste che hanno informato la costruzione materiale e formale dell’Unione, le nostre classi dirigenti rispondono con più neoliberismo.
· Il loro obiettivo è una riduzione del costo del lavoro a partire da una riduzione dell’occupazione, dell’aumento dello sfruttamento e della precarizzazione del lavoro, della distruzione del welfare. Tutto ciò determinerà una più accentuata gerarchizzazione interna all’Europa sulla base della produttività del lavoro dei diversi paesi.
· Diversamente dalla Cina e dagli USA, la politica europea non punta al sostegno della domanda e al rilancio del mercato interno. Al contrario si punta al rilancio delle esportazioni. Da qui la necessità di comprimere al massimo i costi di produzione mediante il contenimento dei salari, la riduzione ai minimi termini del welfare, la messa in discussione dei diritti dei lavoratori.
· Questa politica non si applica dovunque con la stessa intensità. I paesi ad alta produttività (come la Germania) resteranno paesi con alti salari e buon livello di welfare. Al contrario i paesi con bassa produttività (come la Grecia, ma anche l’Italia) vedranno un drastico taglio di salari e welfare. Non un semplice riduzione ma un taglio netto dell’ordine del 30%, il che significa una modifica strutturale, per vaste masse di lavoratori, della propria condizione di vita.
· Siamo di fronte ad una politica che, pur mantenendo la moneta unica, produce una enorme differenziazione interna all’Unione Europea, accentuando le differenze tra settori produttivi e, soprattutto, tra i diversi territori. il differenziale di produttività, non essendo più mediato da alcuna politica pubblica sovrannazionale, è destinato ad accentuare le differenze, le gerarchie. Il rischio di tale politica è l’accentuazione del processo di disgregazione degli stati nazionali.
· Il punto fondamentale è che questa politica non solo colpisce i lavoratori e rischia di disgregare l’Europa, ma, avendo un obiettivo utopico (lo sviluppo incentrato sulle esportazioni), è destinata a fallire. In effetti non si vede uno sbocco di mercato per la produzione europea al di fuori del continente. È evidente che tale sbocco non può essere la Cina, che già oggi e la “manifattura del mondo” e che sta rapidamente qualificando la sua produzione nelle fasce alte della divisione del lavoro. Una Cina che sforna un milione di ingegneri all’anno e che vende i suoi treni superveloci agli USA, difficilmente può essere il mercato di sbocco della produzione europea. Dall’altra parte non è immaginabile che gli USA continuino ad assorbire l’eccedenza produttiva europea, perché il meccanismo del “consumatore indebitato” (uno degli elementi che hanno permesso agli USA di essere il “consumatore in ultima istanza”) è uno dei fattori dell’attuale crisi finanziaria. Gli USA non possono più continuare a vivere al di sopra dei propri mezzi e, in ogni caso, dati gli attuali rapporti commerciali e finanziari, la relazione privilegiata degli USA sarà con la Cina e non con l’Europa.
· Insomma le classi dirigenti europee hanno deciso di puntare sulle esportazioni per uscire dalla crisi, da qui la necessità di comprimere il mercato interno. Ma questa politica non ha possibilità di riuscita per cui gli effetti negativi rischiano di cumularsi: riduzione del mercato interno non compensato dal livello sperato di esportazioni. L’ipotesi più probabile è che questa politica determini una lunga fase di deflazione, come è successo per tutti gli anni ’90 al Giappone.

2-UNA LINEA SUICIDA
· La linea scelta dalle classi dirigenti europee sta portando al disastro. Questa linea non è stata ancora completamente applicata. Per adesso c’è solo la stangata da 300 miliardi motivata dalla scusa della speculazione finanziaria. Questa è una vera e propria scusa perché è evidente che la speculazione si può impedire se si modificano il ruolo della BCE e le regole dei mercati finanziari. Altrimenti la lotta alla speculazione si riduca nel trasferimento di risorse dai lavoratori agli speculatori.
· Il prossimo passaggio sarà l’obbligo, per i paesi con debito superiore al 60% del PIL, di politiche di rientro accelerato dal debito, pena sanzioni automatiche con il taglio dei fondi strutturali. In questo modo le politiche di bilancio dei singoli paesi verrebbero sottratte ai singoli parlamenti nazionali, cui spetterà solo la ratifica, ma saranno scelte direttamente dalla tecnocrazia di Bruxelles.
· Se questa analisi è giusta, è evidente che la crisi sta determinando una nuova gerarchia mondiale, che vede l’Europa in declino. Un declino fatto di disoccupazione di massa, disgregazione sociale e forti differenziazioni fra settori produttivi e territori, che durerà a lungo, molti anni.
· Insomma questa crisi non è una fase passeggera, ma è il contesto in cui siamo chiamati ad operare nei prossimi anni. di questo fatto facciamo fatica ad essere consapevoli. Anche a sinistra non si ha chiara percezione delle modifiche – non solo economiche, ma nella vita quotidiana, nei modi di vivere, nella coscienza e nell’immaginario delle persone, - che il perdurare della crisi determina-.
· Questo elemento è del tutto sottovalutato nel dibattito italiano completamente intriso di provincialismo. La giusta critica del carattere delinquenziale, fascistoide e classista del governo Berlusconi, tende infatti a far scomparire il contesto in cui Berlusconi si muove e con cui è in perfetta sintonia. La contrapposizione tra un’Europa “buona” e un governo italiano “cattivo”, tanto cara alla nostra opposizione parlamentare, è completamente destituita di fondamento. In Spagna, Zapatero, espressione del riformismo socialista europeo, sta praticando, contro i lavoratori, politiche non dissimili da quelle di Berlusconi.

3-LA CRISI COSTITUENTE
· Berlusconi non rappresenta un caso isolato, ma è il volto peggiore di una tendenza europea. I tagli alla spesa pubblica della manovra tremontiana che colpiscono quasi esclusivamente le condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari, si accompagnano al tentativo di ridisegnare completamente il quadro istituzionale del paese riducendo la democrazia e le tutele del lavoro.
· Dopo gli attacchi alla magistratura e alla libertà di stampa, le proposte di modifica del titolo terzo della Costituzione, l’attacco al diritto di sciopero e al sindacato, la demolizione dello Statuto dei Lavoratori e del diritto del lavoro, rappresentano il tentativo di usare la crisi per ridisegnare completamente la geografia sociale, politica e istituzionale del nostro paese. Questo disegno, finalizzato alla gestione autoritaria del conflitto sociale, punta a ridurre completamente i lavoratori a merce.
· Il disegno del governo Berlusconi non è semplicemente quello di uscire dalla crisi, ma di utilizzarla come “crisi costituente”, in cui l’offensiva sociale si accompagna alla distruzione della democrazia e alla riscrittura della storia e della cultura del paese. L’obiettivo è quello di porre fine agli equilibri sociali, politici e istituzionali caratterizzanti la nostra Repubblica.
· Berlusconi sa bene che non può gestire l’impoverimento di mass mantenendo inalterati i livelli di democrazia. Bisogna sottolineare questo elemento strutturale e strategico del berlusconismo che lega la gestione della crisi e riduzione degli spazi di democrazia.
· Questa azione non è esente da contraddizioni interne alla maggioranza di governo. Ma il punto di forza di Berlusconi è che i suoi oppositori interni, e le forze dell’opposizione parlamentare, si muovono su un terreno sostanzialmente liberale e interclassista. Anche quando l’opposizione solleva i nodi della giustizia sociale, non avanza mai una proposta di uscita dalle politiche neoliberiste che costituiscono il quadro entro cui si muove il governo.
· Emblematica è la sostanziale copertura data dal PD all’operazione FIAT a Pomigliano, che di queste politiche è l’espressione più coerente. In un colpo solo viene infatti aumentato lo sfruttamento, messo in discussione il contratto nazionale di lavoro e violata la Costituzione in merito al diritto di sciopero.
· La manovra finanziaria produrrà ulteriore disoccupazione e restringimento del welfare. In particolare nel corso del prossimo anno termineranno le misure di sostegno al reddito quali la cassa integrazione in deroga e la mobilità per centinaia di migliaia di lavoratori, determinando una situazione di disoccupazione di massa mai vista in Europa. In merito bisogna sottolineare che, al di là del tasso ufficiale di disoccupazione, il punto vero è che in Italia il tasso di occupazione ( cioè coloro che lavorano nella fascia di età tra i 15 e i 65 anni) è del 57% (in Danimarca è l’80%) e che una parte consistente di questi è oggi in CIG. Il altri termini, in Italia, una persona su due in età di lavoro, non lavora ed è senza protezioni sociali che non siano quelle garantite dalla struttura familiare. Al dato sulla disoccupazione si accompagna il taglio al welfare, la riduzione dei salari reali ed un aumento dello sfruttamento del complesso del mondo del lavoro.

· L’attacco su più fronti che punta al ridisegno delle relazioni sociali nel contesto di un deciso impoverimento del paese, sta provocando numerosi conflitti sociali che sono destinati ad aumentare. Il punto di forza del governo e del padronato sono la relativa frammentazione dei conflitti, tutti difensivi e privi di guida politica in quanto l’opposizione parlamentare si muove sostanzialmente all’interno del paradigma neoliberista.
· La vera partita politica che si giocherà in Italia in autunno è proprio questa: la capcità di costruire un movimento di mass che superi l’orizzonte liberale che separa libertà democratiche dalla questione sociale e che, proprio per questo, si ponga in opposizione non solo a Berlusconi, ma anche a Marchionne e alle politiche neoliberiste europee.
· Su questo si misura la vitalità o la residualità della sinistra e dei comunisti

martedì 27 luglio 2010

26 luglio 1953: l’attacco alla Caserma Moncada

L'attacco alla Caserma Moncada, seconda fortezza militare dell'esercito batistiano, il 26 luglio 1953, nonostante sia fallito, è un evento fondamentale nella storia della rivoluzione cubana, fu infatti il detonatore che fece esplodere la società neocoloniale.

Prima del golpe militare del 10 marzo 1952, le aspirazioni della maggior parte della popolazione erano riposte nella vittoria del Partito del Popolo Cubano alle elezioni che si sarebbero dovute tenere il 1° giugno di quell’anno, ma il golpe portò al potere Fulgencio Batista ed ogni speranza si spense: abrogazione della Costituzione del '40, annullamento di tutte le funzioni legislative, sospensione dell'autonomia delle amministrazioni provinciali e municipali e soppressione del Codice Elettorale e dei diritti delle organizzazioni politiche.
In altri termini, niente elezioni. Il 4 aprile Batista dettò il proprio Statuto Costituzionale.
I partiti politici contrari al regime militare si perdevano in discussioni e divisioni interne, nel frattempo nascevano intense proteste studentesche antibatistiane; dalle proteste si passò all'agitazione insurrezionale, si moltiplicarono i gruppi indipendentisti favorevoli alla lotta armata in cerca di mezzi per sconfiggere Batista.
Intanto, un importante settore della gioventù guidato dal giovane avvocato Fidel Castro Ruz si preparava in segreto, con poche risorse e con uomini più addestrati che armati.
Il piano d'attacco alla caserma Moncada venne concepito in gran parte nell'appartamento di Abel Santamaría, situato nel quartiere del Vedado, mentre l'addestramento fu tenuto nell'Università de La Habana dallo studente di ingegneria Pedro Miret Prieto.
La concentrazione finale ebbe luogo nella fattoria Granjita Siboney nella notte del 25 luglio.
I rivoluzionari, vestiti come i soldati e con il vantaggio della sorpresa si proponevano di occupare la Moncada e in seguito di armare la popolazione che si fosse unita a loro con l’arsenale conquistato.
Se non ci fosse stato un incontro imprevisto con una sentinella di ronda, la caserma sarebbe caduta nelle loro mani.
Fidel Castro diresse l'attacco alla caserma Moncada con 45 uomini, preceduto da 8 uomini che presero il posto di guardia n° 3.
Nell'azione morirono 8 guerriglieri, alcuni morirono proteggendo la ritirata dei loro compagni; 53 vennero invece catturati e poi assassinati, altri 30 vennero incarcerati.
Il discorso di autodifesa di Fidel durante il processo, conosciuto in seguito come "La storia mi assolverà", venne pronunciato il 16 ottobre 1953. Ricostruito dallo stesso Fidel durante la prigionia, venne fatto uscire segretamente dal carcere e pubblicato grazie all’impegno di attivisti che lo distribuirono clandestinamente in tutto il paese a metà del 1954 e divenne la spinta per l'arruolamento di migliaia di giovani cubani nella lotta antibatistiana.
Il Programma del Moncada fu poi portato a compimento nella sua essenza durante il primo anno e mezzo dal trionfo della Rivoluzione.



di Grazia Orsati, da Radio Città Aperta

domenica 25 luglio 2010

Dieci domande a Nichi Vendola

Se Repubblica fa dieci domande a Silvio Berlusconi (e non ottine risposta), perché il Megafono Quotidiano non può farle a Nichi Vendola? Infatti le fa. Quasi a suggerire che i due sono "legati" dal filo rosso del leaderismo, del "personalismo"? Comunque eccovele. E si aspettano risposte.



1) Ti sei candidato alle primarie del centrosinistra. Lo aveva già fatto prima di te Fausto Bertinotti, con risultati non proprio incoraggianti. Certamente, le primarie in Puglia e la tua rielezione a Presidente offre diverse chance a questa iniziativa. In questo caso contribuiresti a ricreare uno schieramento di centrosinistra che va dalle ali più moderate del Partito democratico fino alla cosiddetta sinistra radicale (ammesso che l'Udc di Casini rimanga fuori). In termini non propriamente diversi dal 2006. Cosa è cambiato nel Pd, nell'Idv di Di Pietro, nel centrosinistra italiano da indurti a ripercorrere una strada che non ha prodotto grandi risultati e che, anzi, ha favorito il ritorno al governo di Berlusconi? Quali sono le novità che scorgi? Quale radicalità ha il Pd di Bersani che i Ds e la Margherita di Fassino e Rutelli non avevano?
2) Quella maggioranza di governo non ha certo brillato per un programma particolarmente innovativo e radicale. Ha varato una finanziaria “monstre” regalando miliardi su miliardi alle imprese; ha rispettato tutti i vincoli europei; ha aumentato le truppe italiane all'estero, ritirandole dall'Iraq ma inviandone di nuove in Libano e aumentando il contingente in Afghanistan. Qual è il tuo giudizio su quell'esperienza che, pure lontano dal Parlamento e dal governo, ti ha visto comunque protagonista di uno dei partiti cardine di quell'alleanza?
3) Il centrosinistra ha ormai sposato la linea militarista di invio delle truppe all'estero e di aumento delle spese militari. Addirittura, ci siamo trovati di fronte al paradosso di una sinistra più leale agli Usa e ai militari di quanto lo sia stato il centrodestra e Berlusconi. Quale sarebbe la tua posizione in materia? Ritireresti immediatamente le truppe dall'Afghanistan e dal Libano? Ridurresti significativamente le spese militari? Avvieresti un programma di riconversione dell'industria bellica?
4) Non hai mai nascosto la tua soggettività omosessuale e questo ha fatto di te un personaggio ammirato oltre che contrastato. Ma come pensi di varare in Italia, alleandoti con il Pd, con Di Pietro, con Castagnetti e Rosi Bindi, una legge sulle unioni civili almeno analoga a quella realizzata da Zapatero in Spagna?
5) L'Italia è immersa in una crisi economica al pari dell'Europa e di gran parte del mondo. Le responsabilità della crisi sono evidenti: la finanza, le banche, i loro legami inestricabili con il sistema delle imprese e delle multinazionali, prelevano risorse sempre più ingenti dalla spesa pubblica scaricando i costi su chi lavora. A Pomigliano si è vista all'opera questa visione della politica e della società con uno stile arrogante e padronale messo in atto da uno, Marchionne, che Fausto Bertinotti era riuscito a definire “esponente di spicco della borghesia buona con cui si può realizzare un compromesso sociale”. Anche tu pensi che occorra realizzare un compromesso sociale con la “borghesia” italiana? Credi sia possibile governare componendo gli interessi degli operai di Pomigliano con quelli di Marchionne, Marcegaglia, delle grandi banche e della finanza italiana preoccupata della concorrenza internazionale?
6) Fai parte di una tradizione politica che ha sempre fatto della democrazia partecipata, del pluralismo, della complessità e della fatica della democrazia un punto chiave del proprio agire politico. Davvero pensi che le primarie, il ruolo carismatico di un “capo”, il leaderismo, siano compatibili con una crescita democratica della società e con una reale partecipazione? Basta davvero venire a votare alle primarie per sentirsi rappresentati? Non serve un percorso di mobilitazione, di strutture plurali e collettive in grado di determinare forme di controllo popolare, di autogoverno, di democrazia diretta nelle quali gli uomini e le donne in carne e ossa siano protagonisti del proprio agire politico?
7) Ti candidi alle primarie con l'obiettivo di essere il primo ministro della settima potenza industriale del pianeta. L'Italia fa parte dei vari G8, G20 e così via. Uno di questi organismi, il G8, nel 2001 tenne il suo vertice a Genova provocando una mobilitazione che ha segnato una generazione militante e ha provocato anche l'uccisione di Carlo Giuliani. A Giuliani tu fai spesso riferimento nei tuoi discorsi pubblici. E' davvero possibile rappresentare le ragioni di quella generazione, e di quel ragazzo ucciso, e far parte del consesso mondiale che è stato, e resta, il principale bersaglio di una contestazione giovanile? Davvero si può fare politica componendo gli opposti?
8) Al centrosinistra, e al Pd, tu proponi una candidatura di “movimento”, nata per “sparigliare” e destinata, ci sembra, a rappresentare le ragioni di chi non ha voce, di chi si batte per un mondo migliore. Contemporaneamente governi la Puglia, una regione importante del Mezzogiorno italiano in cui non ci sembra che in questi ultimi cinque anni siano state invertite o almeno scalfite le condizioni di vita di chi lavora o di chi un lavoro non ce l'ha. La sanità è stata stritolata da affari e corruzione incredibili; esistono un po' di borse di studio per i più giovani ma la disoccupazione resta altissima; c'è una forte e sviluppata criminalità organizzata e così via. Davvero si può ancora proporre una linea “di lotta e di governo” nonostante i guasti realizzati e le illusioni profanate?
9) Per vincere le primarie avrai bisogno di un largo consenso e forse potresti anche averlo sulla base delle tue idee. Per essere il candidato-premier di una coalizione alternativa a Berlusconi dovrai comunque trovare un composizione e una sintesi con le idee e gli interessi materiali dell'attuale centrosinistra. Quello che governa le “regioni rosse” e ha una base di riferimento nelle imprese, nelle Cooperative, in larga parte di ceti professionali e manageriali che si contende, ad esempio, con la Lega al nord; quello di estrazione moderata, pensa a personaggi come Penati e Chiamparino che nella loro esperienza di governo a Milano e Torino hanno fatto di tutto per assomigliare al centrodestra (e poi, non sei tu ad aver detto che dei due Letta il più a sinistra è Gianni?); quello di estrazione cattolica benpensante che su unioni e libertà civili o su sessualità e famiglia tiene alta la guardia; quello di estrazione clientelare, ampiamente radicato al sud dove, spesso, ha punte di contiguità con la malavita. Come pensi di poter miscelare tutto questo non tanto in una ipotesi di governo – quello si riesce sempre a farlo – ma in un'idea di società, in una visione che abbia un certo interesse e che davvero contribuisca al cambiamento?
10) Infine, questo paese è pietrificato, diretto da caste e classi sociali che difendono con le unghie privilegi ancestrali (si pensi all'evasione fiscale), monopolizzato da apparati di potere – politici, confindustriali, clericali, istituzionali, accademici, sindacali, massonici e burocratici – che hanno ben saldo il controllo dello Stato e delle "cose" pubbliche. Tutto questo può essere scacciato, o quanto meno incrinato, semplicemente da una spinta popolare che innalzi la tua candidatura e la tua persona? Non c'è bisogno invece di una consapevolezza nuova, di un blocco sociale coeso e convinto delle proprie ragioni, organizzato democraticamente, capace di scontrarsi con quegli apparati, di resistere e di provare a vincere? Non c'è bisogno di una visione politica della trasformazione animata da migliaia e migliaia di occhi e gambe che lavori sulle proprie proposte, realizzi un'egemonia reale nel paese, trascini dalla propria parte gli indecisi e alla fine prevalga? Insomma, caro Nichi, non ci sarebbe bisogno di una rivoluzione?

sabato 24 luglio 2010

Fiat, lettera di un operaio: «Caro Sergio, saremo noi a perdere tutto»

Caro Sergio, Non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo scusa: la lettera di un collega. Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia. Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito, a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti, dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare a fine mese. Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire. Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione: il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare «le regole del gioco» perché «non l’abbiamo scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri del nonostante che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi. Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono. Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie» a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza, ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi l’espressione, «faticare». Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è una scappatoia. Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di 113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato: quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare a far si che le cose vadano bene. Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti ancora più svilenti, perché quello che lei finge di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia, viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria. Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello. Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché un altro mondo sia possibile. Buon lavoro anche a lei.


Massimiliano Cassaro

venerdì 23 luglio 2010

Marchionne ha gettato la maschera

E tre. Dopo l’annunciata chiusura di Termini Imerese, dopo il ricatto di Pomigliano, ora Marchionne getta definitivamente la maschera: via anche da Mirafiori. La Lo, l’utilitaria destinata a sostituire la Multipla, la Musa e l’Idea non si farà più negli stabilimenti di Torino, bensì a Kragujevac, dove il salario mensile di un operaio tocca a malapena i duecento euro mensili, dove pur di lavorare, gli operai della ex Zastava, la “Fiat dei Balcani”, rasa al suolo dai bombardamenti della Nato nella guerra contro la Serbia del 1999, sono disposti a subire qualsiasi condizione pur di guadagnarsi un tozzo di pane. E dove il primo ministro Kostunica è pronto a concedere ogni sorta di beneficio o franchigia fiscale per accaparrarsi l’investimento della casa automobilistica che con una sempre più grottesca espressione chiamiamo ancora “torinese”.La rivelazione schock l’amministratore delegato della Fiat l’ha fatta da Detroit, argomentando che questa scelta è la conseguenza obbligata della rigidità sindacale imperante nel nostro Paese. L’escalation del manager italo svizzero è stata impressionante. Dapprima egli ha spiegato che continuare a lavorare in Sicilia avrebbe significato andare in perdita per ogni auto prodotta, lanciando un messaggio devastante a tutta la borghesia industriale contro gli investimenti nel Mezzogiorno. Poi ha preteso che gli operai di Pomigliano si piegassero a barattare il loro posto di lavoro con l’azzeramento di ogni diritto e con il ripristino di prestazioni di tipo servile. Infine, ha concluso che anche a Mirafiori, in quello che fu l’epicentro dell’impero Fiat, non è più conveniente stare. Perché, in definitiva, cercare il freddo per il letto? L’azienda che fra un anno sarà della Chrysler per il 35% e che controllerà Fiat Group, chiude questa stagione con un’eccezionale performance economica, tornando all’utile netto, remunerando gli azionisti e incontrando l’entusiastico apprezzamento dei mercati, sempre golosamente sedotti da operazioni che sanno di profitto, anche e proprio perché costruite sui licenziamenti collettivi e sulla compulsiva limitazione dei diritti dei lavoratori.Il gioco ora è scoperto: l’influenza del bene di questo Paese sulle scelte strategiche della Fiat è pari a zero. Si investe e si produce solo ed esclusivamente là dove i costi complessivi, a partire da quello del lavoro, sono più contenuti e dove l’unilateralità del comando non trova alcun ostacolo, né di natura sindacale, né legislativa.Più le regole sono lasche, evanescenti, più i lavoratori sono spogliati di prerogative, privi di forza contrattuale e più è forte la spinta ad allocare lì le proprie risorse: un’idea ottocentesca della competitività, che chiede - come correlato politico - rapporti sociali fondati sulla dominanza senza contrappesi del capitale e istituzioni democratiche involute o assenti.Ora la Fiat, immemore di avere succhiato montagne di denaro ai lavoratori e ai contribuenti italiani, se ne sta andando, compiendo un atto piratesco, di rapina. Con il governo complice e Cisl e Uil a far da palo, come utili idioti.Sovviene una domanda a cui molti illusi, a partire dal Pd, dovranno prima o poi rispondere: troverete mai la forza morale, l’autocritica resipiscenza per capire che non c’è possibile tenuta democratica del Paese se si continua ad accettare che l’impresa, ed essa sola, detti le condizioni dello sviluppo e se si pensa che la rinascita di una società sfibrata possa avvenire a spese della sua parte più debole? Non passa giorno, ormai, che nuove perle non si aggiungano al rosario delle nefandezze che opprimono la vita materiale e spirituale di tanta parte di quel “popolo” che i satrapi al potere pretendono di rappresentare.Proviamo allora ad unire le energie di quanti - e sono sempre più - avvertono che questa situazione può soltanto ulteriormente degenerare. Andiamo oltre i singoli episodi di resistenza e di autodifesa di gruppo, che nascono e si spengono - troppe volte senza esito positivo - nel vuoto dell’ascolto e della rappresentanza politica. Possiamo farlo. Non da soli, ma possiamo farlo. C’è un appuntamento, quest’autunno, che va preparato con certosino impegno e grande tensione unitaria



Dino Greco, direttore Liberazione

IL PROFETA DEL TAVOLIERE

Sono proprio contento, il centrosinistra ha trovato il suo “uomo della provvidenza”, l’Obama bianca, il Profeta del Tavoliere, il Berlusconi buono.
Il suo nome è Niki Vendola, più che un uomo un simbolo, una speranza audace ed ottimista, con tanta voglia di vincere e farla finita con la Sinistra votata alla sconfitta e alla bella morte.
Vendola ha i suoi comitati griffati, le “Fabbriche di Niki”, cha dalla Puglia si espanderanno in franchising per tutto il mondo, fra poco arriverà certamente un inno sul genere “Per fortuna che Niki c’è”
Vendola però è l’uomo giusto, con la concorrenza che si ritrova vincerà senz’altro le primarie e se la destra si presenta divisa come in Puglia vincerà anche le elezioni nazionali.
Con quale programma di governo? “Che palle!”, l’importante è vincere, poi Vendola troverà il modo per mettere d’accordo padroni ed operai, tartassati ed evasori, politici e magistrati, Vaticano e popolo gay.
Chissà perché di fronte a tanto entusiasmo, a tanta eccitazione, mi viene addosso una grande tristezza. Forse perché mi piace essere infelice o perché il pessimismo della ragione e lo spirito critico prevalgono in me sull’ottimismo della volontà e sul principio di seduzione.
O semplicemente perché non credo più alle favole, soprattutto in quest’epoca dominata dal marketing.
Vendola mi sembra un ottimo esemplare di riposizionamento politico, quello che un tempo si chiamava trasformismo
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Antonio Rusconi, lettera al Manifesto, 23.07.2010

sabato 17 luglio 2010

IL “TITANIC” DI BERLUSCONI E MARCEGAGLIA

Dopo due anni spesi a sostenere che tutto andava bene, Berlusconi e Tremonti hanno gridato: “è l’ora dei sacrifici” per evitare di finire coma la Grecia.
Al Governo ha fatto subito fatto eco il trio sindacal-confindustriale (Bonanni, Angeletti e Marcegaglia) spiegando ai quatto venti che “siamo tutti sulla stessa barca” e che i sacrifici previsti dalla manovra correttiva di Tremonti sono l’unica possibilità di salvezza.
Anche l’opposizione parlamentare, a cominciare dal PD, pur criticando i tagli di Tremonti, non ne mette in discussione l’impianto di base.
Perché la manovra tremontiana ha un chiaro contenuto di classe, dove a fare i sacrifici sono i soliti noti: i lavoratori e le proprie famiglie.
Basta pensare alle misure principali previste dalla manovra: blocco fino al 2013 degli stipendi dei dipendenti pubblici, blocco fino al 2015 del turn over nelle pubbliche amministrazioni, licenziamento di migliaia di precari negli enti pubblici, innalzamento di almeno un anno dell’età pensionabile. Infine gli 11,6 miliardi di euro di tagli ai trasferimenti agli Enti Locali, si trasformeranno ben presto in riduzione di servizi (dai trasporti locali, alle mense scolastiche alla sanità…) e in aumenti di tariffe. Altro che “non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini”.
I numeri di questa manovra, d’altra parte non hanno nessuna attinenza con la sacrosanta lotta agli sprechi della Pubblica Amministrazione. Basti pensare che in Umbria i tagli previsti peseranno per circa 117 milioni di euro. Anche abolendo l’ente regionale e licenziando tutti i suoi dipendenti si risparmierebbero solo 67 milioni. Per arrivare ai 117 milioni sarebbero necessari tagli ai servizi offerti ai cittadini per 50 milioni.

A questa manovra bisogna poi aggiungere i taglia ai salari e i sacrifici imposti ai lavoratori dal padronato italiano. Aumentano i disoccupati, la cassa integrazione è ai massimi livelli e “lor signori” fanno propria la politica inaugurata da Marchionne a Pomigliano: elargizione di quel poco di lavoro che c’è in cambio di meno salario e meno diritti.
La vicenda FIAT è esemplare di come il padronato intende affrontare la crisi economica. Di fronte ad un bilancio del 2009 chiuso con 800 milioni di perdite, la FIAT a comunque distribuito ai propri azionisti 500 milioni di dividendi ed ha aumentato gli stipendi e i premi per il suo top management da 11 a 19 milioni di euro (lo stipendio di Marchionne è passato da 3,4 a 4,7 milioni, quello di Montezemolo da 3,3 a 5,1 milioni di euro annui).
Di fronte a ciò, nel 2009, il buon Marchionne, quello che sostiene che “siamo sulla stessa barca” ha dimezzato il premio per i lavoratori, da 1.200 a 600 euro annui, e per quest’anno ha deciso che i propri dipendenti non hanno bisogno di nessun premio ma solo di più lavoro e meno diritti.
Ma, come dice il proverbio: “chi troppo vuole,…. nulla ottiene”, ed infatti il referendum di Pomigliano e gli scioperi degli stabilimenti FIAT mostrano che la misura è colma.

A sostegno della manovra di Tremonti, Berlusconi ha affermato che negli ultimi anni “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. Nello stesso giorno l’INPS ci ha informato che il 72% dei pensionati italiani vive con meno di 1.000 euro al mese, e che il 46% sta sotto i 500 euro.
D’altra parte, negli ultimi 20 anni i sacrifici sono stati a senso unico poiché salari, stipendi e pensioni hanno perso il 20% del loro potere d’acquisto a vantaggio del profitto e delle rendite, come certificano tutti i centri di ricerca a cominciare dall’ISTAT e dalla Banca d’Italia.
La verità è che lavoratori e pensionati hanno già dato. Negli ultimi 20 anni solo sulle loro spalle è ricaduto il peso del risanamento dei conti pubblici e dell’economia italiana.
Per tornare alla metafora che tanto piace alle nostre “classi dirigenti”, mentre lavoratori e pensionati hanno stretto la cintura e remato più forte contro il mare in tempesta della globalizzazione per fare andare avanti la nave, “lor signori” ballavano e cantavano allegramente sul ponte, soddisfatti di far pagare a noi i sacrifici e incuranti di quale rotta prendeva la nave.
E la rotta presa dal Paese è stata quella del declino economico e industriale. Si è privatizzato di tutto e di più regalando pezzi importanti dell’industria nazionale (Telecom) non a imprenditori ma a bande di faccendieri. Non c’è stata nessuna politica industriale, essendo tutti convinti che il “mercato” si autoregolasse da se. La piccola e media imprese e il mondo delle partite IVA sono state comprate a suon di condoni e tolleranza dell’evasione fiscale….
Il risultato delle politiche neoliberiste seguite negli ultimi 20 anni sono oggi evidenti: dopo anni di pesanti sacrifici sopportati dalle masse popolari, il deficit dei conti pubblici e il debito statale è tornato ai livelli di guardia degli anni ’90, e come allora si paventa, di nuovo, il crollo finanziario del Paese.
E’ ora di dire basta. Noi i sacrifici li abbiamo fatti. È ora che comincino a pagare le “classi dirigenti” politiche, economiche e finanziarie che non solo si sono arricchite negli ultimi anni, ma che sono responsabili di aver portato di nuovo il Paese sull’orlo della bancarotta.

Il fallimento dell’intera “classe dirigente” nazionale, non solo la classe politica, ma anche e soprattutto quella economica, finanziaria e cultural-mediatica, rende evidente la necessità di costruire, al più presto, un’alternativa politica e sociale. È necessario ricostruire un fronte politico e sociale per l’alternativa imperniato sul mondo del lavoro dipendente e precario.
La crisi economica e le lotte a difesa dei diritti e del posto di lavoro degli ultimi mesi hanno sedimentato una nuova soggettività del mondo del lavoro che va supportata e messa a frutto nella costruzione di una alternativa al neoliberismo.
Compito delle forze della sinistra è cogliere questa opportunità, superando le proprie divisioni e costruendo, assieme ai lavoratori, una risposta all’altezza dell’attuale crisi economica che si configura come una vera e propria crisi di sistema, una crisi costituente.
Solo ricostruendo un autonomo punto di vista politico e culturale del mondo del lavoro, solo ricostruendo una coalizione sociale e politica per l’alternativa imperniata sulla dignità del lavoro e sulla sua alterità al capitale, è possibile capovolgere i rapporti di forza sociali e politici in modo da permettere quel “big bang” del centrosinistra che molti auspicano come unica via per sconfiggere quel blocco neoliberista e populista rappresentato dal berlusconismo.
Ma le perorazioni giornalistiche e televisive rischiano di restare dei semplici auspici. Senza affrontare la materialità dei rapporti di classe in Italia, senza la costruzione di un autonomo punto di vista del mondo del lavoro, nessun “big bang” sarà possibile.
La necessità di un tale processo è ormai evidente a tutti. Le forze soggettive, culturali e politiche (seppure malconce) ci sono. Superiamo la sindrome della sconfitta. Usciamo dalla nostra afasia. Superiamo le nostre divisioni, cerchiamo di valorizzare le molte cose che ci uniscono. È tempo di costruire una opposizione sociale e politica a Berlusconi e al neoliberismo.
Un tempo si cantava: “finché la barca và lasciala andare….”. La barca si è fermata e “lor signori” non sanno come ripartire. Tocca a noi.




PECS

A settembre un forum delle sinistre

Il Presidente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet, ha detto recentemente: «Siamo davanti ad una crisi sistemica». Siccome in tutti questi anni lui e gli altri che hanno gestito l’economia mondiale hanno sempre detto che con la globalizzazione e il libero mercato si sarebbe creato benessere per tutti, dovrebbero farsi da parte.Ma veramente in questa crisi economica le cose stanno andando male per tutti? Niente di più falso. Parlano i dati. Le cinquecento aziende più importanti del mondo, nel 2009, hanno aumentato i profitti del 335%. L’utile netto delle multinazionali nel 2010 è aumentato del 210%. In Italia l’evasione fiscale è di 120 miliardi euro anno. Il 64% delle barche di lusso è intestato a nullatenenti , la vendita dei beni di lusso è cresciuta del 4,8% nel 2010 e chi dichiara un reddito superiore ai 100.000 euro rappresenta l’1% della popolazione italiana. In compenso il 72% delle pensioni erogate è inferiore ai 1000 euro e il 45,9% inferiore ai 500 euro. Berlusconi sostiene che con la sua manovra economica «non ha messo le mani in tasca agli italiani».
Anche su questo nulla di più falso. A parte i super ricchi come lui e gli evasori fiscali che non vengono minimamente colpiti, i tagli alle regioni significheranno riduzioni di servizi e aumenti delle rette. La finestra unica annuale per andare in pensione determinerà che chi, senza lavoro, attende la pensione di vecchiaia perderà 7150 euro. Si potrebbe proseguire. Basta dire che in questi vent’anni i «sacrifici» sono stati a senso unico poiché i salari gli stipendi e le pensioni hanno perso il 20% del loro potere di acquisto a vantaggio del profitto e della rendita.A proposito di questo scenario si potrebbero fare tanti ragionamenti. Io ne faccio uno, forse un po’ semplicistico, ma è quello che penso. I padroni hanno fatto il loro mestiere, le forze che dovevano tutelare i lavoratori e i ceti sociali più deboli hanno fallito su tutta la linea. La rincorsa delle politiche liberiste e le privatizzazioni hanno fatto arricchire i soliti noti e tolto dalle mani dello stato settori strategici. L’assunzione del maggioritario e del presidenzialismo ha alimentato la personalizzazione della politica, svuotato le assemblee elettive.Tutte le svolte attuate dal maggiore partito della sinistra, dallo scioglimento del Pci ad oggi (Pds, Ds, Pd), hanno avuto questa impostazione e non solo il consenso elettorale è diminuito, ma la mancanza di proposta politica, come giustamente rilevava Valentino Parlato nell’editoriale di domenica scorsa, è totale. Lo dimostra il fatto che, pur in presenza di una crisi profonda del governo e del Pdl, non emerge un’alternativa. Tuttavia se Atene piange, Sparta non ride! Anche noi, forze che in questi anni hanno tentato di costruire una alternativa sia alle destre che al centrosinistra, abbiamo fallito e siamo divisi.Dobbiamo provare a fare qualcosa per uscire da questa afasia. A sinistra del Pd ci sono vari progetti in campo. Non intendo metterli in discussione, anzi. Per parte mia sono impegnato nella costruzione della Fds, poiché credo che sia necessaria una riunificazione delle forze della sinistra, ma penso che ciò debba avvenire senza rinunciare all’autonomia dal Pd e senza cancellare la propria identità.Detto questo, e quindi dando per scontato che ognuno persegue legittimamente il proprio progetto, perché non provare a unire le forze sulle tante cose che ci uniscono? Cosa ci dice il successo della raccolta di firme del referendum sull’acqua, se non che l’unità su contenuti chiari funziona da moltiplicatore e suscita energie? Visto che diciamo le stesse cose, perché non lavorare assieme per contrastare la manovra economica del Governo e il vergognoso accordo proposto dalla Fiat per Pomigliano?Perché non costruire un «luogo comune» dove si possa discutere di questo e di altro e trovare le possibili soluzioni? In questi giorni è circolato un appello. Sta raccogliendo numerose adesioni. A settembre ci si propone di riunirsi per vedere cosa si può fare. Perché il manifesto e l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, da sempre luoghi plurali della sinistra, non ne diventano promotori?




Claudio Grassi, segreteria nazionale PRC

L’ultimo spenga la luce

Gianfranco Rotondi, il ministro con la testa a kiwi e la delega all’Attuazione del programma (praticamente un disoccupato), l’aveva detto dopo le dimissioni di Scajola: “Attenti, si crea un pericoloso precedente”. Se passa l’idea che un ministro coinvolto in uno scandalo, tipo che non sa chi gli ha pagato la casa, si deve dimettere per così poco, chissà dove si andrà a finire. Non l’hanno ascoltato. Così, nell’ordine, anzi a trenino, dietro Scajola han preso la porta anche Brancher (che era appena entrato) e Cosentino (che, per ovvi motivi, non voleva uscire). Per i prossimi, Verdini e Caliendo, è questione di giorni.La decimazione del governo B3 per lo scandalo P3 ricorda il giallo di Agatha Christie Dieci piccoli indiani. Ma soprattutto il primo governo Amato, che tra febbraio e marzo del 1993 perse per strada cinque ministri inquisiti (Martelli, Fontana, Goria, Reviglio, De Lorenzo), più un sesto (Ripa di Meana) sdegnato per una simile compagnia. Dopodiché Amato, rimasto solo, chiuse porte e finestre, spense le luci e salì al Quirinale per dare le dimissioni: il suo governo si era trasferito a Palazzo di Giustizia. In quei mesi B, con la collaborazione di Dell’Utri e qualche visitina di Mangano, stava creando Forza Italia per prendere il posto di quella che lui stesso definì a reti unificate “la vecchia classe politica travolta dai fatti e superata dai tempi” dopo l’“autoaffondamento dei vecchi governanti schiacciati dal peso del debito pubblico e del sistema del finanziamento illegale dei partiti”. Quindi, con le sue tv e i suoi giornali, soffiava sul fuoco di quello che oggi dipinge, sgomento, come “un clima giustizialista e giacobino”. Perché oggi tocca a lui. Quando ammonisce i giudici a lasciar perdere Flavio Carboni perché “non si arresta un uomo di 78 anni”, sta pensando a se stesso, che ne ha 74. Silvio e Flavio sono vecchi compari, anzi confratelli piduisti, han fatto affari insieme, sono alti un metro e una spanna, portano tacchi, parrucchino e bypass. Due gemelli: uno dentro, l’altro ancora a piede libero. Flavio, parlando astutamente in codice di lui, lo chiamava “Cesare” con un cifrario a metà fra Shakespeare e Totò & Peppino: “Il dossier è arrivato nella stanza di Cesare, i tribuni gli hanno già dato la notizia”. Il guaio è che Cesare, più che il condottiero della campagna di Gallia, ricorda il Caligola che fece senatore il suo cavallo (ora però siamo passati ai somari) e il Romolo Augustolo che accompagnò l’Impero alla decomposizione definitiva.La banda del buco si sta disunendo, sente i rintocchi del Dies Irae e si abbandona a un arraffa-arraffa scomposto, disperato, da ultime ore di Pompei. Come quelle bande di topi d’appartamento che, sentendo suonare l’allarme della casa e in lontananza le sirene della polizia, si riempiono le tasche con le ultime posate d’argento e gli ultimi gioielli alla rinfusa prima della fuga. Lui, Cesare Silviolo, dà una potatina qua e là per tagliare le mani più prensili e salvare almeno l’argenteria di famiglia, lui stesso stupefatto dalla rapidità di apprendimento degli allievi che stanno superando il maestro. Intanto, sul Corriere, Massimo Franco spaccia questa guerra per bande per un’opera di moralizzazione e si complimenta molto con B. perché “ha fatto la scelta giusta” scaricando i rapinatori più smodati con una “decisione saggia” allontanando un’“immagine di impunità” e il sospetto che “nella penombra del grande albero berlusconiano si fossero annidati segmenti di società che usano il governo come guscio dentro il quale ingrassare i loro comitati d’affari”. Ecco, questo no, questo mai: sospettare che qualcuno usi il governo B. per fare affari e conquistare impunità sarebbe inammissibile: fortuna che B, notoriamente alieno dagli affari e dall’impunità, sta “saggiamente” provvedendo a fare pulizia. C’è da augurarsi che il Pompiere della Sera non scopra mai che B. ha più processi di Scajola, Brancher, Cosentino e Verdini messi insieme: altrimenti potrebbe persino sfuggirgli un “ohibò”.


Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano

domenica 11 luglio 2010

Unire la sinistra: verso l’assemblea di settembre

L’appello per una unità d’azione tra le varie forze che stanno a sinistra del PD continua a raccogliere adesioni significative.E’ un fatto molto importante. Ciò significa che vi sono le condizioni per invertire la tendenza alle divisioni che si è manifestata in questi anni.Come compagne e compagni di Rifondazione Comunista siamo impegnati nella costruzione della Federazione della Sinistra e in autunno si terrà, finalmente, il congresso costitutivo: Prc, Pdci, Socialismo 2000, Lavoro-Solidarietà, rappresentanti di movimenti altermondialisti, del femminismo, dell’ambientalismo si mettono assieme in un progetto comune.Tutto questo è importante, ma non sufficiente. A sinistra del PD, oltre alle forze impegnate nella costruzione della Federazione, ci sono altri soggetti. Con loro dobbiamo trovare le forze possibili dell’unità e della collaborazione.Il successo della raccolta delle firme per il referendum sull’acqua dimostra che questa unità produce risultati e apre la possibilità di vincere qualche battaglia.Proprio per discutere le forme di questa unità e le proposte su cui lavorare assieme, già in settembre i firmatari terranno una prima Assemblea nazionale.Tutto questo è importante e positivo. Aderiamo e facciamo aderire.


La sinistra torni a giocare un ruolo importante nella politica italiana


Siamo donne e uomini di sinistra che hanno preso parte alle tormentate vicissitudini culminate nella disfatta del 2008. Oggi, nella diaspora della sinistra italiana, facciamo riferimento a organizzazioni e movimenti diversi. Alcuni di noi svolgono ruoli dirigenti in partiti o associazioni, altri – dismessa la militanza attiva – contribuiscono in altre forme alla battaglia politica o vi partecipano da semplici cittadini, con immutata passione.Siamo dunque diversi. Ma siamo anche uguali, accomunati dall’appartenenza a una stessa storia e cultura politica. Questa comunanza significa per noi convenire su talune fondamentali priorità: i diritti del lavoro, l’occupazione e il reddito delle classi lavoratrici; l’inalienabile titolarità collettiva dei beni primari, a cominciare dall’acqua, dalla conoscenza e dall’ambiente; la democrazia partecipativa, garantita dalla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista.Sulla base di queste opzioni condivise, l’attuale situazione sociale e politica del Paese ci appare grave e densa di pericoli. Guardiamo con allarme alle pesanti conseguenze della crisi economica sulle condizioni di vita di grandi masse di cittadini italiani e migranti. Riteniamo (e la «manovra correttiva» ora minacciata dal governo ci rafforza in tale convincimento) che la drammatica crisi che investe gli anelli più deboli del contesto europeo sancendo il fallimento dell’Europa liberista di Maastricht e di Lisbona renda ancor più preoccupante anche nel nostro Paese la prospettiva delle classi subalterne. Consideriamo intollerabili il dilagare della povertà e della precarietà; l’attacco governativo alle tutele giuridiche del lavoro dipendente e al diritto dei lavoratori a una contrattazione collettiva solidale, autonoma e democratica; la distruzione dello Stato sociale e il controllo oligarchico sui mezzi di informazione; il diffondersi della corruzione e dell’evasione fiscale e l’imposizione di un sistema politico bipolare che nega rappresentanza e voce a milioni di elettori. Riteniamo concreto il rischio di svolte autoritarie in un contesto segnato dalla rottura della coesione sociale e dalla recrudescenza di pulsioni razziste alimentate da chi accarezza disegni populisti e progetta la distruzione istituzionale dell’unità nazionale.In questo difficile frangente pensiamo che quanto ci unisce debba prevalere su quanto ci ha sin qui diviso e tuttora ci separa. Siamo determinati a batterci per una società più civile e meno ingiusta, ma siamo al tempo stesso consapevoli del concreto rischio di estinzione che oggi incombe sulla sinistra italiana. Tutto ciò ci convince della inderogabile necessità di puntare sulle convergenze e affinità e di privilegiare le importanti battaglie comuni che insieme possiamo combattere e vincere: innanzitutto quella, cruciale, per il rilancio del sistema elettorale proporzionale per tutte le assemblee elettive, a cominciare dal Parlamento nazionale.Con questo spirito ci rivolgiamo a tutte le forze organizzate della sinistra, affinché in ciascuna si affermi una volontà unitaria, indispensabile a far sì che la sinistra torni a giocare un ruolo importante sulla scena politica italiana.
primi firmatari:


Vittorio Agnoletto, Gianni Alasia, Nicola Atalmi, Saverio Aversa, Katia Bellillo, Marzia Biagiotti, Alberto Burgio, Maria Campese, Loris Campetti, Luciana Castellina, Giusto Catania, Andrea Cavallini, Cesare Chiazza, Stefano Ciccone, Marcello Cini, Paolo Ciofi, Maria Pia Covre, Elettra Deiana, Nino De Gaetano, Piero Di Siena, Stefano Falcinelli, Paolo Favilli, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Francesco Garibaldo, Alfonso Gianni, Haidi Giuliani, Claudio Grassi, Damiano Guagliardi, Margherita Hack, Rita Lavaggi, Raniero La Valle, Orazio Licandro, Giorgio Lunghini, Maria Rosaria Marella, Alberto Marri, Giorgio Mele, Maria Grazia Meriggi, Goffredo Moroni, Roberto Musacchio, Ivan Nardone, Giorgio Nebbia, Simone Oggionni, Franco Ottaviano, Moni Ovadia, Gianni Pagliarini, Manuela Palermi, Valentino Parlato, Roberto Passini, Paola Pellegrini, Ciro Pesacane, Silvana Pisa, Luciano Ponticelli, Marcello Ricci, Luciano Riecco, Tiziano Rinaldini, Giorgio Riolo, Anna Maria Rivera, Raffaele Salinari, Linda Santilli, Elisa Savi, Patrizia Sentinelli, Adriana Spera, Bruno Steri, Aldo Tortorella, Alessandro Valentini, Mario Vegetti, Gianni Vigilante, Massimo Villone, Luigi Vinci, Stefano Vinti, Stefano Zuccherini

Capitalismo di rapina Come svuotare un'azienda e far soldi

Il caso Eutelia-Agile, con 2000 lavoratori senza futuro e otto manager e azionisti finalmente in galera, c’entra poco con la crisi economica e industriale. Riguarda, invece - molto - l’origine, i protagonisti, le regole del capitalismo italiano. Samuele Landi, il padrone col pugnale tra i denti che minacciò lo scorso autunno i dipendenti in lotta nella sede di Roma, è il fondatore, oggi latitante, del movimento "Imprenditori d’Italia" che vorrebbe farla finita coi sindacati, i vincoli di legge, i controlli che limiterebbero lo sviluppo della vocazione imprenditoriale.
Personaggi di questo genere hanno potuto, in soli dieci anni, fondare aziende, acquisirne e venderne altre, quotarsi in Borsa, reperire capitali dal mercato e dal sistema bancario, allo scopo non di creare valore, occupazione e sviluppo rispettando il contesto sociale (come indica l’articolo 41 della Costituzione che Berlusconi vorrebbe abolire) ma di arricchirsi, spogliando le aziende dei loro cespiti migliori e abbandonando per strada migliaia di dipendenti con le loro famiglie. Non è una novità: casi del genere si sono ripetuti negli ultimi anni e basterebbe scorrere le recenti cronache dei processi Parmalat, Cirio, Antonveneta, per verificare e accertare che in questo paese non cambia mai nulla. Basti pensare che il gruppo di proprietà del presidente del Consiglio conquistò il controllo della Mondadori corrompendo un giudice, come è stato definitivamente accertato fino alla Cassazione.
C’è un capitalismo di rapina, a tutti i livelli, alti e bassi, che non rispetta le regole, gli azionisti, i lavoratori e le comunità in cui opera. È la logica dell’appropriazione esclusiva, dell’affermazione del comando del più forte e del più ricco, quella che prevale e che emerge chiaramente, in un altro ambito che collega la politica e la malavita economica, nell’inchiesta Verdini-Carboni, un tandem alla base di un’associazione segreta per conquistare affari, condizionare o minacciare la giustizia, influenzare l’informazione. Tutto questo avviene mentre la Consob, l’autorità di controllo delle società e della Borsa, è rimasta senza presidente e dopo che da due mesi non c’è il ministro dello Sviluppo economico. Per entrambe le cariche la maggioranza di governo sta litigando. Avremmo bisogno come il pane di sceriffi del mercato e di ministri capaci per fronteggiare la crisi industriale, ma Berlusconi ha altre priorità. Le regole, la legge, il Paese, vengono sempre dopo.




Ps: ... a proposito di regole, forse siamo dei moralisti fuori moda, ma siamo rimasti spiacevolmente sorpresi dal leggere sui giornali che anche il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, era a cena, l’altra sera, a casa Vespa, con il presidente del Consiglio e sua figlia Marina, il cardinale Bertone e il presidente delle Assicurazioni Generali Cesare Geronzi. Draghi è un uomo di mondo, rispettato e autorevole, ha lavorato pure per la Goldman Sachs, e può cenare certamente con chi vuole: ma chissà perché questa notizia lascia un po’ di amaro in bocca.

La violenza contro il conflitto

Le violenze della polizia sugli aquilani a Roma e le cariche degli agenti contro gli operai della Mangiarotti a Milano sono l'ennesimo epilogo di una ormai molto lunga sequela di comportamenti nella gestione dell'ordine pubblico. Purtroppo, la memoria corta anche fra la sinistra ne fa dimenticare la sequenza: da Seattle a Napoli, al G8 di Genova e dopo ripetutamente in molteplici occasioni di manifestazioni di operai, lotte per la casa, No-Tav, No-Dal Molin, No-Discariche, tifosi, e persino di disabili, o studenti o insegnanti. Tutti questi episodi sono palesemente in continuum rispetto a torture, massacri e assassinii quali quelli di Aldrovandi, Bianzino, Cucchi, Gugliotta e altri ancora.Come suggeriscono le ricerche in questo campo, in Italia come nel resto d'Europa e di fatto dappertutto (non solo in Iraq o in Cina o in Thailandia) siamo di fronte all'involuzione autoritaria imposta dalla rivoluzione liberista. I poteri pubblici e privati pretendono di non ammettere contestazioni e di non concedere alcuno spazio di negoziazione pacifica. Non vogliono concedere alcuna mediazione ma imporre con la violenza le loro scelte, forti di un'asimmetria schiacciante rispetto a chi non ha potere e paga anche per l'assenza di un'effettiva opposizione parlamentare. Il liberismo è appunto l'opposto anche dello stesso liberalismo-democratico (degli Schumpeter, Keynes, Polany ecc.) è negazione del contratto sociale (e anche del contratto di lavoro) è erosione sempre più forte dello stato di diritto democratico che, anche solo in parte e con tanta fatica, lacrime e sangue, era stato conquistato negli anni '60-70. Allora, se l'analisi è questa appare ancora più tragico stupirsi del ricorso alla violenza da parte dei poteri mentre forse sarebbe più sensato cercare di capire come resistere e poi reagire. Ovviamente è sempre indispensabile non smettere mai di indignarsi e di denunciare ogni violenza e ogni abuso di potere e cercare di sensibilizzare anche chi sinora stava apriori con la «legge e l'ordine» o la «legalità» che i poteri hanno sempre la forza di ricrearsi. Ma c'è forse un elemento nuovo che via via tende a emergere: la logica e le pratiche della tolleranza zero hanno tirato troppo la corda e la situazione appare sempre più insostenibile. Non solo nelle carceri dove abbondano le celle minuscole di 9 persone che possono farsi la doccia solo una volta alla settimana mentre si muore di caldo e si suda da far diventare pazzi anche i più zen di questo mondo, e si va all'aria solo un'ora al giorno e spesso mancano persino gli psicofarmaci per narcotizzare tutti. Come dicono alcuni operatori delle polizie, «non se ne può più» di fare la guerra permanente a rom, immigrati, tifosi, manifestanti e marginali in genere. E lo stesso constatano gli operatori sociali, i magistrati e gli avvocati che hanno un minimo di buon senso anche se qualcuno fino a poco tempo fa aveva sottoscritto la scelta sicuritaria. È quindi forse importante cominciare a prestare più attenzione ai democratici che in questi mondi della gestione della sicurezza e del disagio sociale chiedono spesso disperatamente aiuto (da non confondere con la stupida e meschina solidarietà agli aspetti corporativi). Da De Gennaro a Manganelli, da Bianco a Maroni, da Violante ad Alfano, non solo la continuità ma l'alzo zero sono stati assicurati. I ragazzi di 14-16 anni (come quelli di Londra zero zero e del romanzo di romanzo di Roberto Mandracchia, Agenzia X) pensano che siamo di fronte a un cimitero: non c'è nulla da recuperare dalla «distruzione non-creativa» che ha prodotto il liberismo odierno. Un neo-nichilismo assoluto che sembra giustificato sin quando non si riuscirà a intravedere una resistenza che possa far sperare in un agire politico effettivamente rinnovato.



di Salvatore Palidda
su il manifesto del 10/07/2010

Ripartire dalla Fiat

In questi ultimi giorni la Fiat è tornata al centro della vicenda politica italiana. Prima Marchionne ha cercato di far votare ai lavoratori di Pomigliano la modifica della Costituzione italiana. Volevano un plebiscito che permettesse di dire al paese che i lavoratori – in nome della difesa del posto di lavoro – erano disponibili a fregarsene di diritti e Costituzione. Volevano un plebiscito per potere affermare che gli operai si sentivano rappresentati dagli industriali, non certo dalla Fiom o dalla sinistra di classe. Nonostante l’appoggio di tutto il quadro politico fino al PD, gli è andata male e il contraccolpo è stato pesante. Dopo la scoppola la Fiat ha continuato l’offensiva: tentativi di aumento dei carichi di lavoro, tentativo di scippare il premio di rendimento. Anche qui gli è andata male perché gli operai e le operaie hanno scioperato. A Cassino, a Melfi, ieri a Mirafiori. Non paga la Fiat ha allora licenziato a Melfi tre operai, di cui due delegati Fiom, colpevoli di essere particolarmente attivi nell’organizzazione della lotta. Non potendola cambiare con il consenso operaio la Fiat la Costituzione prova a cambiarla nei fatti, come ha sempre fatto. E’ evidente che questa offensiva della Fiat ha due obiettivi. Da un lato vuole ridurre strutturalmente il salario, aumentare lo sfruttamento e far saltare i Contratti di lavoro. In secondo luogo la Fiat vuole mettere in discussione il diritto di sciopero in Italia, partita su cui è particolarmente attivo il fronte governativo, ben intenzionato ad utilizzare la crisi per demolire la Costituzione nata dalla resistenza. La Fiat gioca quindi una partita a tutto tondo, agisce come direzione politica del “partito del capitale”, che ben al di la della dialettica parlamentare, usa la crisi come “crisi costituente” per modificare in profondità il quadro politico, sociale e istituzionale del paese. In questo contesto il punto politico consiste nel non lasciare isolare la lotta dei lavoratori Fiat. La Fiat guida il fronte confindustriale, non possiamo lasciare gli operai Fiat da soli a fronteggiare l’offensiva. Occorre costruire un movimento di massa contro Berlusconi, contro Marchionne e contro le politiche neoliberiste europee. Come sappiamo una parte di coloro che si oppongono a Berlusconi in nome della democrazia non sono assolutamente disponibili a scontrarsi con Marchionne. Anzi – come ci ha spiegato Veltroni - ne condividono le scelte in quanto considerano oggettiva la globalizzazione neoliberista e il suo corollario di politiche antioperaie. Questo profilo liberale dell’opposizione, difensore della democrazia solo nella misura in cui non contrasta con le leggi del profitto, è una delle maggiori cause della forza di Berlusconi – la cui logica di fondo non viene messa in discussione – e dell’impotenza dell’opposizione, che non riesce ad essere interprete dei veri sentimenti popolari. Per questo è necessario costruire una opposizione che contrasti complessivamente il disegno governativo e confindustriale, in modo da saldare questione sociale e questione democratica. Costruire quindi un movimento di massa. E’ un obiettivo realistico? A Mio parere si perché i sentimenti degli operai e delle operaie della Fiat sono i sentimenti di tutti i lavoratori e le lavoratrici italiane. Oggi in Italia la maggioranza della popolazione a partire dai lavoratori e dalle lavoratrici non è d’accordo con le politiche che vengono fatte. Ha difficoltà a trovare i luoghi e le forze attraverso cui esprimere efficacemente la sua contrarietà e la sua rabbia. Vi è la necessità di costruire una mobilitazione vasta e nello stesso tempo qualificata sui contenuti, una posizione non liberale ma di classe, radicalmente alternativa alle politiche neoliberiste. Ai lavoratori non serve la testimonianza, serve un movimento che nella sua ampiezza costruisca la sua credibilità. Per questo propongo da giorni che tutte le forze della sinistra di costruire insieme per l’autunno una manifestazione nazionale da cui far partire un movimento di lotta contro le politiche di Berlusconi, di Marchionne e contro le politiche neoliberiste europee. Vista la sordità che vi è a livello politico ho proposto l’altro ieri all’assemblea di Pomigliano che siano direttamente gli operai e le operaie della Fiat a lanciare l’appello per la manifestazione. Sarebbe un buon segnale, un invito a cui nessuno potrebbe sottrarsi. Un modo per cominciare finalmente a costruire una opposizione efficace, per unificare le lotte dei lavoratori e per costruire unità a sinistra. L’unità tra chi è contro Berlusconi ma anche contro Marchionne e le sciagurate politiche europee praticate insieme da centro destra e centro sinistra. L’unità fuori dalle alchimie politi ciste, a partire dalla costruzione del conflitto sociale.


Paolo Ferrero, segretario nazionale PRC

giovedì 8 luglio 2010

Stampa in sciopero contro la legge sulle intercettazioni

Domani (venerdì 9) sarà la giornata del silenzio contro la «legge bavaglio», il ddl Alfano sulle intercettazioni. Oggi scioperano i giornalisti della carta stampata. Domani sarà il turno di quelli di radio, televisioni, dei siti on line, degli uffici stampa. L’obiettivo è quello di rendere il più possibile «fragorosa» e «partecipata» la «giornata del silenzio» indetta dalla Fnsi con l’adesione convinta dell’Ordine dei giornalisti, contro la legge che «rischia di mettere a tacere tutto il sistema dell’informazione italiano» e contro i tagli della «manovra» di Tremonti all’editoria: un altro pesante «bavaglio» alla libertà di informazione. Oggi incroceranno le braccia anche i poligrafici aderenti alla Cgil e domani per la prima volta sciopererà anche il popolo della «rete», i siti web non saranno aggiornati. Non sarà in edicola neanche il Manifesto.«Una scelta obbligata e senza alternative in mancanza di fatti nuovi che avrebbero potuto far cadere le ragioni della protesta» ha spiegato ieri il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, rispondendo anche a chi ha ipotizzato strumenti di lotta diversi ha ricordato che lo sciopero è stato proclamato dopo diversi momenti di mobilitazione. «Lo sciopero è un mezzo e non un fine che per noi resta quello di far arretrare una legge sbagliata». La protesta per difendere il diritto dei cittadini ad essere informati, ha assicurato, andrà avanti sino alla denuncia alla Corte europea per i diritti dell’uomo. «Sappiamo che alcuni giornali, per condizioni ideologiche o questioni di militanza, non aderiranno allo sciopero. Noi ci appelliamo perché questa è una battaglia di tutti. Quanto più una protesta è fragorosa più il risultato è forte». In più ha ricordato a chi chiedeva maggiore «fantasia» e forme di protesta alternative, che la proclamazione ufficiale di uno sciopero che coinvolge il servizio pubblico può essere disdetto solo in presenza di fatti nuovi che «non ci sono stati». Vi è stato il tentativo di cercare d’intesa con gli editori altre forme di protesta, ma non è stato possibile realizzarle per tempo. Per la Fnsi lo sciopero resta lo strumento di lotta unificante e più efficace della categoria, segno della sua «autonomia» in un’azione di «resistenza civile» che ha come obiettivo non un seplice aggiustamento della legge, ma lo stralcio dell'informazione dal ddl sulle intercettazioni. Le sue proposte a tutela della privacy le ha già messe sul tavolo.

L’incantesimo che corrode la nostra democrazia

Il naufragio economico, sociale e persino morale cui è stato condannato questo Paese ha assunto dimensioni drammatiche e dio sa quanto ci vorrà per risalire la china, ammesso che la situazione non precipiti ulteriormente e che, giunti a toccare quello che parrebbe essere il fondo, non si debba scavare ancora. Al caos in cui ristagna la politica-politicante, assorbita in uno stucchevole, vacuo valzer intorno al vuoto, fa da contrappunto la chiarezza estrema, per chi ancora sia in grado di vederla, del segno che porta la manovra economica del governo.
Proviamo a dividere, sommariamente, il campo fra chi ne viene colpito e chi, invece, beneficiato.
Protestano i lavoratori dell’industria manifatturiera, del pubblico impiego, della ricerca, della scuola, della cultura, dello spettacolo, delle forze dell’ordine; protestano i pensionati, i giovani precari, le persone con handicap; manifestano, a costo delle botte, i terremotati dell’Aquila; insorgono le regioni e gli enti locali; scioperano i giornalisti e i magistrati; si mobilitano, come è loro possibile, i carcerati quando il loro grido inascoltato non si risolve tragicamente nel gesto estremo di togliersi la vita.
Lo spettro del dissenso è amplissimo. Specularmente troviamo, sulla sponda opposta, coloro che non hanno nulla, proprio nulla, di cui lagnarsi e che, anzi, sentitamente ringraziano. Sono i padroni, risparmiati da qualsiasi obolo da pagare al cosiddetto risanamento e affiancati con servizievole passività dal governo nelle politiche antioperaie. Sono gli evasori fiscali, già graziati dallo scudo fiscale e del tutto certi di vedere garantita la propria impunità. Sono i ricchi, di cui l’Istat rivela la crescente opulenza, che vedono i loro patrimoni al riparo da pur minime incursioni tributarie. Sono i faccendieri e gli speculatori di ogni risma che prosperano nel sottobosco del potere politico, che vivono di corruzione e di malversazione.
La domanda cui si deve provare a rispondere è come mai di fronte a questo scempio che devasta la vita dei molti onesti e remunera quella dei pochi manigoldi o privilegiati non trasformi l’indignazione in un rigetto ed in una rivolta corali.
Ancora: bisogna interrogarsi su come sia possibile che di fronte ad una sentenza della magistratura che conferma la provenienza mafiosa del capitale di rischio grazie al quale l’imprenditore Silvio Berlusconi costruì la propria fortuna, non susciti una reazione morale, prima ancora che politica, tale da mettere istantaneamente fine all’anomalia “bokassiana” che ingessa, come in un incantesimo, la vita civile dell’Italia, sprofondandola fra miasmi e veleni che ne stanno minando profondamente la tenuta democratica.
La risposta più immediata è che non esiste una via giudiziaria al riscatto democratico se, nel medesimo tempo, non entra in campo un soggetto, o una pluralità di soggetti, politici e sociali, capaci di organizzare e dare sbocco ad un’azione continua e risoluta, ad una lotta che non si risolva in una questua di corporazioni, o di lobbies, le une estranee e talvolta contrapposte alle altre, dove i più deboli fra i deboli saranno inesorabilmente destinati a soccombere.
C’è poi una risposta più remota, che racconta di come la deriva moderata ed incolore dell’opposizione parlamentare abbia nel corso degli anni sbiadito a tal punto il proprio carattere antagonistico e la propria alterità programmatica da perdere qualsiasi capacità di insediamento territoriale, di rappresentanza e di guida di un blocco sociale potenzialmente alternativo, per ridursi a vivere di pura improvvisazione. La diaspora a sinistra, come è noto, ha fatto il resto. E da quella perniciosa frantumazione non si è ancora trovato il modo di uscire. Eppure, dai magmatici e tuttavia sempre meno episodici sussulti sociali, c’è molto da raccogliere e da imparare. Senza indulgere a tentazioni populistiche e a scorciatoie leaderistiche che quando infettano la sinistra non lasciano traccia positiva, ma scorie tossiche da cui è faticosissimo liberarsi.Può darsi che il processo di autocombustione che sta logorando dall’interno la maggioranza arrivi al redde rationem e che il governo getti la spugna. In tal caso, essendo difficile che la soluzione di un esecutivo emergenziale sciaguratamente proposto dal Pd possa avere qualche chance, occorrerà prepararsi. A sinistra, voglio dire. Per non arrivare al prossimo appuntamento elettorale senza nulla avere pensato. O peggio, per replicare la triste messa in scena dei celeberrimi capponi di Renzo.



Dino Greco, direttore di Liberazione

SCANDALOSA AGGRESSIONE DELLA POLIZIA CONTRO AQUILANI

"Prima hanno usato le loro sofferenze e poi li hanno messi a tacere con il manganello. E' davvero scandalosa l'aggressione violenta messa in atto dalle forze dell'ordine, che hanno caricato e malmenato i cittadini aquilani terremotati che manifestavano contro la manovra Finanziaria". Questo il giudizio del segretario nazionale del Prc, Paolo Ferrero, riguardo agli scontri di cui questa mattina sono stati vittima i cittadini de L'Aquila arrivati nella capitale per protestare sulla manovra finanziaria del governo. "Il presidente del consiglio ha fatto un sacco di chiacchiere e di promesse mendaci e poi è sparito come un venditore di chimere - dichiara Ferrero - Berlusconi ha utilizzato cinicamente per mesi la ribalta del terremoto per farsi pubblicità, dispensando efficienza di carta pesta e soluzioni illusorie a tutti i problemi. Adesso che i nodi vengono al pettine, che i soldi sono finiti ma i problemi sono rimasti irrisolti, che le popolazioni continuano a vivere nell'indigenza ma il governo non sa come fare, Berlusconi non si fa più vedere, mentre le forze dell'ordine caricano i manifestanti per cancellare dalla vista il problema".

martedì 6 luglio 2010

"MI RIGUARDA": si è costituita l'associazione dei genitori del nostro territorio.

Il 15 giugno si è costituita a Torgiano l’associazione “MI RIGUARDA”. Un’associazione di genitori il cui scopo è quello di occuparsi della famiglia come istituto sociale, in particolar modo oggi che quest’antico nucleo sta perdendo la forte identità che lo ha caratterizzato nel passato remoto e recente.
In una società dove i cambiamenti sono veloci e continui ed ai quali dobbiamo adeguarci, comunicare diventa sempre più difficile, ma anche indispensabile. I mass media influenzano e condizionano i rapporti fra le persone, modificando e disgregando interi tessuti sociali. Molti sono i fattori che producono questo stato di cose, ma il più determinante è un’informazione interessata e non oggettiva che crea tra la gente aspettative e frustrazioni di ogni genere, spesso invertendo le priorità e priva di valori etico - morali. C’è quindi bisogno di saper comunicare attraverso un linguaggio semplice e diretto, efficace, che permette di instaurare relazioni e rapporti con gli altri, anche all’interno dello stesso nucleo familiare, di rimettere al centro la comunità e i suoi individui e la famiglia come istituto che crea le basi per una società coesa.
Vediamo, quindi, a volte giovani privi di riferimenti, spesso abbandonati a se stessi, alla ricerca di emozioni di qualsiasi tipo, anche negative, genitori che non riescono a dialogare con i propri figli, una comunità che non trova obiettivi comuni che possano permettere di costruire una società solidale. A proposito pensiamo che, nonostante lo sforzo e la volontà che viene profusa, neanche le istituzioni riescono a dare risposte concrete a questi problemi. Le ragioni in questo caso sono diverse: mancanza di risorse, di progetti efficaci, ma spesso anche di volontà, di una sottovalutazione del problema che invece a nostro avviso è allarmante. Queste stanno vivendo una crisi molto seria. C’è un evidente scollamento fra la società civile e le istituzioni che è in crescendo. Questa sfiducia porta ad interiorizzare i problemi. Questioni che invece andrebbero condivise perché non appartenenti a singole persone, ma ad una intera comunità. Si instaura, quindi, un rapporto individuale fra cittadino e istituzione creando una cesura fra le varie istanze della comunità medesima e la società civile. La conseguenza è quella della relatività e quindi dell’approssimazione, della superficialità, della mancanza assoluta di analisi e di diagnosi. C’è invece assoluto bisogno di un serio lavoro d’inchiesta.
Con questa associazione abbiamo l’ambizione di mettere come priorità assoluta nella nostra comunità la questione sociale: giovani, genitori, anziani sono la spina dorsale di qualsiasi società, e in particolar modo della società in cui viviamo. Pianificare un percorso, monitorarlo, per capire le varie dinamiche e poter trovare soluzioni adatte al problema.
Quale futuro vogliamo sperare se non ci occupiamo dei nostri giovani, se non mettiamo a frutto l’esperienza dei nostri anziani? Dobbiamo conoscere il passato per capire il presente, progettare il futuro.
Per fare tutto questo, ovviamente, serve l’aiuto di tutti. L’associazione quindi si pone l’obiettivo di confrontarsi con tutte le associazioni del territorio (culturali e sportive) e con le istituzioni Scuola , Comune e Parrocchia. Ognuna di esse, ciascuna per i propri compiti, rappresentano i capisaldi di una società che vuol mettersi in rete attraverso il confronto con tutte le realtà di una comunità, come quella di Torgiano, ricca di esperienza, volontà e cultura, con una tradizione che affonda le proprie radice nel lavoro e nella famiglia, ma nella quale già si vedono le deviazioni dei nostri giorni. È attraverso il confronto che nascono idee giuste che possono portare quel progresso sociale e civile a cui tutti auspichiamo. Tutti abbiamo bisogno di confrontarci, non solo per un semplice miglioramento di noi stessi, ma per una questione spirituale, quasi per un bisogno fisico, che ti fa stare bene con te stesso e con gli altri.
Siamo solo dei genitori che, come tutti i genitori, sentono il bisogno di far crescere bene i propri figli nella propria comunità, perché questa comunità gli appartenga e la possano sentire una cosa loro. Per questo sentiamo anche il bisogno di conoscere altri genitori sensibili a queste tematiche.
Per settembre stiamo organizzando un dibattito sul tema delle dipendenze e della prevenzione: tema in questi giorni molto dibattuto e molto serio e inizieranno degli incontri con genitori che vogliono conoscerci.
Non possiamo rimanere con le mani in mano, dobbiamo agire oggi e domani: sempre.

Associazione “mi riguarda”
p. il comitato direttivo
Attilio Gambacorta