mercoledì 28 luglio 2010

CRISI EUROPEA E RUOLO DELLA SINISTRA

L'editoriale di Paolo Ferrero sull'ultimo numero della
rivista
"SU LA TESTA - Materiali per la Rifondazione"


· La crisi attuale è una crisi strutturale, di sistema. È la crisi del sistema capitalistico come si è venuto a configurare nella globalizzazione neoliberista.
· Le politiche messe in atto dai vari governi non sono in grado di rilanciare il meccanismo di accumulazione. Restano irrisolti i problemi dell’instabilità finanziaria e quelli relativi agli sbocchi di mercato. Così come non si intravedono soluzioni per le crisi energetica, ambientale e alimentare.
· La crisi è soprattutto una ridefinizione delle gerarchie preesistenti. È infatti evidente che la crisi consacra il ruolo di grande potenza della Cina e vede un forte declino dell’Europa. Questo smottamento delle gerarchie consolidate non è un fenomeno passeggero, ma storico che ha ricadute non solo in campo economico ma soprattutto sul piano sociale, politico e antropologico che vanno analizzate attentamente.

1-DECLINO DELL’EUROPA
· Le classi dominanti europee, guidate dalla Germania, stanno attuando una pesante politica deflattiva e di taglio della spesa sociale. Con un accordo bipartisan fra centrodestra e centrosinistra europei, si punta a rendere più stretti i parametri di Maastricht e a rendere automatiche le sanzioni per i paesi che non si adeguano. Insomma, di fronte al fallimento conclamato delle politiche neoliberiste che hanno informato la costruzione materiale e formale dell’Unione, le nostre classi dirigenti rispondono con più neoliberismo.
· Il loro obiettivo è una riduzione del costo del lavoro a partire da una riduzione dell’occupazione, dell’aumento dello sfruttamento e della precarizzazione del lavoro, della distruzione del welfare. Tutto ciò determinerà una più accentuata gerarchizzazione interna all’Europa sulla base della produttività del lavoro dei diversi paesi.
· Diversamente dalla Cina e dagli USA, la politica europea non punta al sostegno della domanda e al rilancio del mercato interno. Al contrario si punta al rilancio delle esportazioni. Da qui la necessità di comprimere al massimo i costi di produzione mediante il contenimento dei salari, la riduzione ai minimi termini del welfare, la messa in discussione dei diritti dei lavoratori.
· Questa politica non si applica dovunque con la stessa intensità. I paesi ad alta produttività (come la Germania) resteranno paesi con alti salari e buon livello di welfare. Al contrario i paesi con bassa produttività (come la Grecia, ma anche l’Italia) vedranno un drastico taglio di salari e welfare. Non un semplice riduzione ma un taglio netto dell’ordine del 30%, il che significa una modifica strutturale, per vaste masse di lavoratori, della propria condizione di vita.
· Siamo di fronte ad una politica che, pur mantenendo la moneta unica, produce una enorme differenziazione interna all’Unione Europea, accentuando le differenze tra settori produttivi e, soprattutto, tra i diversi territori. il differenziale di produttività, non essendo più mediato da alcuna politica pubblica sovrannazionale, è destinato ad accentuare le differenze, le gerarchie. Il rischio di tale politica è l’accentuazione del processo di disgregazione degli stati nazionali.
· Il punto fondamentale è che questa politica non solo colpisce i lavoratori e rischia di disgregare l’Europa, ma, avendo un obiettivo utopico (lo sviluppo incentrato sulle esportazioni), è destinata a fallire. In effetti non si vede uno sbocco di mercato per la produzione europea al di fuori del continente. È evidente che tale sbocco non può essere la Cina, che già oggi e la “manifattura del mondo” e che sta rapidamente qualificando la sua produzione nelle fasce alte della divisione del lavoro. Una Cina che sforna un milione di ingegneri all’anno e che vende i suoi treni superveloci agli USA, difficilmente può essere il mercato di sbocco della produzione europea. Dall’altra parte non è immaginabile che gli USA continuino ad assorbire l’eccedenza produttiva europea, perché il meccanismo del “consumatore indebitato” (uno degli elementi che hanno permesso agli USA di essere il “consumatore in ultima istanza”) è uno dei fattori dell’attuale crisi finanziaria. Gli USA non possono più continuare a vivere al di sopra dei propri mezzi e, in ogni caso, dati gli attuali rapporti commerciali e finanziari, la relazione privilegiata degli USA sarà con la Cina e non con l’Europa.
· Insomma le classi dirigenti europee hanno deciso di puntare sulle esportazioni per uscire dalla crisi, da qui la necessità di comprimere il mercato interno. Ma questa politica non ha possibilità di riuscita per cui gli effetti negativi rischiano di cumularsi: riduzione del mercato interno non compensato dal livello sperato di esportazioni. L’ipotesi più probabile è che questa politica determini una lunga fase di deflazione, come è successo per tutti gli anni ’90 al Giappone.

2-UNA LINEA SUICIDA
· La linea scelta dalle classi dirigenti europee sta portando al disastro. Questa linea non è stata ancora completamente applicata. Per adesso c’è solo la stangata da 300 miliardi motivata dalla scusa della speculazione finanziaria. Questa è una vera e propria scusa perché è evidente che la speculazione si può impedire se si modificano il ruolo della BCE e le regole dei mercati finanziari. Altrimenti la lotta alla speculazione si riduca nel trasferimento di risorse dai lavoratori agli speculatori.
· Il prossimo passaggio sarà l’obbligo, per i paesi con debito superiore al 60% del PIL, di politiche di rientro accelerato dal debito, pena sanzioni automatiche con il taglio dei fondi strutturali. In questo modo le politiche di bilancio dei singoli paesi verrebbero sottratte ai singoli parlamenti nazionali, cui spetterà solo la ratifica, ma saranno scelte direttamente dalla tecnocrazia di Bruxelles.
· Se questa analisi è giusta, è evidente che la crisi sta determinando una nuova gerarchia mondiale, che vede l’Europa in declino. Un declino fatto di disoccupazione di massa, disgregazione sociale e forti differenziazioni fra settori produttivi e territori, che durerà a lungo, molti anni.
· Insomma questa crisi non è una fase passeggera, ma è il contesto in cui siamo chiamati ad operare nei prossimi anni. di questo fatto facciamo fatica ad essere consapevoli. Anche a sinistra non si ha chiara percezione delle modifiche – non solo economiche, ma nella vita quotidiana, nei modi di vivere, nella coscienza e nell’immaginario delle persone, - che il perdurare della crisi determina-.
· Questo elemento è del tutto sottovalutato nel dibattito italiano completamente intriso di provincialismo. La giusta critica del carattere delinquenziale, fascistoide e classista del governo Berlusconi, tende infatti a far scomparire il contesto in cui Berlusconi si muove e con cui è in perfetta sintonia. La contrapposizione tra un’Europa “buona” e un governo italiano “cattivo”, tanto cara alla nostra opposizione parlamentare, è completamente destituita di fondamento. In Spagna, Zapatero, espressione del riformismo socialista europeo, sta praticando, contro i lavoratori, politiche non dissimili da quelle di Berlusconi.

3-LA CRISI COSTITUENTE
· Berlusconi non rappresenta un caso isolato, ma è il volto peggiore di una tendenza europea. I tagli alla spesa pubblica della manovra tremontiana che colpiscono quasi esclusivamente le condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari, si accompagnano al tentativo di ridisegnare completamente il quadro istituzionale del paese riducendo la democrazia e le tutele del lavoro.
· Dopo gli attacchi alla magistratura e alla libertà di stampa, le proposte di modifica del titolo terzo della Costituzione, l’attacco al diritto di sciopero e al sindacato, la demolizione dello Statuto dei Lavoratori e del diritto del lavoro, rappresentano il tentativo di usare la crisi per ridisegnare completamente la geografia sociale, politica e istituzionale del nostro paese. Questo disegno, finalizzato alla gestione autoritaria del conflitto sociale, punta a ridurre completamente i lavoratori a merce.
· Il disegno del governo Berlusconi non è semplicemente quello di uscire dalla crisi, ma di utilizzarla come “crisi costituente”, in cui l’offensiva sociale si accompagna alla distruzione della democrazia e alla riscrittura della storia e della cultura del paese. L’obiettivo è quello di porre fine agli equilibri sociali, politici e istituzionali caratterizzanti la nostra Repubblica.
· Berlusconi sa bene che non può gestire l’impoverimento di mass mantenendo inalterati i livelli di democrazia. Bisogna sottolineare questo elemento strutturale e strategico del berlusconismo che lega la gestione della crisi e riduzione degli spazi di democrazia.
· Questa azione non è esente da contraddizioni interne alla maggioranza di governo. Ma il punto di forza di Berlusconi è che i suoi oppositori interni, e le forze dell’opposizione parlamentare, si muovono su un terreno sostanzialmente liberale e interclassista. Anche quando l’opposizione solleva i nodi della giustizia sociale, non avanza mai una proposta di uscita dalle politiche neoliberiste che costituiscono il quadro entro cui si muove il governo.
· Emblematica è la sostanziale copertura data dal PD all’operazione FIAT a Pomigliano, che di queste politiche è l’espressione più coerente. In un colpo solo viene infatti aumentato lo sfruttamento, messo in discussione il contratto nazionale di lavoro e violata la Costituzione in merito al diritto di sciopero.
· La manovra finanziaria produrrà ulteriore disoccupazione e restringimento del welfare. In particolare nel corso del prossimo anno termineranno le misure di sostegno al reddito quali la cassa integrazione in deroga e la mobilità per centinaia di migliaia di lavoratori, determinando una situazione di disoccupazione di massa mai vista in Europa. In merito bisogna sottolineare che, al di là del tasso ufficiale di disoccupazione, il punto vero è che in Italia il tasso di occupazione ( cioè coloro che lavorano nella fascia di età tra i 15 e i 65 anni) è del 57% (in Danimarca è l’80%) e che una parte consistente di questi è oggi in CIG. Il altri termini, in Italia, una persona su due in età di lavoro, non lavora ed è senza protezioni sociali che non siano quelle garantite dalla struttura familiare. Al dato sulla disoccupazione si accompagna il taglio al welfare, la riduzione dei salari reali ed un aumento dello sfruttamento del complesso del mondo del lavoro.

· L’attacco su più fronti che punta al ridisegno delle relazioni sociali nel contesto di un deciso impoverimento del paese, sta provocando numerosi conflitti sociali che sono destinati ad aumentare. Il punto di forza del governo e del padronato sono la relativa frammentazione dei conflitti, tutti difensivi e privi di guida politica in quanto l’opposizione parlamentare si muove sostanzialmente all’interno del paradigma neoliberista.
· La vera partita politica che si giocherà in Italia in autunno è proprio questa: la capcità di costruire un movimento di mass che superi l’orizzonte liberale che separa libertà democratiche dalla questione sociale e che, proprio per questo, si ponga in opposizione non solo a Berlusconi, ma anche a Marchionne e alle politiche neoliberiste europee.
· Su questo si misura la vitalità o la residualità della sinistra e dei comunisti

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