Il caso Eutelia-Agile, con 2000 lavoratori senza futuro e otto manager e azionisti finalmente in galera, c’entra poco con la crisi economica e industriale. Riguarda, invece - molto - l’origine, i protagonisti, le regole del capitalismo italiano. Samuele Landi, il padrone col pugnale tra i denti che minacciò lo scorso autunno i dipendenti in lotta nella sede di Roma, è il fondatore, oggi latitante, del movimento "Imprenditori d’Italia" che vorrebbe farla finita coi sindacati, i vincoli di legge, i controlli che limiterebbero lo sviluppo della vocazione imprenditoriale.
Personaggi di questo genere hanno potuto, in soli dieci anni, fondare aziende, acquisirne e venderne altre, quotarsi in Borsa, reperire capitali dal mercato e dal sistema bancario, allo scopo non di creare valore, occupazione e sviluppo rispettando il contesto sociale (come indica l’articolo 41 della Costituzione che Berlusconi vorrebbe abolire) ma di arricchirsi, spogliando le aziende dei loro cespiti migliori e abbandonando per strada migliaia di dipendenti con le loro famiglie. Non è una novità: casi del genere si sono ripetuti negli ultimi anni e basterebbe scorrere le recenti cronache dei processi Parmalat, Cirio, Antonveneta, per verificare e accertare che in questo paese non cambia mai nulla. Basti pensare che il gruppo di proprietà del presidente del Consiglio conquistò il controllo della Mondadori corrompendo un giudice, come è stato definitivamente accertato fino alla Cassazione.
C’è un capitalismo di rapina, a tutti i livelli, alti e bassi, che non rispetta le regole, gli azionisti, i lavoratori e le comunità in cui opera. È la logica dell’appropriazione esclusiva, dell’affermazione del comando del più forte e del più ricco, quella che prevale e che emerge chiaramente, in un altro ambito che collega la politica e la malavita economica, nell’inchiesta Verdini-Carboni, un tandem alla base di un’associazione segreta per conquistare affari, condizionare o minacciare la giustizia, influenzare l’informazione. Tutto questo avviene mentre la Consob, l’autorità di controllo delle società e della Borsa, è rimasta senza presidente e dopo che da due mesi non c’è il ministro dello Sviluppo economico. Per entrambe le cariche la maggioranza di governo sta litigando. Avremmo bisogno come il pane di sceriffi del mercato e di ministri capaci per fronteggiare la crisi industriale, ma Berlusconi ha altre priorità. Le regole, la legge, il Paese, vengono sempre dopo.
Personaggi di questo genere hanno potuto, in soli dieci anni, fondare aziende, acquisirne e venderne altre, quotarsi in Borsa, reperire capitali dal mercato e dal sistema bancario, allo scopo non di creare valore, occupazione e sviluppo rispettando il contesto sociale (come indica l’articolo 41 della Costituzione che Berlusconi vorrebbe abolire) ma di arricchirsi, spogliando le aziende dei loro cespiti migliori e abbandonando per strada migliaia di dipendenti con le loro famiglie. Non è una novità: casi del genere si sono ripetuti negli ultimi anni e basterebbe scorrere le recenti cronache dei processi Parmalat, Cirio, Antonveneta, per verificare e accertare che in questo paese non cambia mai nulla. Basti pensare che il gruppo di proprietà del presidente del Consiglio conquistò il controllo della Mondadori corrompendo un giudice, come è stato definitivamente accertato fino alla Cassazione.
C’è un capitalismo di rapina, a tutti i livelli, alti e bassi, che non rispetta le regole, gli azionisti, i lavoratori e le comunità in cui opera. È la logica dell’appropriazione esclusiva, dell’affermazione del comando del più forte e del più ricco, quella che prevale e che emerge chiaramente, in un altro ambito che collega la politica e la malavita economica, nell’inchiesta Verdini-Carboni, un tandem alla base di un’associazione segreta per conquistare affari, condizionare o minacciare la giustizia, influenzare l’informazione. Tutto questo avviene mentre la Consob, l’autorità di controllo delle società e della Borsa, è rimasta senza presidente e dopo che da due mesi non c’è il ministro dello Sviluppo economico. Per entrambe le cariche la maggioranza di governo sta litigando. Avremmo bisogno come il pane di sceriffi del mercato e di ministri capaci per fronteggiare la crisi industriale, ma Berlusconi ha altre priorità. Le regole, la legge, il Paese, vengono sempre dopo.
Ps: ... a proposito di regole, forse siamo dei moralisti fuori moda, ma siamo rimasti spiacevolmente sorpresi dal leggere sui giornali che anche il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, era a cena, l’altra sera, a casa Vespa, con il presidente del Consiglio e sua figlia Marina, il cardinale Bertone e il presidente delle Assicurazioni Generali Cesare Geronzi. Draghi è un uomo di mondo, rispettato e autorevole, ha lavorato pure per la Goldman Sachs, e può cenare certamente con chi vuole: ma chissà perché questa notizia lascia un po’ di amaro in bocca.
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