domenica 21 giugno 2015

La realtà. Hegel oggi Alberto Gaiani intervista Luca Illetterati

Hegel portrait by Schlesinger 1831Wirklichkeit è una delle parole tedesche che significano realtà ed è una delle parole-chiave della filosofia di Hegel. Su questo concetto si terrà dal 3 al 5 giugno a Padova un importante convegno internazionale. Vi parteciperanno, tra gli altri, studiosi della filosofia classica tedesca del calibro di Robert Pippin, Jean-François Kervégan, Birgit Sandkaulen. Ne abbiamo parlato con Luca Illetterati, che, con Francesca Menegoni, è l’organizzatore del convegno.
Sembra che Hegel sia tornato, se non al centro della scena, perlomeno sulla scena. Siamo di fronte a un neo-neoidealismo? A una Hegel-Renaissance in senso generale?
Non credo si possa parlare di una Hegel-Renaissance. Tanto meno di un neo-neoidealismo (che rimane comunque, soprattutto nella sua versione gentiliana, per quanto sostanzialmente non studiato, l’apice della filosofia italiana degli ultimi centocinquant’anni). C’è però indubbiamente a livello internazionale una rinascita di interesse nei confronti della filosofia di Hegel. Molto è dovuto ai cosiddetti neohegeliani di Pittsburgh, John McDowell e Robert Brandom, che hanno ‘usato’ Hegel all’interno di dibattiti e contesti tradizionalmente ostili o indifferenti nei confronti della filosofia dell’idealismo tedesco. Al di là di questo è però interessante che in varie parti del mondo siano attivi in questo momento progetti di ricerca che connettono la filosofia di Hegel alle dinamiche del mondo contemporaneo. Un esempio può essere la grande discussione sul tema del riconoscimento. L’idea che le soggettività si costituiscano all’interno di un processo di riconoscimento è una tematica hegeliana ed è una tematica di grandissima attualità, si pensi alle discussioni sul multiculturalismo. Su questo lavorano gruppi di ricerca a New York, alla Columbia, in Brasile, a San Paolo, in Finlandia, in Italia, in Francia. In questo senso credo si possa parlare forse di un neohegelismo nell’ambito dell’analisi dei fenomeni sociali. Io ritengo che la grande attenzione che oggi viene dedicata al problema dell’ontologia sociale possa essere letta come una rinascita di interesse nei confronti di quello che Hegel chiamava lo spirito oggettivo. E ritengo che il concetto hegeliano di spirito oggettivo non sia ancora stato ‘sfruttato’ adeguatamente nell’ambito delle ricerche di ontologia sociale.
Perché avete scelto la parola ‘realtà’ come fuoco delle ricerche che verranno discusse al convegno?
In realtà abbiamo scelto la parola tedesca Wirklichkeit, che è uno dei modi con cui Hegel nomina la realtà e che di solito si traduce con realtà effettuale, con effettualità o anche con realtà in atto. Wirklichkeit non è una generica realtà, non è semplicemente quello che abbiamo davanti agli occhi. Per Hegel Wirklichkeit è la realtà che si realizza, che si compie, è il processo della propria realizzazione e del proprio compimento. L’idea di mettere questa parola al centro è stata all’inizio di Lucio Cortella, con il quale abbiamo pensato questo convegno. Se si vuole, concentrarsi su questa parola ha un aspetto persino provocatorio. Significa puntare lo sguardo non tanto su un aspetto marginale o particolare della riflessione hegeliana, ma al suo cuore, addirittura, direi, al suo scandalo. Per anni si è insistito su uno Hegel non riducibile al sistema, e dunque sullo Hegel giovanile, sullo Hegel filosofo della vita e critico della società moderna, sullo Hegel fenomenologico, ecc. Dicendo realtà si punta invece al cuore dello scandalo hegeliano, ad esempio alla famosa proposizione contenuta nei Lineamenti di filosofia del diritto, secondo la quale il reale è razionale e il razionale è reale. Buona parte del dibattito filosofico dopo Hegel, anche quando non l’ha tematizzato esplicitamente, è leggibile come una sorta di ribellione a quella proposizione. Eppure in quella proposizione non c’è davvero nulla di semplicemente statico, di giustificatorio, di rassicurante ed edificante. Quella proposizione dice piuttosto lo sforzo necessario di cui qualsiasi filosofia e qualsiasi considerazione pensante del mondo deve farsi carico se non vuole essere semplicemente vittima di una realtà inattingibile o di un soggetto che pretende di ridurre a sé ogni realtà.
Il nostro tempo è segnato davvero da un ritorno alla realtà? In che senso? In che modo questo ritorno alla realtà costituisce un’urgenza che incalza la riflessione filosofica contemporanea?
Mi verrebbe da dire che sì, la realtà si sta prendendo qualche rivincita su tutte quelle forme di intellettualismo che pretendono di dominare il reale attraverso schemi ad esso imposti. Usciamo da anni in cui la realtà veniva identificata con la sua comunicazione. E’ reale ciò che entra dentro un circuito di comunicazione che lo rende vero. Rispetto a questo mi sembra ci sia una realtà che spinge e che con i suoi aculei buchi e sgonfi la cappa comunicativa. Mi sembra che non ci si accontenti più delle costruzioni comunicative. Mi sembra ci sia un bisogno di dare voce ai resti che la comunicazione lascia da parte, a quelle forme di resistenza del reale che nessun packaging è in grado di confezionare. Mi pare che questo caratterizzi ad esempio la produzione letteraria e cinematografica di questi anni. Anche la politica ha oggi un problema enorme di realtà: il discorso della politica pare non essere in grado nemmeno di sfiorare la realtà che è chiamata a governare. Il che la rende ovviamente ancora più arrogante, estranea e tendenzialmente autoritaria.
Questo ritorno alla realtà non è piuttosto una moda, o l’ennesimo ritorno di un tema che da millenni attraversa il pensiero dei filosofi e che viene ripreso innumerevoli volte da innumerevoli punti di vista?
Secondo Hegel l’unico contenuto della filosofia è il mondo. La filosofia non si occupa di altro: della realtà, del mondo, dei modi attraverso cui l’essere prende forma, delle dinamiche attraverso cui il reale viene a costituirsi nella storia, dentro a determinate organizzazioni sociali, nella pratica scientifica, nelle forme dell’arte. E la filosofia sempre questo ha fatto. Ritengo che ciò che rende interessante il punto di vista di Hegel sia il fatto che secondo lui la realtà non è semplicemente ciò che sta lì, del tutto indipendentemente da noi. Noi siamo parte della realtà e in questo farvi parte la determiniamo in un modo piuttosto che in un altro. Questa partecipazione della soggettività al modo d’essere della realtà non significa affatto che il soggetto sia il padrone della realtà, che possa farne ciò che vuole. La realtà per Hegel resiste a questa presa, a questa pretesa del soggetto di plasmarla a piacimento. Il soggetto è davvero se stesso, secondo Hegel, solo quando riesce a cogliere la dinamica interna della realtà, non quando pretende di imporgliela.
C’è qualche connessione tra i lavori del convegno e il dibattito che da qualche anno sta imperversando intorno alla proposta del nuovo realismo di Maurizio Ferraris?
No, non c’è una connessione esplicita. Il che non significa affatto indifferenza. Guardi, a me pare che il nuovo realismo abbia almeno un merito: quello di aver dato voce a un’esigenza, a un’istanza. Poi, come spesso accade con i manifesti, non sempre è chiaro dal punto di vista rigorosamente filosofico di cosa si stia parlando, di che tipo di realismo si stia discutendo. A me sembra che il nuovo realismo sia innanzitutto un progetto culturale, un tentativo di trovare una via d’uscita a un’impasse che sembrava aver reso ingestibile il nostro rapporto con il mondo, che sembrava aver reso inutilizzabile le parole chiave che pure descrivono la nostra esperienza ordinaria del mondo: verità, realtà, bene, male, piacere, dolore, ecc. Il limite a mio parere del nuovo realismo è di essere essenzialmente un contro-concetto, un concetto cioè che si determina dentro un’opposizione con il costruttivismo post-modernista, di cui condivide in questo senso le unilateralità. Dove il costruttivismo enfatizza la capacità del soggetto di forgiare il reale a partire da schemi concettuali e intenzioni interpretative, il nuovo realismo enfatizza tutti gli elementi di dipendenza della soggettività dalla realtà, il modo in cui cioè il soggetto è determinato dalla realtà. Per molti versi la filosofia di Hegel è un tentativo formidabile di uscire da questa morsa, da questa doppia unilateralità. E lo fa mostrando come i rapporti di dipendenza e indipendenza siano del tutto inadeguati a comprendere tanto il modo d’essere della realtà quanto quello della soggettività.
In che modo un’operazione come quella che anima il convegno – un’operazione che sembra consistere principalmente in un’interpretazione di riflessioni molto lontane da noi nel tempo, quindi in una ricerca di interesse storico – può avere qualche carta da giocare rispetto al nostro oggi?
Quello che Hegel invita a pensare sono le dinamiche interne della realtà, il modo in cui il reale si costituisce, le stratificazioni attraverso cui il mondo assume forma. Penso davvero che questo sia il problema che noi oggi abbiamo di fronte. A me sembra che su questo oggi ci sia un doppio rischio: il velleitarismo e il vittimismo. Il velleitarismo è l’atteggiamento di chi pretende di dire alla realtà come questa deve essere per essere davvero se stessa, come se il mondo, diceva Hegel, fosse lì ad aspettare che l’intelletto gli dica come ha da essere. Il vittimismo è la giustificazione che consente ai soggetti di non agire, di non assumersi alcuna responsabilità, perché tanto a dominare è l’ineluttabile, a dominare è una realtà che procede indipendentemente da tutto. Fare i conti con la realtà e prenderla sul serio significa oggi uscire da questi due dispositivi che rischiano di paralizzare qualsiasi azione sensata del soggetto nel mondo.

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