Benvenuti in “terra incognita”. Le facce stravolte di Jeroen
Dijsselbloem e degli altri componenti dell'Eurogruppo (i ministri delle
finanze della zona euro) ieri sera la dicevano molto più del comunicato
finale. Firmato da 18 ministri, ma non dal greco Yanis Varoufakis. Ad
Atene, nello stesso momento, Alexis Tsipras riuniva il governo per
discutere delle misure d'emergenza da prendere prima che i mercati e le
banche riaprano, lunedì mattina.
Il Parlamento di Atene ha approvato la proposta del governo a
proprosito del referendum con con 179 sì e 120 no. Contrari i
conservatori di Samas e gli “europeisti complici” di To Potami e Pasok.
Da sottolineare il taglio del discorso con cui il premier greco ha
presentato il referendum, usando le stesse parole con cui la Grecia
rifiutò “l'offerta” di Mussolini nel 1940: "Amiamo la pace, ma quando ci
dichiarano guerra siamo capaci di combattere e vincere".
Il riferimento è tutt'altro che secondario, nella storia e nella
memoria collettiva dei greci. Ogni 28 ottobre il paese celebra il
"Giorno del No" per ricordare il 28 ottobre 1940, quando l'ambasciatore
fascista italiano ad Atene (tal Emanuele Grazzi) presentò l'ultimatum
per intimare di lasciare libero accesso alle forze dell'Asse. Il primo
ministro d'allora, Ioannis Metaxas, rispose usando una sola parola:
"No". Quella Grecia antifascista è dunque esplicitamente chiamata a
compattarsi contro il nuovo "invasore", anche se usa i mezzi finanziari
inece che i carri armati.
Radicale, naturalmente, la critica di Tsipras ai presunti "partner"
europei: "Sostenevano che alzare le tasse era una misura recessiva, poi
ci chiedevano di tagliare pensioni e stipendi. Pretendevano che
aumentassimo del 13,5% l'Iva sugli hotel, tanto valeva dire
direttamente che è vietato fare turismo qui da noi". E quindi: "Dobbiamo
garantire il referendum alla nostra gente per consentirle di vivere con
speranza e di non fare della Grecia un paese schiavo del debito per i
prossimi venti anni". E comunque: “Come si può immaginare che la
democrazia europea non consenta al popolo greco di esprimersi e decidere
sui contenuti di un accordo così importante per il proprio destino?”.
In realtà, è proprio la democrazia il "lusso" che questa Unione Europea
non sembra volersi più permettere...
Il primo sondaggio, eseguito da Kappa Research, dà il rifiuto del diktat al 47,2%, gli "arresi" al 33% e gli indecisi al 18,4%).
Nessuno sa che cosa sia giusto fare, a questo punto. Quella massa di
funzionari abituati a muoversi, ragionare, minacciare o piatire entro il
cerchio chiuso di regole e trattati, è ora senza bussola e senza piani
di battaglia affidabili. Il sistema delle regole europee è stato
presentato per quasi venti anni come la soluzione finale ai problemi
economici, di integrazione, di coesione, tutto vi era teoricamente
previsto. Meno che qualcuno potesse dire “questa regola mi ammazza, non
posso rispettarla”. Ora si sono chiusi dentro il loro palazzo per
cercare di tracciare all'ultimo momento quel "piano B" che nessuno prima
voleva prendere nemmeno in considerazione.
La reazione dei funzionari alla proclamazione di un referendum per
domenica prossima, in Grecia, per accettare o meno i diktat della
Troika, è stata così isterica e autolesionista. L'Eurogruppo ha
rifiutato l'ultima proposta ellenica: prorogare il piano di aiuti fino a
domenica prossima (5 luglio) e la restituzione degli 1,9 miliardi di
euro di interessi che la Bce ha maturato sui bond greci detenuti così da
poter rimborsare l'istituto di Washington.
Tutto si concluderà deunque alla scadenza già fissata, martedì 30
giugno. Dopo di che si metterà in moto una valanga di conseguenze che
nessuno è più in grado di controllare o gestire, tanto meno i burocrati
rimasti senza bussola.
Basti pensare alle parole usate da Dijsselbloem nel giustificare
questo rifiuto: “anche se i greci dicessero sì alle nostre proposte,
comunque non avremmo nessuna garanzia che le riforme strutturali siano
realizzate”. In pratica, ha dato argomenti indubitabili a favore
dell'uscita di Atene dalla Ue. Gente come lui “si fida” soltanto di
gente ammessa negli stessi circoli, obbediente agli stessi interesse o
gruppi di pressione. Che un popolo venga chiamato a decidere del proprio
futuro è qualcosa che gli appare un orrore; e comunque “fuori dalle
regole”.
A questo punto salterà certamente il pagamento della rata al Fondo
Monetario Internazionale (1,6 miliardi da pagare entro martedì). E da
quel momento ogni giorno sarà buono per ufficializzare il default della
Grecia. Tecnicamente, infatti, il fallimento viene cetificato dal
creditore che non si vede restituire i soli alla scadenza fissata. Ma
qui scattano già le prime due conseguenze.
“I mercati” non
hanno bisogno della certificazione tecnica del default per cominciare a
muoversi come se fosse già stato dichiarato (“anticipano le tendenze”,
si usa dire). Ragione per cui da domattina si scaglieranno con
particolare violenza sia sui resti della esausta Grecia che sul molto
più succulento tavolo dei paesi dell'Unione.
In secondo luogo, gli oltre 240 miliardi dovuti da Atene agli altri
membri della Troika (Ue, Bce, Fmi) sono ormai carta straccia, crediti
inesigibili che graveranno sui conti dei singoli paesi dell'Unione.
Ricordiamo sempre che questa è la conseguenza della scelta fatta sei
anni fa soprattutto da Parigi, Londra e Berlino: con il “memorandum” e
il primo piano di “aiuti” hanno di fatto trasformato il debito di Atene
verso banche private (soprattutto francesi e tedesche) in debito verso i
paesi. Ovvero hanno “socializzato” le perdite delle banche private
facendo finta di prestare soldi alla Grecia che doveva immediatamente
rigirarli alle banche. Ricordiamocene, quando Renzi o chi per lui ci
verrà a dire che bisogna tagliare le pensioni, la sanità e comunque la
spesa pubblica “per colpa” della Grecia.
In queste ore, comunque, sia ad Atene che a Francoforte, si sta
lavorando per creare qualche salvagente. Il vicepremier ellenico, Yanis
Dragasakis, e il portavoce del governo di Atene per gli affari
economici, Euclid Tsakalatos, per esepio, ha comunicato che
continueranno "a lavorare a stretto contatto con la Bce e la Banca di
Grecia per la stabilità del sistema bancario del Paese".
Dal canto suo, Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea si
riunisce oggi (in teleconferenza, forse) per decidere il da farsi sulle
quattro grandi banche della Grecia sulle quali ha il potere di
vigilanza (Alpha Bank, Banca del Pireo, Banca Nazionale di Grecia e
Eurobank).
In teoria, sia l'Eurogruppo che il governo ellenico lasciano la porta
aperta alla ripresa del negoziato. Ma lo spazio fisico sembra davvero
inesistente. Tsipras, spiega qualcuno, pensa ancora che una vittoria nel
referendum gli conferirebbe un maggior peso negoziale con la Troika.
Più probabilmente, soltanto una schiacciante quanto improbabile
vittoria del “partito dei sacrifici” nel referendum potrebbe far
riaprire la trattativa. Naturalmente con un altro governo ad Atene...
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