venerdì 26 giugno 2015

A sinistra del Pd un nuovo inizio di Guido Liguori


Sem­bra si sia final­mente giunti alla sia pur fati­cosa gesta­zione di un nuovo sog­getto uni­ta­rio della sini­stra. È un tema ine­lu­di­bile, non più rin­via­bile. Le recenti ele­zioni regio­nali hanno infatti visto due vin­ci­tori: nell’area di cen­tro­de­stra la Lega, nell’area di cen­tro­si­ni­stra il non voto.
È ragio­ne­vole pen­sare che il Pd ren­ziano sia imbri­gliato in con­trad­di­zioni desti­nate a durare, vista la linea poli­tica del pre­mier e il suo blocco sociale di rife­ri­mento. Oggi le paga soprat­tutto in ter­mini di asten­sio­ni­smo, poi­ché le forze che si muo­vono alla sua sini­stra non sono state ancora in grado di ren­dersi visi­bili al paese. Che non è fatto – chia­ria­molo una volta per tutte – di mili­tanti capaci di spac­care il capello in quat­tro, o di avidi let­tori di gior­nali e social net­work, ma di per­sone «in carne e ossa», più che mai alle prese con pro­blemi mate­riali note­voli e con alle spalle un deserto plu­ri­de­cen­nale in ter­mini di cul­tura poli­tica, che ha tolto loro la pos­si­bi­lità di leg­gere la realtà mediante occhiali in grado di fon­dere inte­ressi, pas­sioni, progetti.
La sini­stra a sini­stra del Pd fino a ora non cre­sce. E come potrebbe? Appare da anni divisa e ris­sosa, piena di per­so­na­li­smi. In ogni ele­zione si pre­senta in ordine sparso (addi­rit­tura, nelle ultime ele­zioni, in alcune regioni in alleanza e in altre in alter­na­tiva al Pd), con sigle sem­pre dif­fe­renti, local­mente con nomi diversi, rico­no­sci­bili solo per un pic­colo gruppo di mili­tanti «irri­du­ci­bili». Ma ciò che può avere un senso per i mili­tanti, non lo ha auto­ma­ti­ca­mente a livello elet­to­rale, a livello di grandi numeri. Qui, ci piac­cia o no, val­gono altre leggi: più sem­plici, solo in appa­renza più facili, forse più rozze.
Che fare? Provo a elen­care qual­che snodo deci­sivo, al cen­tro della discus­sione tra le forze che stanno ado­pe­ran­dosi per que­sto parto più arduo del previsto.
In primo luogo, occor­re­rebbe a mio avviso varare al più pre­sto un nuovo sog­getto arti­co­lato e plu­rale, con un nome e un sim­bolo che non cam­bino ogni sei mesi, che par­lino a tutti e tutte, iden­ti­fi­ca­bili chia­ra­mente come «di sini­stra». Non deve essere solo un car­tello elet­to­rale, che di fronte al primo insuc­cesso si sfa­scia. Deve essere una forma poli­tica nuova in cui ci sia spa­zio per indi­vi­dui sin­goli (che non fanno parte di nes­sun sog­getto col­let­tivo) e par­titi poli­tici, asso­cia­zioni e gior­nali, rivi­ste e cen­tri cul­tu­rali. In que­sto qua­dro, il ruolo dei par­titi già esi­stenti è a mio avviso essen­ziale. La solu­zione migliore mi pare quella della dop­pia tes­sera, poi­ché è impor­tante par­tire supe­rando per­ples­sità e mal di pan­cia dei mili­tanti e dei diri­genti delle for­ma­zioni poli­ti­che e­si­stenti, che (forse non a torto) avreb­bero qual­che remora nel lasciare il noto, molto imper­fetto, per lo sco­no­sciuto, per quanto poten­zial­mente migliore. Per non rica­dere nelle vec­chie, fal­li­men­tari e para­liz­zanti logi­che fede­ra­tive, però, ci si deve basare su un prin­ci­pio demo­cra­tico chiaro: una testa, un voto. Deve essere una for­ma­zione sal­da­mente col­le­gata al Par­tito della Sini­stra Euro­pea, ovvero a Syriza, ma anche alla Linke e al Pcf e a Izquierda Unida: forze anche molto diverse, che però hanno capito che biso­gna cer­care di lot­tare insieme, e su scala euro­pea, con­tro il neo­li­be­ri­smo e per un’altra Europa, e che per que­sto fanno parte del Gue (a cui affe­ri­sce, non va dimen­ti­cato, anche Podemos).
In secondo luogo, a que­sta nuova for­ma­zione poli­tica si ade­ri­sce in base al pro­gramma. Anzi, ai due pro­grammi. Un «pro­gramma fon­da­men­tale», o una «tavola dei valori», se si pre­fe­ri­sce, soprat­tutto rivolto ai poten­ziali mili­tanti, che dica che tipo di società e di con­vi­venza umana si ritiene auspi­ca­bile (o neces­sa­ria) nel lungo periodo: un deca­logo di prin­cipi chiari e distinti su que­stioni fon­da­men­tali quali, ad esem­pio, la scelta della prio­rità del bene pub­blico, delle libertà (anche sui temi eti­ca­mente sen­si­bili), della espan­sione della demo­cra­zia, della plu­ra­lità delle forme eco­no­mi­che, del rispetto ambien­tale, ecc.
E un «pro­gramma di governo» sem­plice e chiaro, rivolto in primo luogo agli elet­tori: pochi punti che tutte e tutti pos­sano inten­dere e che non siano una fiera dema­go­gica, un libro dei sogni, ma qual­cosa che si potrebbe rea­liz­zare in pochi anni, anche nel campo della pro­du­zione e distri­bu­zione del red­dito. Qual­cosa di avver­tito come fat­ti­bile per i più, insomma. Con un respiro di governo, anche se si parte dall’1%, per­ché biso­gna sem­pre pen­sare in grande e in modo non subal­terno. Il che vuol dire nutrire delle ambi­zioni e non pro­porsi l’obiettivo di «cam­biare il Pd». Dun­que fuori dal Pd e senza il Pd, anche in pro­spet­tiva, che ci sia o non ci sia Renzi. E non nell’alveo del «socia­li­smo euro­peo»», da anni fau­tore di poli­ti­che neo­li­be­ri­ste appena più uma­ni­ta­rie di quelle della Merkel.
In terzo luogo, a par­tire dalle forze attual­mente già in campo, è auspi­ca­bile che si for­mino gruppi diri­genti gio­vani e plu­rali, soprat­tutto a livello nazio­nale, che aprano una fase di cre­scita col­let­tiva. Basta coi set­ta­ri­smi, le pre­clu­sioni, i lea­de­ri­smi, i veti. Non si deve «rot­ta­mare» nes­suno, ma è indi­spen­sa­bile par­lare pure ai più gio­vani, che non solo noi, ma quasi tutta la poli­tica inter­cetta solo in minima parte. Un ricam­bio anche gene­ra­zio­nale si impone, fermo restando che anche chi è anziano è chia­mato a dare – in que­sto momento deci­sivo – il mas­simo di ciò che può dare.
Vi è senza dub­bio un pro­blema di rico­no­sci­bi­lità media­tica, ma non vi può essere né il ricorso al «caro lea­der» di turno, né l’affidamento a una ristretta élite, sia pure di estrema sini­stra. Il nuovo gruppo diri­gente deve aprire una fase di coin­vol­gi­mento e cre­scita di gruppi diri­genti locali che non siano fatti col bilan­cino: biso­gna ini­ziare una «fusione a caldo» fra le varie anime di que­sto nuovo sog­getto poli­tico. Occorre uno scatto di anti­set­ta­ri­smo, una scelta di collegialità.
Da ultimo, la cosa più impor­tante: il nostro oriz­zonte non deve essere la scon­fitta di Renzi o le pros­sime ele­zioni. Biso­gna vivere e cre­scere nella società pro­po­nendo un diverso modello di svi­luppo, azioni con­crete per il lavoro, per il red­dito, per i gio­vani, per il wel­fare, per i più deboli, per i diritti. Biso­gna rico­no­scere che le classi e la lotta di classe ancora esi­stono, ma anche saper vedere le forme nuove in cui oggi vivono e le altre que­stioni con cui si inter­se­cano e che con­cor­rono con­cre­ta­mente a fare la feli­cità degli indi­vi­dui.
Le ele­zioni andranno bene se si lavo­rerà prima, nei quar­tieri, nelle fab­bri­che, nelle scuole, nella sanità, tra i gio­vani disoc­cu­pati, nelle lotte. E anche se si ela­bo­rerà una piat­ta­forma cul­tu­rale che cer­chi di dire dav­vero cosa deve essere la «terza fase della lotta per il socia­li­smo» o «il socia­li­smo del XXI secolo» di cui si parla da alcuni lustri. La sfida ege­mo­nica sarà lunga, lun­ghis­sima, ma da qui occorre partire.

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