martedì 30 aprile 2013

Unire l’opposizione di sinistra contro la restaurazione moderata di Paolo Ferrero


Unire l’opposizione di sinistra contro la restaurazione moderata


Molti commentatori hanno sottolineato l’alto tasso di democristianità del discorso di Enrico Letta: un discorso ecumenico che parlava ai diversi partiti della sua maggioranza. L’esposizione vellutata del presidente del Consiglio non è però priva di sostanza e la sostanza è molto dura: Il governo Letta si presenta come il fedele esecutore delle direttive europee sull’austerità, quelle direttive che stanno pesantemente aggravando la crisi. Letta ha detto in tutta chiarezza che la stella polare è l’impegno a ridurre il Debito e la pressione fiscale, cosa che porta con se con ogni evidenza ulteriori privatizzazioni e ulteriori tagli del welfare. Parallelamente non si è sentita una parola contro il Fiscal Compact o sulla redistribuzione del reddito. La continuità con Monti su questo è totale. Gli impegni con l’Europa sul terreno dell’austerità sono invece stati ribaditi in forma perentoria, priva di ambiguità. Non solo: l’austerità è diventata la cornice al cui interno sono stati collocati anche gli accenni allo sviluppo, accenni che non hanno riscontri in impegni precisi. Così come non è stato fatto alcun accenno a dove recuperare la decina di miliardi necessari per realizzare le promesse contenute nel discorso (soluzione del problema degli esodati, rifinanziamento Cig in deroga, abolizione IMU su prima casa, non aumento dell’IVA). Un discorso quindi totalmente interno allo schema neoliberista di Monti in cui la differenza di accenti segna il passaggio da un governo tecnico a uno politico, non una differenza di contenuti.
Da questo punto di vista la vera notizia del discorso odierno è il patto di legislatura tra le forze politiche che compongono il governo, un patto costituente che cerca di espungere l’alternativa economica e sociale dall’ambito della politica italiana. Il programma esposto da Letta non è quello di un governo a termine. Vi è un ambizioso progetto di stabilizzazione moderata che riguarda le istituzioni, l’economia e la politica. Se il governo Monti è stato un governo Costituente, quello Letta prosegue quella strada facendo della collaborazione politica tra PD e PDL un fatto strutturale per la restaurazione della Seconda Repubblica. Letta prende atto del crollo della seconda repubblica e invece che aprire ad una modifica di politiche economiche e sociali si pone l’obiettivo di cambiare la forma per mantenere la sostanza. Se la Seconda repubblica è crollata sotto le sguaiate ruberie di molti, la promessa della moralità è la strada scelta da Letta per poter proseguire in termini più efficaci le politiche neoliberiste. L’obiettivo di Letta è la costruzione di un più efficace governo del capitale che fa dell’unità nazionale la forza legittimante. Quella di Letta è quindi a tutti gli effetti una operazione reazionaria, restauratrice, che fa i conti con la crisi del sistema per cercare di ricostruire in modo più efficace un blocco politico e sociale moderato. Che questa operazione venga guidata da uomini espressione del PD (da Napolitano e Letta) la dice lunga su cosa è concretamente quel partito. Il PD ha certo contraddizioni ma è organicamente protagonista dei processi di ristrutturazione capitalistica che avvengono nella crisi. Da questo punto di vista l’ambiguità del centro sinistra è definitivamente tramontata. O si sta dentro l’orizzonte tracciato da Letta o si lavora a costruire una sinistra in opposizione a questo quadro politico e istituzionale. Per questo noi proponiamo un processo di aggregazione di tutta la sinistra di opposizione che faccia i conti fino in fondo con il fatto che il centro sinistra semplicemente non esiste più. Non è oggi il tempo per i tatticismi, è tempo che tutte le forze che fanno opposizione da sinistra si uniscano per costruire un movimento di massa contro il governo Letta e le sue politiche. Per questo noi operiamo affinché la  manifestazione indetta dalla Fiom per il 18 maggio prossimo abbia una piena riuscita e sia solo il primo appuntamento di una lunga serie.

Il governo del peggio di Don Paolo Farinella, Micromega


Senato, Letta: "Inevitabile stare insieme"   dir tv     Berlusconi sull'Imu: abolizione o non ci stiamo
Giorgio II, re, imperatore e caudillo di grandi intese ha consacrato il suo cavalier servente, Letta-nepote con la benedizione di Berlusconi, protettore di zio-Letta, che può cantare vittoria e annettersi ogni merito per non aver messo paletti, per avere voluto il governo del ricambio generazionale, per avere piazzato il suo maggiordomo Al Fano alle calcagna del governino per essere sicuro di essere salvo. Letta ha discusso solo con lui, mentre con Bersani, ormai decotto del tutto, ha avuto solo un passaggio «en passant». Il prossimo passo, inevitabile e obbligato, perché «conditio sine qua non» posta dal Cainano è la salvaguardia sua da ogni processo. Poiché nessuno potrebbe garantirgli, formalmente, un salvacondotto, non resta che appoggiare il governo ad altissima densità berlusconiana come premessa per la nomina di Berlusconi a senatore a vita: solo così potrà appellarsi all’immunità fino a quando non tira le cuoia. Poiché bisogna salvare le grandi intese, scommetto che re Giorgio farà senatore anche Romano Prodi. Nessuno potrebbe obiettare disparità di trattamento, ma spero solo che Prodi rifiuti decisamente e con sdegno un simile accostamento, perché se dovesse accettare, veramente non ci sarebbe più religione.
Veniamo al governo più berlusconista degli stessi governi capeggiati da lui in persona. Il manuale Cencelli è stato centellinato alla virgola tra Berlusconi, Monti e la parte demokristiana del Pd con il supplemento renziano, a scapito degli ex Ds. Questo governo, costruito a tavolino da Napolitano, Letta-zio, Letta-nipote e Berlusconi come regista, è la dichiarazione finale e tombale della scomparsa della sinistra. O meglio di grande parte della sinistra per cui ci vorrano almeno 50 anni prima che in Italia si abbia una sinistra decente.
I vescovi e Avvenire hanno benedetto: le larghe intese vanno bene a loro perché le ammucchiate garantiscono meglio delle coalizioni omogenee. Domina Cl nei ministeri chiave che interessano gli affari e gli interessi di «Comunione e Fatturazione». Il Pdl ha fatto tombola in posti decisivi da cui possono controllare e impedire ogni eventuale mossa che possa danneggiare il padrone. Forse hanno fatto uno sbaglio: alle pari opportunità non dovevano mandare Iosefa Idem, pluricampionessa olimpica nella canoa, ma Ruby, la nipote di Mubarak: sarebbe stata la ciliegina sulla torta.
Il tanto strombazzato ricambio generazionale è una fola perché era l’unica scelta al ribasso che potevano fare per evitare (ecco il vero scopo!) tensioni all’interno del governo. Berlusconi aveva alzato il tiro perché voleva che fosse un governo di basso profilo per essere sicuro di poterlo condizionare. Ora si appresta a prendere la direzione della commissione delle riforme istituzionali come prevista dai dieci saggi-pirla. Tutto quadra, tutto torna e tutto rientra.
Le elezioni sono servite a nulla perché questo governo è la continuazione al peggio del governo Monti: in economia garantisce la finanza mondiale, in Italia garantisce Berlusconi, le spese militari sono in mano a Cl, quindi garantite, l’interno è di Al Fano e l’imperatore italiota gode del suo colpo di genio: illudere gli Italiani che hanno votato perché è tutto il contrario di quello che gli Italiani volevano. Le elezioni non hanno dato un risultato di un terzo, un terzo, un terzo. Assolutamente! Hanno detto che Berlusconi ha perso con la perdita di oltre 6 milioni di voti e gli elettori di 5Stelle e del Pd dicevano «mai più con Berlusconi». Ecco fatto, esattamente il contrario!
Beppe Grillo ora grida all’inciucio e alla esclusione dalle commissioni che di solito spettano all’opposizione. Lui è rimasto inciato. Illuso, cosa credeva che lo avrebbero lasciato fare, senza reagire? Ha avuto l’occasione d’oro di fare il governo, di eleggere il presidente della Repubblica, di togliersi dalle scatole Berlusconi una volta per tutte e di riformare tutta quanta la politica e invece si è asserragliato nel suo castello, calzati i guanti e la corazza, criniera in testa e urlo in petto per non sporcarsi, col risultato che ora è isolato, totalmente isolato e fuori gioco almeno per questa tornata. I suoi che amano tanto lo streaming degli altri, fanno pena, già litigano sugli stipendi e prossimamente molti emigreranno dove la rendita sarà sicura: alcuni si venderanno da sé, altri verranno comprati, e altri saranno disorientati. Sono confusi, impreparati politicamente e estranei gli uni agli altri, sempre pronti ad ad aspettare il verbo del padrone. Posso infierire su di loro perché li ho votati e sono convinto che avrebbero potuto scardinare il vecchio e dare inizio ad un’alba nuova. Invece, ci teniamo il vecchio, anzi con questo governo, il peggio del pessimo e loro restano ininfluenti, isolati, inutili, soprannumerari, testimoni fasulli di un cambiamento che non c’è. Caro Beppe, avevi l’Italia in mano e te la sei bevuta. Grazie per questo strepitoso risultato.
Il 25 aprile sono andato a celebrare la Resistenza a Toirano, dove è stato inagurato un monumento dello scultore Nebiolo Mario ai caduti dal titolo «Fischia il vento», le parole dell’inno che il  questore di Alassio voleva proibire in nome delle larghe intese. Sono stato invitato dai partigiani ancora superstiti ai quali le parole di un ragazzo partigiano di Parma, Giordano Cavestro, studente di 18 anni, fucilato dai fascisti repubblichini il 4 maggio 1944 a Bardi, che riletta oggi riempie di dolore e di commozione per le sue speranze tradite: «Se vivrete tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio». È servita da esempio quella giovane morte?
Ringrazio la mia amica Ornella che mi ha inviato la lettera, mentre penso che il ragazzo senza giovinezza, capace di dire queste parole di futuro, insieme a tutti gli altri ragazzi e ragazze, morti per fare «l’Italia bella», oggi risorgono dalle tombe e gridano al tradimento. Non valeva, no, non valeva la pena di sacrificare la vita per la repubblica delle bucce di banane di Berlusconi, imposta dal reuccio Napolitano contro lo spirito e la dignità della Costituzione. Nessuno potrà mai convincermi del contrario, perché so che nessuno può farlo.

Sintomi e pericoli di Dante Barontini, Contropiano.org

Gli spari davanti Palazzo Chigi sono quello che sembrano: un sintomo. La loro oggettiva importanza politica traspare dalle onde reattive che provocano, le quali rivelano molto sul potere politico e la sua (in)capacità di trovare soluzioni alla malattia del paese; quindi sull'incapacità far rientrare anche i sintomi.

Al contrario, quello che abbiamo visto in opera tra ieri e oggi – nelle dichiarazioni dei “politici con poltrona” e negli editoriali di molti media mainstream – è l'esibizione di una coazione a ripetere che rifiuta di prender atto dei problemi nella loro specificità e attualità. Una grande esibizione di retoriche pret a porter, riesumate così com'erano 30 o 40 anni fa. Un gran gridare all'emergenza, al pericolo, alla necessità di silenziare le critiche ai governo uscenti o nascenti, e di mettere tra parentesi le tragedia sociali reali per assicurare “serenità” al puro esercizio del potere conto terzi. L'ennesimo tentativo di ridurre il complesso al semplice, un clima generale a colpe individuali. Uno schema collaudato nei decenni, efficace sul piano mediatico immediato, ma alla lunga instupidente.

Proviamo ad andare con ordine.

Il muratore disoccupato che è arrivato davanti al portone del Palazzo è anche il primo che abbia interrotto la catena dei suicidi – tra lavoratori licenziati e piccoli imprenditori falliti – e rovesciato in un gesto disperato “contro la politica” quel “senso comune” che viaggia a fior di pelle. La rottura di ogni legame sociale, ideale, politico, solidale - che è sempre un obiettivo di ogni potere progettualmente debole - da un lato ostacola il formarsi di un'opposizione politica di massa, dall'altro apre la strada a mille percors di uscita individuale dal tunnel. Sembra geniale, si sta rivelando invece pericoloso. Non è affatto detto che l'autoeliminazione debba restare l'opzione preferita dai subalterni. Ma lo sfogo individuale, per quanto estremo e omicida, è pur sempre ciò che di meno pericoloso esiste per un sistema di potere. Ci vanno di mezzo, di solito, i “cuscinetti protettivi” schierati intorno ai posti di comando – le forze dell'ordine, ovviamente, ma anche gli impiegati di Equitalia o altri dipendenti di agenzie viste come succursali dello sceriffo di Nottingham; mentre nel “politico con poltrona” risorge per un attimo il brivido del pensiero “in qualsiasi momento potrei trovarmi davanti un disperato armato di pistola invece che di suppliche”. Nulla di preoccupante, le case farmaceutiche forniscono tranquillanti per ogni esigenza...

La reazione “governista” è invece molto più interessante. La “fronda” parlamentare del Pd è immediatamente rientrata (Civati ci farà sapere a ore se obbedisce agli ordini di scuderia oppure chiude qui la sua carriera politica), mentre il malessere della base sofferente dovrà ancora una volta scegliere tra ingoiare quintali di rospi (l'alleato Brunetta compreso) oppure alzarsi da tavola e andare altrove, di solito in pensione, lontano da questa “politica”.

Grillo ha fatto da parafulmine in mancanza di qualcosa di più serio, e la sua recitazione sopra le righe, gonfia di parole tonitruanti e gesti politici prudentemente aventiniani, è diventata la pietra dello scandalo. Come se le Di Girolamo, gli Alemanno, i La Russa e i Cicchitto, le Santanché, le Lorenzin o i Sallusti fossero degli esempi di parlar forbito e understatement.

Se persino Vendola ha cominciato a sentire “puzzetta di regime” vuol dire che il regime è da tempo all'opera. Ma il cervello, il comando, non sta a Palazzo Chigi. E forse non più nemmeno, o soltanto, a Bruxelles. Questo governo, dicevamo prima della “sparatoria”, è frutto di un compromesso in cui gli Stati Uniti hanno deciso di far pesare molto di più i propri interessi. Anche a costo di usare la fogna berlusconiana come massa di manovra temporanea.

Molto sta cambiando sotto i nostri occhi, anche a dispetto di quel che appare evidentissimo: una classe “politica con poltrona” che si chiude a riccio sperando che la tempesta della crisi passi. Molto di più cambierà nei prossimi mesi, quando le (poche) promesse elettorali – tipo “restituiamo l'Imu” e “stimoliamo la crescita” - si tramuteranno in tagli furibondi alla spesa pubblica, riduzione dell'occupazione e permanente assenza di ammortizzatori sociali adeguati (il “reddito minimo di cittadinanza” resta in Italia uno slogan buono per tutti, ma da realizzare mai).

Una sola cosa è facile prevedere: una “classe politica con poltrona” così debole, incollata con lo sputo ma divisa tra competenti e incompatibili, reagirà a qualsiasi contestazione di massa come davanti al muratore disoccupato armato. Invocherà l'intangibilità del proprio potere e delle decisioni imposte dalla Troika, ridurrà ulteriormente i margini di mediazione sociale (i lavoratori di Palermo, venerdì sera, hanno già sperimentato cosa voglia dire), “consiglierà” con maggiore fermezza quale linguaggio i media dovranno adottare (Monti e Napolitano, sul tema, si sono già più volte esibiti in numeri da Minculpop).

Battere questo avversario e questo modo apertamente antidemocratico di governare si può. Ma bisogna avere rabbia calda dentro e cervello freddo in ogni istante. Bisogna cancellare definitivamente sia la ricorrente tentazione del rifugiarsi nel “meno peggio”, sia l'autoreferenzialità da “piccolo gruppo”, pessima eredità di altre epoche.

Un movimento di massa politicamente indipendente può e deve raccogliere e coordinare la marea di conflitti esistenti, di straordinaria tensione sociale ma tutti molto isolati; può e deve mettere in campo una proposta di “politica che non mira alla poltrona”, fatta di mobilitazione sociale e orizzonte anticapitalista. Questa la nostra risposta e la nostra scommessa. A partire dalla prima assemblea, a Bologna, l'11 maggio.

No al governo Napolitano Berlusconi! di Giorgio Cremaschi

Alla fine l'hanno fatto. Il governo senza alternative, che deve essere accettato per forza perché così vogliono il Presidente della Repubblica, le parti sociali, l'Europa, la Conferenza Episcopale e tanti altri ancora.

Negli ultimi venti anni PD e PDL, in tutte le differenti versioni, hanno chiesto voti e sostegno nel nome dello scontro tra loro. Chi non stava con il centrodestra era un sostenitore dei comunisti, chi non stava con il centrosinistra era amico di  Berlusconi. Tutte le diversità e i dissensi erano bollati come complici dell'avversario.
Lo stesso avveniva per la grande informazione, o di là o di qua. E lo stesso per la grande borghesia, gli accademici, i grandi burocrati, persino i personaggi dello spettacolo. Ora governano tutti assieme.
Io non credo che sia una emergenza senza precedenti a produrre questo risultato. Al contrario penso  che il governo delle larghe intese sia la naturale conclusione di un processo che ha visto la progressiva omologazione di tutti i contenuti prevalenti della politica, a destra come a sinistra.
Governabilità, mercato, privatizzazioni, flessibilità del lavoro, austerità, rispetto delle alleanze internazionali, sono termini sul cui significato le  differenze tra i due principali schieramenti politici si sono progressivamente affievolite, fino a sparire nell'ultimo anno e mezzo di comune sostegno al governo Monti.
La crisi economica ha solo funzionato da acceleratore di un processo in atto. Eugenio Scalfari  anni fa aveva scritto che un giorno ci sarebbero stati solo liberali di destra e sinistra ad alternarsi alla guida del paese. Ora governano assieme, tra liberali ci si intende.
Ora ci sarà la sagra delle promesse e degli esercizi di buonsenso democristiano. Coniugheremo austerità e crescita, rigore ed equità, rinegozieremo in Europa. Parole che non vogliono dire e non diranno niente. Anche perché tutti gli impegni assunti durante il governo Monti e votati quasi alla unanimità, pareggio di bilancio costituzionale, fiscal compact, tagli sociali sulla base dei dettati della finanza e della Troika europea, tutti quegli impegni funzionano in automatico.
Esattamente come in Grecia, dopo il governo tecnico avremo il governo destra sinistra che ne continua la politica. L'unica differenza è che le parti tra capo del governo e vice sono invertite da noi rispetto agli ellenici.
Un governo con un programma di politica economica di destra, schierato con l'Europa del rigore e con la Nato, un governo che proclama la necessità di restituire potere all'autorità governante e che si propone di cambiare la Costituzione: perché poi un governo così non dovrebbe segnare un successo dello statista Silvio Berlusconi?
Un governo voluto e promosso da un Presidente della Repubblica che negli anni 80 era il dirigente del Pci più vicino a Bettino Craxi e che ha sempre considerato il riformismo come sinonimo della accettazione della globalizzazione capitalista e delle sue leggi. E perché alla fine non dovevano governare assieme, visto che  sulle cose di fondo la pensano allo stesso modo?
L'alternativa a tutto questo si costruisce solo se si parte dalla consapevolezza che ciò che abbiamo di fronte non è un incidente di percorso, ma la logica conclusione di un processo politico e sociale iniziato negli annI 80.
Opporsi significa costruire un progetto sociale e politico che segua una strada totalmente diversa, che rompa con la cultura delle classi dirigenti degli ultimi trenta anni, a partire dalla totale assunzione del mercato capitalista come unico metro di misura della politica.
Ci vuole una vera rottura con la classe dirigente politica e anche con quella di CGIL CISL UIL, che tra breve voterà la fiducia al nuovo governo.

Lo farà nel modo classico del sindacalismo istituzionale, con un accordo sulla rappresentanza che in realtà è un patto corporativo per la competitività e la flessibilità  del lavoro.
Opporsi significa rompere e costruire una alternativa di fondo. Sul lavoro, contro questa Europa, per  lo stato sociale e i beni comuni, per una società che rovesci la dittatura del mercato capitalistico.
Non è più tempo di voci flebili e toni astuti, le opposizioni costruttive trasmettono solo paura e impotenza. È il momento di rompere e dividere per ricostruire.
Questo è un governo destinato a durare per imporre la totale normalizzazione della società italiana rispetto ai canoni del mercato globale.
Questo è il governo che vuole costituzionalizzare la controriforma diffusa di questi decenni. Per un verso è un governo nuovo perché rompe ogni remora e cautela del passato. Per un altro è un governo che nasce già vecchio, perché il suo programma è lo stesso programma liberista che sta distruggendo le conquiste sociali in ogni paese europeo, senza migliorare di un briciolo la condizione della economia.
Per un verso sono molto forti perché sono tutti assieme e con loro hanno tutto il palazzo della cultura dell'informazione. Per un altro però sono debolissimi perché spendono assieme  tutto quello che possono e sanno. Non  hanno paracadute, sono disperati e pericolosi.
Bisogna combatterli e  rovesciarli assieme, solo così si uscirà da un degrado di trenta anni che questo governo sintetizza e rappresenta.
Il futuro democratico dell'Italia sarà determinato dal rigore, dalla coerenza e dalla combattività di chi ha intenzione di opporsi al governo Napolitano Berlusconi.

Usb contro il "patto sulla rappresentanza" tra Cgil, Cisl e Uil

Un capolavoro per eliminare il diritto di sciopero e creare il "sindacato di regime", quelo che dà tutto ai padroni e niente più a chi lavora. Il volantino diffuso stamattina dall'Usb davanti ai "direttivi" unitari dei sindacati complici.
A CHE SERVE VOTARE SE È VIETATO LOTTARE?
BASTA PATTI COI PADRONI!
AI LAVORATORI IL DIRITTO DI DECIDERE!

Angeletti, Bonanni, Camusso e Landini decidono per tutti e decidono di impedire il pluralismo sindacale ma soprattutto che siano i lavoratori con le loro lotte a decidere del proprio futuro.

L’accordo con Confindustria sulla rappresentanza nel settore privato, ma che potrebbe essere esteso pattiziamente anche al pubblico, che oggi verrà sancito nella riunione dei direttivi congiunti è parte del più ampio Patto proposto da Squinzi e raccolto con giubilo da cgil, cisl uil fiom e ugl e che ricalca, in salsa sindacale, l’inciucio che ha portato al “governissimo” di salvezza nazionale di Letta ed Alfano.

L’accordo parte dalla necessità dei padroni e dei sindacati di rendere immediatamente esigibili gli accordi raggiunti, escludendo la possibilità che lavoratori possano mai mettere in discussione quanto concordato a maggioranza tra le parti e se lo fanno attraverso le loro rappresentanze elette queste saranno sanzionate ed espulse dalle RSU.

Se ciò non fosse sufficiente si vuole che chiunque abbia intenzione di partecipare alle RSU debba preventivamente sottoscrivere il patto con Confindustria e quindi accettare preventivamente il divieto di sciopero in caso di dissenso dall’accordo raggiunto a maggioranza.
Come mettere la testa dentro un cappio sapendo bene che qualcuno, prima o poi, tirerà la corda!

Non è la crescita del Paese, come sbandierato, ciò che li induce a ricercare un patto extraparlamentare, ma la paura che siano le lavoratrici e i lavoratori a prendere parola, che decidano loro sugli accordi sindacali e non gli apparati sindacali, che ripartano dai loro diritti prima che dagli interessi d’impresa.
CI VUOLE UNA LEGGE, NON UN ACCORDO IMPOSTO A TUTTI, CHE GARANTISCA:
  • Il diritto dei lavoratori a decidere sugli accordi
  • La libertà di scioperare e lottare senza vincoli
  • Elezioni libere, aziendali e nazionali, senza alcuna forca caudina a cui sottostare per le organizzazioni e i comitati di lavoratori che volessero partecipare
  • L’obbligo di sottoporre ai lavoratori gli accordi prima della sottoscrizione
  • La libertà di organizzazione e di rappresentanza per tutti senza vincoli.
CI VUOLE DEMOCRAZIA NEI LUOGHI DI LAVORO

CI VUOLE IL CONFLITTO PER RIPRENDERE PAROLA

Tutte le balle di Letta sul programma di governo


letta_alfano_se_la_ridono

di Carmine Gazzanni, infiltrato.it

Il governo Letta è nato. Nell’attesa della fiducia anche di Palazzo Madama, il premier ha illustrato il suo programma da sogno, da Paese dei balocchi. Dall’abolizione dell’Imu a quello del finanziamento ai partiti, dalla legge elettorale al taglio dei doppi stipendi fino alla riforma dei partiti. Siamo andati a rispolverare il passato politico degli ultimi anni di Enrico Letta. E a guardarlo (e a ricordare alcune delle sue dichiarazioni di allora e alcuni dei suoi voti in Parlamento) non c’è affatto da aver fiducia. 

Berlusconi è un interlocutore col quale non si può nemmeno prendere un caffè. Con lui non si può fare un patto per l’emergenza del Paese”. No, a parlare non è né Grillo, né Vendola. È proprio lui, il premier Enrico Letta. Era il 12 settembre 2012. E in questo modo rispondeva alla domanda del giornalista se, a detta sua, fosse stato possibile un governissimo Pd-Pdl. Si vede che il Presidente del Consiglio ha cambiato radicalmente idea nel corso dei mesi.
Ed eccolo lì, allora. Seduto accanto al delfino Angelino Alfano mentre legge il suo discorso d’insediamento. Sorrisi, pacche sulle spalle, scambi placidi di battute. Fantastico quando il premier sollecita il taglio dello stipendio da ministro per i componenti del governo che già hanno l’indennità da parlamentari e il vice premier e ministro dell’Interno non si limita solo ad applaudire convintamente, ma addirittura sollecita i colleghi a fare altrettanto. Non contento si gira verso il presidente del Consiglio, che intanto ha apprezzato il gesto riservando ad Alfano una pacca sulle spalle.

LA “CONVENZIONE”, BERLUSCONI E IL CONFLITTO DIMENTICATO (DOPO SOLO DUE MESI) - Amore a prima vista, dunque. Come se i mesi passati di campagna elettorale non ci fossero mai stati. Eppure era solo il 18 febbraio quando ancora Letta dichiarava: “Berlusconi è l’alternativa a noi, ha fatto una campagna elettorale di pessimi contenuti, riproponendo una politica sbracata e poco credibile. È stata impressionante la nettezza con la quale il leader di un partito alleato del Pdl in Europa, il tedesco Schauble della Cdu, ha chiesto agli italiani di non votarlo”. Oggi l’idea del premier è radicalmente diversa, tanto che ha aperto, nel suo discorso programmatico, alla possibilità di una Bicamerale-bis, una Convenzione che avanzi proposte per riforme costituzionali al cui capo, secondo quanto emerso ieri, potrebbe sedere lo stesso Silvio Berlusconi.
Insomma, da nemico giurato ad amico fraterno. Un cambio di prospettiva tanto repentino quanto incoerente. Come non ricordare, ancora, quanto dichiarato da Enrico Letta solo il 21 febbraio riguardo ai conflitti d’interessi di B: “Anche noi abbiamo chiaro da tempo che l’errore fatto negli anni ‘90 e quando abbiamo governato, è stato di non riuscire a fare una buona legge sul conflitto d`interessi e la riforma del sistema radiotelevisivo. E anche se i buoi sono scappati dalla stalla, in questa legislatura bisogna rimediare a tutti i costi”. Avverrà questo? Assolutamente no, vista la squadra di governo. Eppure per Letta il Pd avrebbe dovuto obbligare “Berlusconi a sciogliere i suoi conflitti d’interesse, se si vuole ricandidare”.

enrico_letta_governo_consultazioni_riflessioni_governo_napolitanoSE A PARLARE DI PREFERENZE È IL PREMIER CHE HA EVITATO LE PRIMARIE E SI È CANDIDATO CAPOLISTA IN DUE REGIONI -Bisogna che la legge elettorale sia in grado di garantire governi stabili per restituire legittimità al Parlamento e ai singoli parlamentari”, dice Letta che insiste soprattutto sulla necessità di ripristinare le preferenze. È curioso che a parlare in questo modo sia proprio lui che – è bene precisarlo – è stato letteralmente paracadutato come capolista in due regioni (Marche e Campania) senza aver partecipato alle primarie, ma inserito direttamente dalla segreteria (di cui lui stesso era vicesegretario).

OGGI: RIVEDERE RIFORMA FORNERO; IERI: “LÌ C’È IL CUORE DEL NOSTRO PROGRAMMA” - Altro passaggio importante è quello sulla necessità di rivedere radicalmente la riforma Fornero. “Andranno migliorati gli ammortizzatori sociali – dice Letta - e si potranno studiare forme di reddito minimo per famiglie bisognose con figli”. E ancora: con gli esodati – osserva il premier - la comunità nazionale “ha rotto un patto, va trovata una soluzione strutturale, e' un impegno prioritario di questo governo ristabilirlo”. Peccato però che il pensiero lettiano sull’operato del governo Monti sia sempre stato di tutt’altro avviso. Proprio a partire dalla riforma del lavoro, in merito alla quale il nemico giurato per l’attuale premier era la Cgil piuttosto che l’esecutivo tecnico: “È un testo – diceva allora - che è il frutto di due mesi di serrato negoziato: non si può dire che sia il frutto di un’imposizione. Al 90 per cento è un accordo molto positivo e condivisibile”. Ma Letta si spingeva ancora oltre: “lì c’è il cuore del nostro programma e c’è anche quello che noi non siamo riusciti a fare in questi anni”.

QUANDO LETTA VOTAVA NO ALLA TRASPARENZA DEI BILANCI DEI PARTITI E SI ASTENEVA SUI TAGLI ALLA POLITICA - Ed ecco, ancora, la lunga trafila di promesse riguardo ai tagli dei costi della politica e alla maggiore trasparenza dei conti: dall’abolizione dei doppi stipendi a quella del finanziamento pubblico ai partiti, fino a misure di controllo dei finanziamento ai gruppi. È strano però che lo scorso 24 maggio proprio lui, Enrico Letta, peraltro in disaccordo col suo stesso partito che votava a favore, espresse parere contrario al ddl presentato dal governo Monti proprio su “misure per garantire la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti e dei movimenti politici. Qualcosa non torna, insomma. Così come non torna anche in merito ad un altro voto – questa volta Letta si astenne – espresso il 13 novembre 2012. In quell’occasione il disegno di legge era il numero 5520: “Tagli alla politica e controllo delle spese regionali”. Un cambio repentino. Più veloce della luce.

ABOLIZIONE IMU? BERLUSCONI ERA UN PAZZO. OGGI UN SANT’UOMO - La prima priorità del governo Letta sarà l’abolizione dell’Imu a partire da giugno. Prima piccola osservazione: dove prenderà i due miliardi previsti dalla tassa sull’immobile rimane un mistero. Così come resta arcano il modo in cui il premier riuscirà a reperire ben 20 miliardi necessari per far fronte alle tante promesse avanzate nel discorso programmatico di ieri.
berlusconi_letta_fiduciaMa c’è un altro aspetto da tenere in conto in questa lunga trafila di quelle che al momento sembrano essere una serie di bufale senza capo né coda. Dicevamo dell’Imu. Ormai tutti lo sanno: questo è un punto caro al Pdl. Completamente sconosciuto, invece, in casa Pd. Era d’altronde lo stesso Letta lo scorso 4 febbraio che dichiarava che la proposta di Berlusconi – appunto quella dell’abolizione Imu - “non è credibile” semplicemente “perché la fa Berlusconi. Perché è basata su premesse che non tengono conto della verità. Perché non si poggia sulla possibilità di realizzarla dal punto di vista della solidità politica”. Ora pare, invece, che tutto sia cambiato.
Eppure in quell’intervista Letta parlava di “promesse irrealizzabili per il futuro”, mentre “noi del Pd riteniamo che togliere completamente l’Imu, in questa fase, sia sbagliato. In una stagione nella quale si richiedono tanti sacrifici, riteniamo che chi ha una casa in via Montenapoleone debba pagare l’Imu e chi abita a Quarto Oggiaro no”.
Ora tutto è cambiato. O, meglio, non è cambiato assolutamente nulla. Questo, in definitiva, il Letta-pensiero.


 

 

Il programma di Letta: di tutto, di meno da keynesblog

letta-
Se ieri sullo scranno del Presidente del Consiglio ci fosse stato Angelino Alfano o Silvio Berlusconi, forse qualche voce in più si sarebbe alzata per dichiarare che il discorso tenuto dal premier alle Camere sembra più un libro dei sogni che un programma di governo. Invece su quella poltrona c’era Enrico Letta, sicché anche il Partito Democratico ha applaudito e ringraziato.
Eppure ciò non toglie che buona parte delle linee programmatiche esposte dal capo del governo appaiono, nella migliore delle ipotesi, irrealizzabili, e ove non lo siano annunciano peggioramenti di non poco rilievo. 
Il discorso di Letta si muove tutto all’interno della compatibilità del quadro europeo dato. Un quadro certo in mutazione nelle ultime settimane, con alcuni colpi inferti agli eccessi di austerità da parte dell’ex capo dell’eurogruppo Junker, del presidente della Commissione Barroso, del governo socialista francese, del commissario agli affari sociali László Andor e del presidente del parlamento europeo Martin Schulz. Da qui gli accenni del capo dell’esecutivo italiano alla necessità di puntare sulla crescita e di allentare il rigore. L’Italia però arriva buon ultima mentre l’Europa già pensa ad un’austerità più morbida, che si risolverà in un ritocco cosmetico dell’ormai insostenibile rigore merkeliano.
Dopo un retorico richiamo all’orizzonte degli “Stati Uniti d’Europa”, Letta, lungi dal proporsi come punta di diamante di una svolta nell’Unione, non rinuncia a ribadire i capisaldi dell’ideologia che ha guidato l’azione del governo Monti e in generale quella dei governi dell’eurozona. In primo luogo, per il premier, qualsiasi azione di stimolo all’economia non deve creare maggiore debito pubblico perché esso “grava come una macina sulle generazioni presenti e future”. Ma sulle generazioni presenti e future grava molto di più l’azione messa in campo dal suo predecessore, che pure loda: “il grande sforzo di Monti è stata la premessa della crescita”. Né si capisce come sia possibile stimolare l’economia riducendo la spesa pubblica, come annunciato dal Ministro Saccomanni, visto che le più recenti ricerche confermano il risultato keynesiano secondo il quale il moltiplicatore della spesa pubblica è decisamente maggiore di quello della riduzione delle imposte. Per di più, Letta ha sostenuto che il deficit di bilancio spaventerebbe i mercati, facendo aumentare i tassi di interesse, quando ormai è del tutto evidente che lo spread segue logiche ben differenti e i mercati guardano molto più alla BCE che a Palazzo Chigi.
L’Italia, peraltro, non ha mai avuto un problema immediato di solvibilità, come la stessa Commissione europea ha certificato. Ma con lo spauracchio del default imminente e della crescita dell’ormai famigerato spread, sono state imposte al paese politiche che non favoriscono la crescita né per l’oggi né per il domani, essendo una versione drastica di quelle che il paese ha subito dal 1992 e in particolare nell’ultimo decennio. E nel solco di queste politiche Letta sembra muoversi, quando ad esempio parla di “ridurre le restrizioni ai contratti a termine”, come chiede a gran voce Confindustria. Obiettivo, questo, in palese contraddizione con quello, pure enunciato, di puntare sui contratti a tempo indeterminato.
Il premier assume come priorità la cancellazione dell’IMU sulla prima casa, un caposaldo della propaganda berlusconiana, la cancellazione dell’aumento dell’IVA, ma anche la soluzione del problema esodati. Non è tuttavia dato di sapere dove le risorse verranno reperite, visto l’obbligo di non accumulare ulteriore debito. Il rischio, secondo molti, è che alla fine la soluzione sarà un ulteriore aggravio dell’imposizione fiscale sui redditi.
Infine, nel libro dei sogni governativo, trova anche spazio un’altra misura estremamente costosa: il reddito minimo. Ma nella versione lettiana esso sarebbe limitato alle “famiglie bisognose con figli piccoli”, perdendo qualsiasi carica innovativa di strumento corrisposto su base individuale per favorire l’autodeterminazione dei giovani ed in generale di chi è in cerca di lavoro. Sul reddito minimo si possono nutrire molti dubbi, ma la formula di Letta sembra più l’ennesimo strumento di welfare residuale, piuttosto che una misura universalistica. Nel novero delle proposte c’è anche un’ulteriore estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori precari.
Che quelli di Letta siano poco più che auspici lo dice del resto la matematica. Se il governo dovesse davvero attuare quanto promesso, sommando le varie voci di spesa e i mancati introiti si arriverebbe alla cifra di circa 20-25 miliardi di euro all’anno. Difficili da reperire in pareggio di bilancio senza nuove imposte o tagli ad altre spese.
Insomma, il programma del nuovo governo (“musica per le nostre orecchie”, l’ha definito Alfano), si caratterizza per scarsa ambizione, numerose contraddizioni, nessun numero o copertura, e persino qualche passo indietro, in tema di lavoro, rispetto a quanto realizzato dal governo Monti.

domenica 28 aprile 2013

Già finita la fronda Pd. Civati & co.voretanno la fiducia a Letta


Nessuna pensava che fossero pronti per la rivoluzione, ma che potessero mostrare un brandello di resipiscenza morale - visto anche quanto stava accadendo nella diperata base del loro partito, questo sembrava possibile. Quel tanto che bastava a salvare la faccia prima di arrendersi alle "soverchianti forze nemiche" incaricate dell'inciucio.
E invece niente. Civati, Puppato e gli altri "dissidenti a ore" del Pd hanno deciso che si poteva finirla qui. E rientrare nella maggioranza prima che lo sbrego con la linea "napolitania" diventasse per loro irrecuperabile, troncandone le velleità di carriera.
"Accordiamo la fiducia a questo governo assumendoci le nostre responsabilità di eletti". Così in un documento, i deputati Pd Pippo Civati, Sandro Gozi, Laura Puppato e Sandra Zampa hanno chinato la testolina. Ma come si usa in tutte le chiese, dopo aver manifestato dissenso bisogna mostrare ampia "dissociazione" e volontà di reinserimento. E quindi esprimono anche la "speranza che in questa fase di emergenza democratica, economica, sociale ed europea rinasca l'obbligo morale di rappresentare quel cambiamento di stile e di obiettivi di cui gli italiani sentono un disperato bisogno".

"In questo momento drammatico per il nostro Paese e per la democrazia sentiamo l'obbligo di rappresentare, più di quanto non sia avvenuto nel recente passato, un popolo che soffre e che teme per il proprio futuro. Abbiamo richiamato la necessità che il governo presieduto da Enrico Letta, pur nelle grandissime difficoltà di fare sintesi di linee politiche fortemente diverse, nascesse nuovo, anche nelle figure, e garante dell'unica necessità di individuare soluzioni ai problemi urgenti dell'Italia. È con questo spirito che accordiamo la fiducia a questo governo assumendoci le nostre responsabilità di eletti".

"Non vogliamo creare l'ennesima area organizzata all'interno del Partito Democratico soprattutto perché siamo convinti che le correnti e i gruppi di potere siano stati il principale problema del nostro Partito e della nostra azione parlamentare. Anche ascoltando i nostri elettori e il Paese lavoreremo affinchè il Partito Democratico diventi quello che avevamo promesso e che aveva ridato speranza ed entusiasmo a milioni di italiani".

E per rispettare le promesse elettorali, anche loro adesso si daran da fare per salvaguardare i giaguari.

DA MONTI A LETTA NIPOTE: DA BILDERBERG A BILDERBERG di Patrizia Turchi e Franco Astengo



Pensiamo si possa affermarlo con tranquillità: chi puntava al Monti-bis addirittura ha visto migliorate le proprie aspettative.

Una prima domanda rivolta ai dirigenti del PD: come spiegherete, alle vostre militanti e ai vostri militanti, la formazione di un governo presieduto da un dirigente PD che ha come vicepresidente (e ministro degli Interni) quel segretario del PDL, Angelino Alfano, del quale per mesi si è detto che Berlusconi fosse il suo ventriloquo?

L’annotazione politica più rilevante, in questo frangente, riguarda il fatto che le elezioni è come se non si fossero svolte : gli elettori sono stati truffati due volte, la prima costringendoli a votare con il “Porcellum”, la seconda dall’esito, in termini di governo, stabilito a tavolino, al di fuori da qualsiasi idea di dialettica politica: evidentemente i programmi presentati durante la campagna elettorale e i diversi candidati presentati dai partiti erano intercambiabili al di là degli schieramenti di appartenenza. Chiude bottega, definitivamente, il “bipolarismo all’italiana”, ma non per lasciare il posto (come avrebbe indicato, del resto, il risultato elettorale) a una nuova forma di multipartitismo quanto, piuttosto, a quello che il teorico di Lotta Comunista, Arrigo Cervetto, aveva definito “involucro politico”.

Sarà, probabilmente, un governo di lunga durata: infatti, in programma non c’è soltanto la riforma elettorale (in un senso di ulteriore restringimento dei margini della rappresentanza politica) ma anche quella del bicameralismo ridondante, del numero dei parlamentari, dell’abolizione delle Province: sarà così formata una convenzione per le riforme (come indicato nel documento dei saggi, e della quale Berlusconi, che aspetta la nomina a senatore a vita, aspirerebbe alla presidenza) che lavorerà almeno per un paio d’anni, nel corso dei quali il governo Letta nipote potrà lavorare tranquillamente alla prosecuzione del progetto di macelleria sociale già attuato dal governo Monti.

Dal punto di vista della liste dei ministri in questo momento ci interessa soltanto rimarcare la presenza della guerrafondaia e filoisraeliana Emma Bonino agli Esteri (in questo caso parlare di presenza femminile appare davvero pleonastico).

Come già nell’occasione delle modalità riguardanti la rielezione del Presidente della Repubblica (ci riferiamo alla contrattazione relativa alla “mano libera” al riguardo del nuovo governo) ci pare di poter affermare come i margini della Costituzione, laddove s’indicano i termini di una democrazia parlamentare,  siano ormai ampiamente superati e ci si trovi in una sorta di “protettorato”.

Intanto le finte opposizioni (Lega Nord e SeL,  formazioni presentatesi alle urne all’interno delle maggiori coalizioni, usufruendo così di premio di maggioranza, facilitazione al riguardo della soglia di sbarramento, ecc.) si vedranno assegnate le poltrone presidenziali delle due più importanti commissioni di garanzia, quella del COPASIR e quella Vigilanza RAI: un ulteriore atto di spregio, se accadrà come previsto, della reale dialettica parlamentare.

Oggi come non mai c’è bisogno di opposizione sociale e politica “vera”.

Noi non lasceremo il campo e non lasceremo ad altri l’egemonia del discorso sui contenuti: continueremo a lavorare perché la sinistra d’alternativa, nel solco della sua grande tradizione e del recupero di una capacità d’iniziativa e proposta politica all’interno di una crisi drammatica la cui gestione colpisce direttamente le masse popolari, sia ben presente nel sistema politico italiano, promuovendo lotte, riflessione, cultura.

Governo Letta, né destra, né sinistra: di classe di Francesca Coin, Il Fatto Quotidiano

Lo scorso 25 Febbraio il Corriere della Sera per mano del direttore Ferruccio de Bortoli riassumeva il risultato delle elezioni così: in queste elezioni si è verificato «un voto anti europeo che va preso drammaticamente sul serio e in cui ci sono due grandi sconfitti: Monti e Napolitano». E così, in lode agli elettori, ecco finalmente il governo che tutti desideravano non avere, il Letta-Alfano benedetto da Napolitano, una strana alleanza ove il peggio degli ultimi vent’anni trova rinnovata compattezza nel perseguimento di ciò che nessuno voleva, l’austerità.
Il non-eletto Letta-Alfano ha allontanato quel che rimaneva del Pd da tutti i ministeri importanti: Esteri, Interni, Giustizia, Difesa, Economia, Lavoro, per affidarli alla destra, quasi a umiliare ancora una volta gli elettori Piddini che si ostinano a perdonare. “I contenuti della lettera di Draghi e Trichet rappresentano la base su cui impostare politiche per far uscire l’Italia dalla crisi. Qualunque governo succederà al governo Berlusconi dovrà ripartire dai contenuti di quella lettera”, dichiarava Letta nel 2011. E così, se buoni principi pagano, ecco oggi alla guida del paese un governo saldamente ispirato a quell’idea di austerità che le elezioni hanno bocciato e che, come ricordava Krugman due giorni fa sul New York Times, è non solo socialmente letale ma anche interamente screditata.
Mentre tutto il mondo critica l’errata codifica dei dati nel foglio excel del paper di Reinhart e Rogoff, infatti, e la regola per cui, “i tassi di crescita mediana per i paesi con debito pubblico superiore al 90% del Pil sono all’incirca dell’1% più bassi di una situazione diversa da questa”, il governo Letta sceglie di ispirarsi proprio ai loro errori. Ecco allora il neo-ministro dell’economia Saccomanni, che nel 2011 dichiarava: “le misure di austerity più che causare una recessione, spingeranno la crescita attraverso una riduzione dei tassi di interesse in tutti i settori dell’economia”. E Enrico Giovannini, che qualche giorno fa, ospite a Ballarò, aveva il coraggio di sostenere che “il pareggio strutturale di bilancio è l’unico modo di proteggere il risparmio degli Italiani”stiamo parlando del Presidente dell’Istat, uno che i dati reali li ha.
Si è parlato con scandalo del novello inciucio tra Pd e Pdl, e molte allusioni sono state fatte alla composizione ambigua del M5S. Ma il punto non è solo, in entrambi i casi, la confluenza d’interessi tra destra e sinistra. Il punto è che la sovrapposizione tra destra e sinistra tanto nel Pd-L quanto nel M5S rivela una dirimente diseguaglianza sociale e contrapposizione tra le classi: in un certo senso possiamo dire che Pd-L da un lato e M5S dall’altro riflettono una divisione politica tra creditori e debitori, tra chi fa proprie le finalità del Fiscal Compact e chi vuole l’abolizione di Equitalia, tra chi dall’austerità guadagna e chi non ha che da perderne. L’austerità è la politica dell’1%, scriveva Krugman sul New York Times. E dunque, se anche nessuno (a parte Grillo) ha il coraggio di parlarne, il vero scandalo di questo governo non è solo l’inciucio, è la strumentalità dell’inciucio all’austerità, al solo scopo di difenderla, il clientarismo che connette come un filo rosso l’ossequio al Fiscal Compact e le parole della Finocchiaro: «non so che cosa vogliano questi signori», riferendosi agli elettori. Che cosa ci sia da attendersi, dunque, è chiaro.
Già il mese scorso, il Ministro Giarda aveva prospettato i prossimi interventi relativamente alla spesa pubblica. Si tratta di cifre da capogiro, tagli per 135,6 miliardi di euro per beni e servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni, 24,1 di trasferimenti alle imprese e contributi alla produzione, 13,2 di contributi alle famiglie e alle istituzioni sociali, tutto entro il 2014. Come ammette anche Giovannini, si tratta di interventi a tutti gli effetti negativi, che non lasciano molto scampo all’avvitamento del debito. Gli elettori del Pd continuino, dunque, a disquisire sui pregi e le virtù di ogni ministro animati di vorace speranza, e tentino di discernere se sia meglio questo o quest’altro. Nel frattempo, diceva Warren Buffett, “la guerra di classe esiste e l’abbiamo vinta noi”.

Primo appuntamento con “Verso la società del riciclo” “RICICLARE CONVIENE”


PERUGIA – “Riciclare conviene” questo è quanto emerso all’unisono dal convegno “Riduco, riuso, riciclo” che ha aperto la prima edizione di “Verso la società del riciclo”, promosso da il Coordinamento Regionale Rifiuti Zero dell’Umbria in questo week end al Chiostro dell’ex convento di San Domenico (Corso Cavour – Perugia).
Con i ragazzi dell'ex ITAS Giordano Bruno di Perugia, una tavola rotonda ricca di ospiti esperti dei temi ambientali, coordinati dal giornalista della trasmissione radiofonica “Caterpillar”, Massimo Cirri. “Verso una legge rifiuti zero - questo l’obiettivo perseguito dall’omonimo coordinamento regionale di cui ha parlato Massimo Piras, coordinatore nazionale legge Rifiuti Zero – per una nuova Europa del riciclo, che mira alla totale chiusura di discariche e inceneritori entro il 2020”.
“Riciclare conviene perché ci permette di risparmiare energia, inquinare meno e di conseguenza vivere meglio e più a lungo” – i vantaggi del riuso illustrati tecnicamente da Federico Valerio, chimico ambientale, che in un excursus ha fornito tutti i numeri relativi ai bilanci ambientali, avvalorando la tesi che la legge rifiuti zero non è un’utopia.
Si è parlato anche di “bio-rifiuti”, che secondo Alberto Confalonieri, della Scuola Agraria del Parco di Monza, rappresenta oggi la percentuale maggiore di rifiuto urbano prodotto. Un dato: in Italia nel 2009 sono state trattate 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti organici in circa 300 impianti. Il compostaggio è una tecnica di recupero degli organici che nel nord del nostro paese sta consolidando un primato importante.
Nel panorama del riciclo, si è poi affacciato anche Salvatore Benvenuto, fondatore di "Te lo regalo se vieni a prenderlo", gruppo facebook che ha all’attivo 150 mila utenti in tutta Italia, di cui 2000 in Umbria. Secondo il meccanismo “cerco” e “offro”, l’obiettivo è quello di favorire uno sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed economico) basato sul concetto della gratuità.
L’iniziativa “Verso la società del riciclo” proseguirà anche oggi (ore 10.30) con il convegno dal titolo “Dalla TIA alla TARES, passando per la TARSU”, con l’Assessore all’ambiente del Comune di Capannori (uno dei comuni più ricicloni d’Italia) e Umberto Gianolio, della cooperativa E.R.I.C.A..
Un dibattito che affronterà il tema del costo della gestione dei rifiuti, anche alla luce della nuova TARES, convinti che si possa e debba al più presto procedere all’adozione di una tariffa puntuale, secondo il principio chi più inquina paga. Presenti inoltre numerose associazioni del territorio umbro operanti nel settore del riciclo e del riuso, che metteranno in mostra alcuni progetti legati proprio a questi temi.
Non mancheranno momenti di divertimento sia per grandi che per piccini. Dalle ore 16 alle 18 il Chiostro ospiterà l’iniziativa per bambini “Tondo come il mondo”, per imparare divertendosi. Dalle ore 16 alle 19, Swap Party – Baratto con stile!, una vera e propria festa dello scambio, dove divertirsi a scambiare, barattare tutto ciò che non si usa più o che non si è mai usato! Un’occasione per imparare il valore dello scambio, capire che ogni oggetto può avere nuova vita, che tutto può essere riutilizzato, che tutto può essere scambiato per limitare lo spreco e l'accumulo di rifiuti. Sarà l'oggetto ad essere la moneta di scambio. Oltre a una divertente esperienza di commercio alternativo, lo swap è soprattutto una sensibilizzazione di ognuno all'attenzione al consumo. Oggetto di scambio saranno abiti, accessori uomo/donna/bambino, libri, fumetti, cd e dvd.
“Verso la società del riciclo”  rappresenta per il Coordinamento Regionale Rifiuti Zero, composto da ben 14 associazioni che operano su tutto il territorio umbro, una tappa importante di un cammino unitario verso obiettivi condivisi in materia di gestione dei rifiuti. Tutto ciò in un’ottica di superamento dei campanilismi e delle difese dei singoli territori a favore di una visione complessiva, così come vuole il piano regionale, che già da molti mesi il Coordinamento ha chiesto di adeguare alla normativa europea e alla strategia Rifiuti Zero; una strategia dimostratasi vincente in molte realtà, anche italiane e di cui Alessio Ciacci , assessore all’ambiente del Comune di Capannori porterà una concreta testimonianza.
Di fronte alla sordità delle istituzioni regionali e comunali, il Coordinamento non demorde e con questa manifestazione si propone di riaffermare, “carte alla mano”, che tanto e bene si può fare in una materia che vede l’Umbria ancora molto indietro sul piano della RD e sempre in cima alle classifiche in termini di costi per i cittadini del servizio di gestione dei rifiuti.
In occasione della manifestazione inizierà anche in Umbria la raccolta firma per la proposta di legge di iniziativa popolare “Rifiuti Zero”.

Della Vecchia/Prc: "La proposta di Verini sul Primo Maggio è sbagliata"


La proposta avanzata dall'onorevole Verini di trasformare il Primo Maggio di Perugia in una sorta di union sacrée post-elettorale tra lavoro ed impresa per sostenere il governo Letta è completamente da respingere. Lo è tanto di più perchè per Verini a fondamento di questo nuovo “patto” c'è la crisi, una crisi sociale ed economica le cui origini negli ultimi venti anni, come noto però, non sono state e non sono neutre. Il sistema politico maggioritario, l'avvio della concertazione sindacale con la politica dei redditi e l'adesione all'Europa delle banche hanno messo sotto attacco decenni di conquiste: il lavoro è stato svalorizzato, il mercato finanziario è diventato il vero sovrano al quale i governi hanno obbedito, una generazione vive ormai ben peggio dei propri genitori, l’istruzione e la sanità, oltre che l’acqua e gli altri servizi pubblici, sono stati potentemente privatizzati. In altri termini il "patto" che propone Verini è già stato sperimentato dai lavoratori ed ha avuto nel modello "marchionne" il suo apice con l'aumento della disoccupazione, con la deregolamentazione e la precarizzazione del lavoro. Ecco, riproporre l'idea “veltroniana” che nella società non siano presenti interessi contrastanti non solo è sbagliata, ma non corrisponde al vero.  La modernità nasce proprio quando viene riconosciuto ai lavoratori, come nella Costituzione italiana, di essere portatori di un interesse. 
Con l'avvio del governo Letta, per i contenuti e per i metodi della sua formazione, sono invece evidenti gli ostacoli che impediscono ai lavoratori di essere centrali nell’interesse del nostro paese. Tra questi, quello principale è rappresentato dalla mancanza di democrazia nei luoghi di lavoro, oltre al mantra di una competitività che ha bisogno di un'ulteriore compressione di diritti e salario per consegnare i lavoratori alla precarietà e ad una disoccupazione oramai a livelli record anche in Umbria. Il Primo Maggio ci deve ricordare invece che tra chi lavora per il salario e chi, invece, punta al profitto c’e’ un abisso. Basti pensare che ancora non ci sono le risorse per le casse integrazioni. Per questo serve una chiara e forte opposizione alla continuità del governo Letta con le politiche economiche e sociali di Monti che per i lavoratori hanno significato salari più bassi, meno diritti e democrazia, vergognose riforme pensionistiche. Noi scegliamo di stare da una parte, dalla parte dei lavoratori e nella società dalla parte degli oppressi. A Verini vogliamo ricordare che quando si mette da parte l’esigenza di rappresentare la parte più debole della società vuole dire sostenere quella più forte. Per questo l'unico patto possibile è rispettare gi articoli 1 e 41 della Costituzione.
 
Luciano Della Vecchia
Segretario Regionale Prc Umbria

Non scambiamo le "storie" per la storia di Leonardo Caponi, Umbrialeft.it


PERUGIA -    Non si possono scambiare per Storia, le “storie” come quelle che racconta oggi Eugenio Scalfari nel fondo domenicale di Repubblica, tutto dedicato a magnificare il nuovo governo Napolitano, Letta, Alfano, di cui il quotidiano e la lobby giornalistico finanziaria che lo edita si accingono a diventare sostenitori . Per giustificare l’innaturale alleanza del Pd col Pdl (cioè della “sinistra” con i conservatori) Scalfari cita, come presunti precedenti storici, il sostegno del Pci di Togliatti al governo Badoglio, 1944 e quello del Pci di Berlinguer ad Andreotti, governo di solidarietà nazionale 1976/79.
   E’ vero che siamo, di questi tempi purtroppo, piuttosto abituati a continui “rifacimenti” storici di comodo, funzionali alla politica del momento e sempre, per così dire, a danno di colui che non può più rispondere e cioè il Pci; il Presidente Napolitano ce ne ha recentemente dato un esempio eclatante quando, rinnegando (e non è la prima volta) la sua vicenda politica personale, è arrivato a sostenere che il Pci sbagliò nel dopoguerra a non accettare la Nato!
   Anche Scalari però non scherza: nel caso del sostegno di Togliatti al governo Badoglio, dimentica di ricordare alcuni piccoli particolari di differenza: e cioè che, nel ’44, c’era una guerra ancora in corso e dagli esiti ancora incerti, un Paese distrutto e stremato che non ne poteva più del conflitto e, piccolo dettaglio, una occupazione militare americana e alleata del territorio nazionale che, certo, non avrebbe consentito, realisticamente, grande libertà di movimento ai comunisti del tempo, per quanto gloriosi protagonisti della Resistenza.
   Quanto al governo di solidarietà nazionale, che fu non poco contrastato da una parte del Pci, quella ingraiana e quella internazionalista, c’è da ricordare come lo stesso Pci ne uscì con le ossa rotte, perdendo alle successive elezioni più del 3% dei voti (che all’epoca era quasi una catastrofe), tant’è che la sconfitta suggerì un anno dopo, allo stesso Berlinguer un radicale mutamento di politica, passando dal “compromesso storico” all’”alternativa democratica”. E, in ogni caso, anche a voler entrare in un’ottica giustificativa di quella scelta, non si può non ricordare come essa fu motivata dalle gravissime tensioni politiche e sociali degli “anni di piombo” e dei rischi di involuzione autoritaria della democrazia italiana (si ricorderà che Moro fu rapito poche ore prima del voto di fiducia al governo).
   Comunque le si giudichi, si tratta di vicende politiche attinenti ad altre epoche, che non possono essere mescolate con le miserie politiche di oggi. E’, per certi versi, ripugnante la pretesa di mettere sulle spalle di grandi personalità della storia comunista la inconcludenza del ceto politico attuale della “sinistra”, ambizioso e confuso, che non fa l’unica cosa che dovrebbe fare e cioè combattere le politiche  liberiste. Ed è incredibile questa faccia tosta intellettuale di Scalfari (ma anche di molti altri come lui nel centro sinistra) che, dopo aver fatto del superamento del Pci e del comunismo la missione della loro vita, pretendono di ritirarlo fuori solo quando serve.