Che bello, diranno gli ingenui, finalmente c'è la democrazia sindacale. Bè, non è proprio così. Il
direttivo nazionale della CGIL ha dato via libera, con la sola
opposizione della Rete 28 aprile, alla stipula del patto sulla
rappresentanza.
L'accordo che si prefigura si basa sullo scambio tra diritto alla
rappresentanza e esigibilità degli accordi. Che vuol dire in concreto?
Facciamo un esempio.
Nel 2010 alla Fiat di Pomigliano Sergio Marchionne impose una accordo
gravemente lesivo delle condizioni e delle libertà dei lavoratori. Quel
patto fu accettato dalla maggioranza delle organizzazioni sindacali,
delle rsu e dei lavoratori con un referendum. La FIOM comunque rifiutò
quello che definì giustamente un ricatto, non accettò il pronunciamento
maggioritario e si mise a contestare l'accordo per via sindacale e
legale; e per questo fu esclusa dalla rappresentanza sindacale in Fiat e
i suoi iscritti discriminati sul lavoro.
Con il nuovo accordo sulla rappresentanza tutto questo non succederà più.
La parola magica è esigibilità, termine del più puro sindacalese che
oggi significa che chi vuol sedersi al tavolo della rappresentanza con
i padroni deve preventivamente assicurare loro che cosa fatta capo ha.
Si azzera il sistema esistente e si riparte da capo. Ai tavoli dei
contratti nazionali partecipano solo le organizzazioni che rappresentano
più del 5% degli iscritti. A quelli dei contratti aziendali le rsu e i
loro sindacati. L'accordo è valido quando la maggioranza dei sindacati o
delle rsu lo sottoscrive. La consultazione dei lavoratori, non
obbligatoria ma auspicata, può esprimere il suo giudizio finale. Ma
cosa c'è allora che non va? L'esigibilità.
Per accedere a questo sistema si deve infatti sottoscrivere prima la rinuncia a contestare gli accordi che non si condividono.
Se in un contratto nazionale o aziendale si aumenta l'orario di
lavoro, si abbassano le qualifiche, si toglie ai lavoratori il diritto
ad ammalarsi, e se la maggioranza dei rappresentanti sindacali e dei
lavoratori accetta, la minoranza non può più opporsi. Non può fare
sciopero, non può andare in tribunale, non può neanche tutelare quei
lavoratori che non ci stanno. Altrimenti è fuori.
Questo il succo, CGIL CISL UIL firmano con la Confindustria e così
impegnano tutte le proprie organizzazioni e i propri delegati a
rispettare il principio della esigibilità. Chi non ci sta è fuori. E gli
altri sindacati? Se non ci stanno sono fuori e per starci, lo ripeto,
devono preventivamente firmare che accetteranno qualunque accordo.
Ovunque ci sia una lotta o un ribellione vera allo sfruttamento, il
sindacato dev'essere preventivamente esigibile. Già oggi succede, perché
le lotte sindacali più importanti e partecipate della Lombardia,
Trenord e S.Raffaele, vedono CGIL CISL UIL ostili ed estranee, come
accade alla lotta dei lavoratori migranti della logistica e a tanti
altri.
Però il problema degli accordi separati è superato. Tutti gli accordi
sono preventivamente unitari perché non esiste più il diritto a non
firmare ciò che non piace. Si supera il problema del dissenso
cancellando il diritto a dissentire. Come la Fornero che ha superato la
divisione tra chi è o non è tutelato dall'articolo 18, togliendo
l'articolo 18 a tutti.
Questo accordo costituisce un esproprio di quella tanto auspicata
legge sulla rappresentanza, che avrebbe dovuto finalmente garantire ai
lavoratori il diritto alla democrazia sindacale, mentre invece realizza
una privatizzazione corporativa di questo loro diritto.
Del resto questo è ciò che le "parti sociali" ricercano su un piano ben più ampio.
I gruppi dirigenti di CGIL, CISL e Confindustria hanno visto travolti
dalle elezioni i rispettivi progetti politici. Le presidenziali, con la
catastrofe del PD, hanno scatenato l'angoscia tra i quadri della CGIL,
i cui più anziani hanno già vissuto la crisi del PCI e la distruzione
del PSI.
Quindi la spinta ad affermare: che c'entriamo noi con la crisi
politica noi siamo il sindacato, è fortissima. E sarebbe anche una buona
cosa se fosse il segno di una volontà di rinnovare le pratiche della
rappresentanza e del conflitto sociale. Ma CGIL CISL UIL escono da venti
anni di concertazione, di moderatismo rivendicativo, di
istituzionalizzazione. Tutta la struttura è stata selezionata da queste
basi. Come si fa a cambiare?
Così ci si aggrappa ad una Confindustria anch'essa colpita da crisi
di rappresentanza ed efficacia. E si rilancia il patto corporativo tra i
produttori, che oggi più che mai è prima di tutto una patto di
sopravvivenza tra grandi burocrazie in crisi.
Così, mentre tutti i riflettori dell'informazione sono concentrati
sul governissimo di Giorgio Napolitano, CGIL CISL UIL e Confindustria
stanno definendo il governissimo sindacale.
La CGIL aderisce al patto sulla rappresentanza con il concorso
determinante di Maurizio Landini. Senza il suo apporto la segreteria di
Susanna Camusso non avrebbe avuto oggi la forza politica di andare
avanti. Perché?
Si sprecano le analisi di retroscena.
Ma questi dietro le quinte hanno però il difetto di nascondere la
scena principale. Maurizio Landini ha dato speranza e coraggio al mondo
del lavoro, acquisendo fama e prestigio, con il no a Pomigliano, non
firmando un accordo accettato dalla maggioranza dei sindacati e dei
lavoratori. Ora quel no diventa un si attraverso l'accettazione della
esigibilità. Maurizio Landini ha il dovere di spiegare questo
ribaltamento della sua posizione e di quella della FIOM, senza
sotterfugi, senza inutili sprechi di retorica.
In ogni caso contro questo accordo che normalizza e centralizza
autoritariamente tutte le relazioni sindacali, bisognerà lottare. Tutte
le forze e le esperienze sindacali che non ci stanno debbono organizzare
la disobbedienza, il contrasto, la crisi del patto corporativo sulla
rappresentanza.
Un regime sindacale degli esigibili, quando su tutti pesano i danni e
i ricatti della disoccupazione di massa, è un altro macigno che
precipita sul mondo del lavoro, bisogna reagire subito.
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