PERUGIA - Non si possono scambiare per Storia, le
“storie” come quelle che racconta oggi Eugenio Scalfari nel fondo
domenicale di Repubblica, tutto dedicato a magnificare il nuovo governo
Napolitano, Letta, Alfano, di cui il quotidiano e la lobby giornalistico
finanziaria che lo edita si accingono a diventare sostenitori . Per
giustificare l’innaturale alleanza del Pd col Pdl (cioè della “sinistra”
con i conservatori) Scalfari cita, come presunti precedenti storici, il
sostegno del Pci di Togliatti al governo Badoglio, 1944 e quello del
Pci di Berlinguer ad Andreotti, governo di solidarietà nazionale
1976/79.
E’ vero che siamo, di questi tempi purtroppo, piuttosto abituati a
continui “rifacimenti” storici di comodo, funzionali alla politica del
momento e sempre, per così dire, a danno di colui che non può più
rispondere e cioè il Pci; il Presidente Napolitano ce ne ha recentemente
dato un esempio eclatante quando, rinnegando (e non è la prima volta)
la sua vicenda politica personale, è arrivato a sostenere che il Pci
sbagliò nel dopoguerra a non accettare la Nato!
Anche Scalari però non scherza: nel caso del sostegno di Togliatti
al governo Badoglio, dimentica di ricordare alcuni piccoli particolari
di differenza: e cioè che, nel ’44, c’era una guerra ancora in corso e
dagli esiti ancora incerti, un Paese distrutto e stremato che non ne
poteva più del conflitto e, piccolo dettaglio, una occupazione militare
americana e alleata del territorio nazionale che, certo, non avrebbe
consentito, realisticamente, grande libertà di movimento ai comunisti
del tempo, per quanto gloriosi protagonisti della Resistenza.
Quanto al governo di solidarietà nazionale, che fu non poco
contrastato da una parte del Pci, quella ingraiana e quella
internazionalista, c’è da ricordare come lo stesso Pci ne uscì con le
ossa rotte, perdendo alle successive elezioni più del 3% dei voti (che
all’epoca era quasi una catastrofe), tant’è che la sconfitta suggerì un
anno dopo, allo stesso Berlinguer un radicale mutamento di politica,
passando dal “compromesso storico” all’”alternativa democratica”. E, in
ogni caso, anche a voler entrare in un’ottica giustificativa di quella
scelta, non si può non ricordare come essa fu motivata dalle gravissime
tensioni politiche e sociali degli “anni di piombo” e dei rischi di
involuzione autoritaria della democrazia italiana (si ricorderà che Moro
fu rapito poche ore prima del voto di fiducia al governo).
Comunque le si giudichi, si tratta di vicende politiche attinenti
ad altre epoche, che non possono essere mescolate con le miserie
politiche di oggi. E’, per certi versi, ripugnante la pretesa di mettere
sulle spalle di grandi personalità della storia comunista la
inconcludenza del ceto politico attuale della “sinistra”, ambizioso e
confuso, che non fa l’unica cosa che dovrebbe fare e cioè combattere le
politiche liberiste. Ed è incredibile questa faccia tosta intellettuale
di Scalfari (ma anche di molti altri come lui nel centro sinistra) che,
dopo aver fatto del superamento del Pci e del comunismo la missione
della loro vita, pretendono di ritirarlo fuori solo quando serve.
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