Molti commentatori hanno sottolineato l’alto tasso di democristianità
del discorso di Enrico Letta: un discorso ecumenico che parlava ai
diversi partiti della sua maggioranza. L’esposizione vellutata del
presidente del Consiglio non è però priva di sostanza e la sostanza è
molto dura: Il governo Letta si presenta come il fedele esecutore delle
direttive europee sull’austerità, quelle direttive che stanno
pesantemente aggravando la crisi. Letta ha detto in tutta chiarezza che
la stella polare è l’impegno a ridurre il Debito e la pressione fiscale,
cosa che porta con se con ogni evidenza ulteriori privatizzazioni e
ulteriori tagli del welfare. Parallelamente non si è sentita una parola
contro il Fiscal Compact o sulla redistribuzione del reddito. La
continuità con Monti su questo è totale. Gli impegni con l’Europa sul
terreno dell’austerità sono invece stati ribaditi in forma perentoria,
priva di ambiguità. Non solo: l’austerità è diventata la cornice al cui
interno sono stati collocati anche gli accenni allo sviluppo, accenni
che non hanno riscontri in impegni precisi. Così come non è stato fatto
alcun accenno a dove recuperare la decina di miliardi necessari per
realizzare le promesse contenute nel discorso (soluzione del problema
degli esodati, rifinanziamento Cig in deroga, abolizione IMU su prima
casa, non aumento dell’IVA). Un discorso quindi totalmente interno allo
schema neoliberista di Monti in cui la differenza di accenti segna il
passaggio da un governo tecnico a uno politico, non una differenza di
contenuti.
Da questo punto di vista la vera notizia del discorso odierno è il
patto di legislatura tra le forze politiche che compongono il governo,
un patto costituente che cerca di espungere l’alternativa economica e
sociale dall’ambito della politica italiana. Il programma esposto da
Letta non è quello di un governo a termine. Vi è un ambizioso progetto
di stabilizzazione moderata che riguarda le istituzioni, l’economia e la
politica. Se il governo Monti è stato un governo Costituente, quello
Letta prosegue quella strada facendo della collaborazione politica tra
PD e PDL un fatto strutturale per la restaurazione della Seconda
Repubblica. Letta prende atto del crollo della seconda repubblica e
invece che aprire ad una modifica di politiche economiche e sociali si
pone l’obiettivo di cambiare la forma per mantenere la sostanza. Se la
Seconda repubblica è crollata sotto le sguaiate ruberie di molti, la
promessa della moralità è la strada scelta da Letta per poter proseguire
in termini più efficaci le politiche neoliberiste. L’obiettivo di Letta
è la costruzione di un più efficace governo del capitale che fa
dell’unità nazionale la forza legittimante. Quella di Letta è quindi a
tutti gli effetti una operazione reazionaria, restauratrice, che fa i
conti con la crisi del sistema per cercare di ricostruire in modo più
efficace un blocco politico e sociale moderato. Che questa operazione
venga guidata da uomini espressione del PD (da Napolitano e Letta) la
dice lunga su cosa è concretamente quel partito. Il PD ha certo
contraddizioni ma è organicamente protagonista dei processi di
ristrutturazione capitalistica che avvengono nella crisi. Da questo
punto di vista l’ambiguità del centro sinistra è definitivamente
tramontata. O si sta dentro l’orizzonte tracciato da Letta o si lavora a
costruire una sinistra in opposizione a questo quadro politico e
istituzionale. Per questo noi proponiamo un processo di aggregazione di
tutta la sinistra di opposizione che faccia i conti fino in fondo con il
fatto che il centro sinistra semplicemente non esiste più. Non è oggi
il tempo per i tatticismi, è tempo che tutte le forze che fanno
opposizione da sinistra si uniscano per costruire un movimento di massa
contro il governo Letta e le sue politiche. Per questo noi operiamo
affinché la manifestazione indetta dalla Fiom per il 18 maggio prossimo
abbia una piena riuscita e sia solo il primo appuntamento di una lunga
serie.
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