Partiamo da una convinzione: la nostra discussione dopo la sconfitta
sulla ridefinizione e il rilancio del progetto della rifondazione
comunista e del Prc difficilmente avrà un esito positivo se si
auto-recinterà in una conta interna nel gruppo dirigente, in una
discussione autistica e autoreferenziale in cui le diverse proposte
politiche si esimano dal confronto con la realtà.
Pensiamo, cioè, che
una fase di riflessione e di approfondimento sia necessaria, ma che
possa vivere soltanto se si radica nella prassi, in una prassi
quotidiana di costruzione di movimento e conflitto, di ricomposizione e
costruzione del blocco sociale, di trasformazione del senso comune.
Insomma, la discussione su cosa significhi essere di sinistra ed essere
comuniste/i oggi, e dunque su quale sia la funzione del nostro partito
in questa fase, non può trovare, a nostro avviso, una risposta
storicamente efficace se ci riduciamo nella condizione, culturalmente
subalterna, di tifosi dell’ormai mitico big bang del Pd, di supporter di
una eventuale leadership Barca (che non risulta abbia fatto autocritica
per la sua partecipazione al Governo Monti né che abbia dato segni di
incompatibilità, anzi, col progetto renziano).
Parimenti, risulta del
tutto astratta un discussione sull’unità della sinistra “a sinistra del
Pd” che prescinda da “piccoli particolari”, ad esempio dalla volontà
politica di Sel (il tanto evocato interlocutore) di entrare nel Pse e di
“rimescolarsi” col Pd stesso, emersa nell’assemblea nazionale.
Pensiamo,
in altre parole, che il superamento di una logica resistenziale
coincida nei fatti con il superamento di uno stato d’animo
“ex-parlamentare” e della parametrazione della nostra efficacia politica
esclusivamente sul terreno elettorale. E che la riattivazione di una
logica progettuale implichi un dispiegamento nella costruzione del
conflitto e nella connessione di soggettività politiche e sociali
disperse. Di questa necessità c’è una consapevolezza diffusa nel
partito, in quelle migliaia di militanti che hanno resistito a una
sconfitta durissima e ogni giorno continuano a costruire mobilitazioni
nei territori. E che sono presenti in ogni lotta, ma forse oggi come non
mai vivono la preoccupazione per uno scollamento tra l’iniziativa
politica quotidiana e la istruzione di una discussione nel partito, la
mancanza di una prospettiva di reazione alla sconfitta.
La Direzione
nazionale dello scorso 10 aprile, pur nella negatività di una divisione
del gruppo dirigente, ha però offerto un elemento di prospettiva, che
condividiamo profondamente: la necessità di avviare un processo unitario
a sinistra sulla “base della costruzione di una piattaforma
antiliberista, che si connoti per l’autonomia e l’alterità dal
centrosinistra, per l’esplicito collegamento con tutto il sindacalismo
di classe e i movimenti di trasformazione, per il riferimento in Europa
alla sinistra europea”; che questo processo “non avvenga in modo
pattizio”, ma “sulla base del principio una testa un voto” e che “le
forze organizzate, locali e nazionali, che scelgano di attivarsi per il
processo unitario senza sciogliersi, si impegnino a non esercitare
vincoli di mandato ed a garantire la libera scelta individuale
nell’adesione al nuovo soggetto politico da parte dei propri iscritti e
iscritte”. È anche nella condivisione profonda dei contenuti della
proposta della direzione nazionale che abbiamo scelto di sottoscrivere
“la dichiarazione comune per un movimento politico anticapitalista e
libertario”. Vi è, a noi pare, un’oggettiva convergenza di fondo tra la
dichiarazione comune e la proposta della direzione. E lavoreremo
affinché dalla dichiarazione comune si apra un processo aperto, si
costruiscano connessioni con altri luoghi di discussione, da Alba a
Cambiare si può, si attivino assemblee territoriali.
Nella convinzione
che in questa fase, fare sinistra e fare società coincidano e che per
non ritrovarsi di nuovo avvitati nel dibattito sul rapporto col centro
sinistra (ambiguità che ha segnato la vita e la morte della Fds) occorra
costruire su una base solida. A meno che non si voglia far vivere il
comunismo come tendenza culturale di una sinistra senza aggettivi (eh
sì… a volte ritornano, anche se gli interpreti del leitmotiv sono
mutati), questo percorso di connessione a sinistra non può che essere
fondato sul presupposto dell’incompatibilità con le politiche liberiste
gestite di concerto dai socialisti e dai conservatori europei e della
riattivazione di un conflitto sociale che ricomponga condizioni e
coscienze. Abbiamo, dunque, contribuito a dare vita alla dichiarazione
comune proprio perché, oltre che attivisti politici e sociali, siamo
dirigenti di Rifondazione comunista e abbiamo il dovere della proposta.
Sentiamo la responsabilità di offrire alla nostra discussione e
iniziativa politica una prospettiva su cui confrontarci e lavorare,
anche per contrastare ogni ipotesi di scioglimento o dissoluzione del
Prc.
Alfio Nicotra,
Eleonora Forenza,
Fabio Amato,
Francesco Piobbichi,
Giovanni Russo Spena
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