sabato 20 aprile 2013

La triste ma prevedibile fine del Pd: si dimettono Bindi e Bersani di Claudio Conti, Contropiano.org

La "crisi della politica" italiana è ora squadernata davanti agli occhi di tutti. E' finita l'epoca del "meno peggio" e degli assemblaggi senza un'idea o un progetto di società.

La bocciatura anche di Romano Prodi costituisce il punto di non ritorno dell'implosione di un partito mai nato, senza anima, senza porogetto e senza idee. Un puro assemblaggio di correnti, interessi diversi, ambizioni personali, ma incapace di trovare una "quadra" purchessia.
I "grandi elettori" del Pd avevano votato all'unanimità - nella loro riunione interna - il nome del due volte ex premier, l'unico che avesse "battuto due volte Berlusconi" alle elezioni. Niente da fare: oltre 100 di questi figuri ignobili ha votato, nel segreto dell'urna, in modo diverso. Gente che non ha la dignità di dire come la pensa davvero nemmeno in una riunione tra complici, figuriamoci quanto possano essere attendibili le loro dichiarazioni in pubblico, in tv.

Quel che a noi sembra doveroso sottolineare è che "l'unico partito rimasto" sulla scena italiana era diventato anche l'unico luogo dove le diverse soluzioni per far fronte alla crisi si trovavano a confronto armato. Nel Pd ci sono infatti gli euroliberisti duri alla Renzi (gli stessi che seguivano Ichino prima della sua trasmigrazione con Monti), i fiancheggiatori della Cgil (altra organizzazione che deve prepararsi all'esplosione interna), i terminali delle cooperative tosco-emiliane, gli "amministrativisti" che hanno rinunciato a ogni visione di medio periodo e si accontentano di sopravvivere alla giornata, ecc.
Gente che oscilla dunque tra la tentazione di "spazzare via" i residui di pre-modernità capitalistica (gli interessi rappresentati dal blocco sociale berlusconiano) e "il realismo" del compromesso con quegli stessi interessi; gente che si candida a tradurre in leggi le indicazioni della Troika e altra che vorrebbe "ridiscuterne" alcuni termini, gente che vorrebbe "moralizzare la vita pubblica" e altra che si è fin troppo assestata in quello stile di vita che "er Batman" ha portato agli onori delle cronache.
Questo melmoso insieme non ha progetto né nocchiero. Alla fin fine riusciranno anche a trovare un nome per la presidenza della Repubblica che ce la faccia a raggiungere i 504 voti necessari, Ma l'orizzonte del Pd finisce qui. Dopo ci sarà qualcos'altro, necessariamente.

Questa constatazione ha però una conseguenza ancora più interessante, ai nostri occhi. Rappresenta infatti la fine di ogni "contiguità" possibile tra "progressismi" di differente tonalità, e quindi anche la fine del "menopeggismo" come strategia politica.
Vediamo di chiarire.
Da quando sono "morte le ideologie" (un'ideologia come le altre, ma vincente sul piano dell'ordinario "buon senso") a sinistra si è scelto un comportamento politico presuntamente "realista" per cui - in caso di elezioni, quindi una volta ogni due o tre annni - ci si aggregava o divideva in base ad accordi tra forze politiche teoricamente "abbastanza vicine" da poter essere accostate in un  "cartello elettorale". Il principio guida era un altro presupposto senza fondamento: che un partito "progressista" (ce ne sono stati di ogni sfumatura possibile) fosse - per quanto differente - comunque "meno peggio" di uno centrista o addirittura di destra.
La cosa sembrava sensata (nessuno poteva intrupparsi dietro un Berlusconi, naturalmente), ma implicava una rinuncia preliminare alle proprie posizioni politiche. La vicenda di Rifondazione Comunista nelle varie tornate elettorali (con Ulivo e senza, con l'Arcobaleno o con Ingroia) ci sembra sufficientemente esplicativa.
Il "bipolarismo coatto convergente al centro", imposto da leggi elettorali pensate a tavolino per raggiungere questo fine, ha certamente reso "ovvio" un comportamento politico talmente suicida che - alla fine, cioè ora - costringe tanta gente a scervellarsi se la soluzione "meno peggio" possa essere Bersani o Renzi, Vendola o Grillo, Prodi o Pirimpelli... Senza più rendersi neppure conto che tutti questi "nomi" rappresentano pseudo-soluzioni, stracci agitati davanti ad occhi resi furenti per il costo della crisi che ci stanno facendo pagare. Non stiamo dicendo che gli scontri interni al questo sottomondo politico siano "finti", una semplice recita per i telespettatori. Anzi, questi scontri esistono e sono tanto più viuolenti - e ingovernabili - quanto più manca una "logica generale" (l'"interesse generale del paese" sempre evocato nelle dichiarazioni pubbliche). Uno scontro tra bande per assumere il ruolo più "remunerativo" possibile. Ma, chiunque vinca, eseguirà fedelmente gli ordini che vengono dalla Ue e dintorni. Stiamo dicendo dunque che si tratta di scontri sull'inessenziale, non sulla direzione da imprimere al paese.

Significa che non ci sono più "apparentamenti" possibili tra forze alternative al sistema e "progressisti" interni al sistema. Esiste infatti una discriminante che va diventando giorno dopo giorno una faglia tettonica: il rapporto con questa Unione Europea e le sue indicazioni di politica economica.
Muoversi all'interno del panorama politico presente significa accettarne i confini, quelli disegnati dalla Troika. Muoversi in autonomia - sociale e politica - significa all'opposto costruire il movimento politico di massa capace di spazzar via questa melma e dar vita a un modello di società che consenta a tutti di vivere dignitosamente. Con qualche picco di ricchezza in meno, ma senza abissi di disperazione quali quelli che cominciamo a vedere ogni giorno.

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