Anche Romano Prodi è fuori. La furia autolesionista del Pd e l’incapacità del suo ex segretario Pierluigi Bersani rendono sempre più vicino l’inciucio. Tanto che l’accordo con il Pdl di Silvio Berlusconi viene ora apertamente invocato dai dalemiani. “La candidatura di Stefano Rodotà spacca il Paese” dice Nicola Latorre che chiede di scegliere per il Quirinale una personalità da votare con il centro-destra.
In un’intervista a Sky
il braccio destro di Massimo D’Alema ne disegna pure il ritratto. Non
fa nomi, ma l’immagine da lui dipinta assomiglia molto a quella di Giuliano Amato, il dottor sottile di Bettino Craxi. Non è un caso, anche se, quando gli chiedono di D’Alema al Colle, La Torre glissa con eleganza.
Pure Matteo Renzi è sulla stessa linea.
Dopo aver incontrato nei giorni scorsi pubblicamente D’Alema (e in
segreto Amato), il sindaco di Firenze su Facebook considera: “Il
Quirinale richiede per definizione una persona esperta e competente.
Lasciatevelo dire da rottamatore, il Quirinale non si trova il candidato “nuovo”. Il Presidente della Repubblica deve avere caratura internazionale e senso dello stato”.
L’operazione
“bruciate il professore”, per marciare (o marcire) nell’immediato verso
le luminose grandi intese, ha avuto successo. Ora si passa alla fase
due. Non appena verrà scelto un Presidente condiviso (solo con il Pdl) partirà un governo. Un esecutivo che tenterà di seguire il programma dei supposti saggi dei Giorgio Napolitano
su giudici, stampa e contro-riforme istituzionali. Tutto questo mentre
Renzi proverà a prendersi in mano il partito o ciò che ne resta.
Il piano è perfetto e in fase avanzata. Ma ci sono ancora da risolvere alcuni problemi. Il 60 per cento e passa degli elettori italiani che l’accordo con l’anziano leader del centro-destra non lo vogliono. I moltissimi parlamentari del Pd che nel cambiamento credono davvero.
I militanti, gli iscritti e i simpatizzanti democratici che in queste
ore esprimono sempre più chiaramente la loro volontà per un Rodotà
presidente. Una scelta che immediatamente dopo “aprirà praterie”,
garantiscono i 5 stelle, alla nascita di un governo senza Pdl.
Per questo il molto probabile inciucio non è ancora scontato. Stefano Rodotà è sempre più stimato e conosciuto dai cittadini. A ogni votazione resta costantemente sopra i 200 voti e per farlo arrivare al Colle ne servono altri 300, due terzi dei grandi elettori democratici. Tanti, ma non troppi per un partito in cui ci muove in ordine sparso.
Per spingerli a fare ciò che il buon senso e la decenza imporrebbe servono due cose. La voce pacifica, ma insistente, dei cittadini e la vendetta servita calda del Professore. Un pubblico invito del cattolico Prodi a votare il laico Rodotà.
Un intervento che dimostri come il Paese, nelle sue grandi vere anime,
non sia affatto spaccato. E che marchi per sempre la differenza tra uno
sconfitto statista e i suoi politicanti sicari.
Ne avrà il coraggio? Non lo sappiamo. Ma ci piace tanto sperarlo.
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