In due giorni di seguito, due gloriosi fondatori del Pd, Marini e
Prodi, sono stati, ingloriosamente, affondati dai membri di quello
stesso partito. E' finito così ufficialmente il Partito democratico.
Le dimissioni del segretario Bersani, e quelle della Bindi, la
rinuncia di Prodi a un altro voto per il Quirinale, gli avvertimenti
velenosi, le maledizioni reciproche, il caos insomma seguito alla Quarta
Chiamata, sono solo una anticipazione di quel che accadrà nei prossimi
giorni e mesi. Inevitabilmente, la morte di Angelo Rovati, quel Rovati
grande grosso e sempre ottimista che ha operato per anni come
guardaspalle e Angelo custode di Prodi, è apparsa come il segno finale
di un'epoca. La resa anche dell'ultima guardia del Re.
Ora, lo sappiamo, ci si infilerà tutti - destra e sinistra, militanti
e giornalisti - nel solito tunnel della ricerca delle responsabilità, e
della trame. Restroscena, spinning, manipolazioni abbonderanno, nel
tentativo di recuperare un po' di torto o un po' di ragioni dal
disastro, come si fa sui luoghi degli incidenti per ritrovare il senso
di quello che si è perso. Si darà colpa al complotto di D'Alema, alla
doppiezza di Vendola, alla incapacità di Bersani, alla vendetta dei
Popolari, l'inadeguatezza di Renzi.
Ma nessuna delle discussioni o degli scoop che si faranno cambierà la
sostanza di quello che è successo: gli odi, i vecchi conti aperti, i
sospetti reciproci, le distanze culturali, hanno prevalso su qualunque
altra ragione di coesione che un partito dovrebbe coltivare. Non
foss'altro quella della propria sopravvivenza. Non parliamo nemmeno
della salute del paese.
Una così profonda divisione nasce da anni di frizioni, e da distanze
incolmabili. La rottura era lì, lo sapevamo, ma sempre negata.
Preferendo uno stato di finzione e procastrinazione, che però si è rotto
non appena il Pd è arrivato al guado che non poteva aggirare, alla
unica scelta che non poteva non fare - indicare un uomo che
rappresentasse tutti.
Forse dunque è andata bene così. Forse è meglio prendere atto di quel
che esiste, piuttosto che continuare ad illudersi. E perdere non solo
la propria voglia di cambiare il mondo, ma anche ogni sfida elettorale.
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