Mentre i vertici di Pd e Pdl cercano accordi di governo, attivisti
del Pd in tutto il paese occupano sedi del loro partito, si
autoconvocano, bruciano le loro tessere in pubblico o le restituiscono
in privato. Se certamente l’oscenità di un governo del bunga-bunga a
guida pidina è (o sarebbe?) circostanza storicamente unica, non è invece
la prima volta che si formano, dentro e attorno a partiti di
centro-sinistra, movimenti di opposizione a quelli che vengono
considerati da chi protesta come compromessi indecenti, perché
snaturanti rispetto a una identità sentita come collettiva.
Gli effetti di questi movimenti sono stati diversi, a seconda della
loro forza nella base del partito così come della presenza di potenziali
alleati ai vertici. Se talvolta quei partiti si sono infatti rinnovati,
aprendosi alle domande dal basso, in altri casi c’è stata invece una
chiusura, con almeno due effetti disgreganti: abbandono da parte degli
attivisti delusi e declino in termini elettorali.
La perdita degli attivisti – spesso considerati con fastidio dai
vertici – ha in genere conseguenze nefaste per l’organizzazione,
abbassando le barriere rispetto alle motivazioni opportunistiche di chi
entra in politica per migliorare la propria condizione economica, e
allontanando invece quelli che vedono nella politica un bene comune. Il
caso che meglio illustra l’implosione del partito senza più attivisti è
quello del Psi. La decisione di partecipare, nel 1963, al primo governo
di centro-sinistra porterà, l’anno successivo, all’uscita dell’ala,
minoritaria ai vertici, ma fortemente attiva, che fonderà il Partito
Socialista di Unità Proletaria. Al declino elettorale (dal 20% del
dopoguerra, il Psi si dimezzerà in termini elettorali), seguirà una
profonda degenerazione del partito stesso, frammentato in protettorati
di politici rampanti, in un contesto di corruzione sempre più diffusa,
che minerà l’identità di sinistra del partito, fino alla sua scomparsa a
seguito degli scandali emersi nel 1992. Come nel caso del Psi italiano,
anche in quello del greco Pasok, il Partito socialista panellenico, lo
spostamento a destra, fino al sostegno a un governo di grande
coalizione, si è intrecciato a un crollo elettorale di dimensioni
drammatiche. Un partito che aveva il 47% dei voti negli anni novanta
raggiungerà appena il 12% nelle elezioni del 2012, passando da primo a
terzo partito nel paese, mentre a competere con la destra resta la
Coalizione della sinistra radicale, Syriza, che riuscirà ad occupare lo
spazio abbandonato a sinistra dal Pasok.
Psiup e Syriza sono interessanti illustrazioni delle potenzialità in
termini di politica elettorale che l’implosione dei partiti di
centro-sinistra può aprire alla sinistra. Il Psiup ha rappresentato un
onesto tentativo di difendere un’identità socialista di sinistra, con
aperture ai movimenti che si svilupparono alla fine degli anni sessanta.
Non a caso, il partito guadagnerà sostegno elettorale da quelle
proteste, raggiungendo quasi il 5% alle elezioni politiche del 1968. La
struttura organizzativa del partito rimarrà comunque ancorata a un
centralismo democratico che ne limiterà la capacità di attrazione per
gli attivisti dei movimenti, che nel frattempo sperimentano forme
organizzative più decentrate e partecipate. Dopo l’insuccesso elettorale
del 1972, il partito si dividerà infatti tra adesioni al Pci e
allontanamenti dalla politica partitica verso quella dei movimenti.
Molto diversa sembra invece l’evoluzione di Syriza che, nata nella
tradizione della sinistra radicale, si trasformerà profondamente dal
punto di vista organizzativo, riprendendo dal movimento degli indignados
istanze di orizzontalità, pluralità e inclusione dal basso. Il 27%
degli elettori greci voterà Syriza nelle seconde elezioni del 2012
(erano stati solo il 4,6% nel 2009), premiando non solo una coerente
opposizione alle politiche di austerity, ma anche una
trasformazione nelle forme e nei modi del far politica del partito, che
lo porterà ad aprirsi ben al di là della tradizionale base dei partiti
della sinistra radicale. Se è difficile dire in che misura il modello
organizzativo proposto da Syriza sia applicabile al caso italiano,
certamente le opportunità che il prevedibile declino elettorale del
centro-sinistra, compromesso col Caimano, aprono a un’opposizione
di sinistra non potranno essere colte senza una profonda trasformazione
nella concezione stessa della politica.
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