Dal cilindro di Bersani, dopo la figuraccia con Marini, esce il nome di Romano Prodi. Una garanzia per l'Europa, uno sguardo ammiccante per i grillini, una campana a morto per Berlusconi
Al termine della peggiore giornata della sua carriera da segretario Pd, Pierluigi Bersani prova ad uscire dall'angolo buio in cui s'era cacciato sfornando il nome del nuovo candidato alla presidenza della Repubblica: Romano Prodi.
E' tardi per togliersi di dosso l'immagine del Dottor Tentenna, che prima offre a Berlusconi la possibilità di scegliere - tra i nomi del proprio partito - quello che poteva dargli più "garanzie", e poi non riesce a tenere la barra dritta in mezzo alla tempesta che sta sbrecciando il suo partito. Non è tardi per portare al Quirinale un uomo "d'area", peraltro indicato come papabile anche dalle squinternate consultazioni online condotte dal Movimento Cinque Stelle (incredibile che si possa spacciare per "scelte fatte dalla Rete" l'opinione di appena 40.000 "autorizzati").
Diciamo che qui le sparate sul "cambiamento" c'entrano come i cavoli a merenda. La partita che si sta giocando è su chi gestirà - avendo sette anni di tempo - le modificazioni istituzionali per disegnare una "terza repubblica" decisamente diversa dalle prime due.
E' un fatto che il presidente della Repubblica è ormai un protagonista attivo della politica italiana, non più quel quasi silente "garante della ostituzione" che la Carta disegna. Un'esuberanza di ruolo che Cossiga aveva forse immaginato, ma che Napolitano ha reso di solare potenza. Ha infatti defenestrato in 48 ore - in straordinaria sintonia temporale con l'"andamento dei mercati" - un premier-jokerman ormai impresentabile sul piano internazionale, nominato senatore a vita un ex commissario Ue casualmente direttore europeo della Trilateral e membro del Bilderberg, elevandolo il giorno dopo agli onori della presidenza del Consiglio assegnandogli una maggioranza quasi bulgara fatta da sfrattati dal governo ed ex opposizione. Un passo oltre sarebbe stato qualificato come golpe.
Il prossimo presidente, insomma, dovrà aiutare a ridisegnare gli assetti di potere. Ma in quale direzione?
Diciamola semplice. Franco Marini era il candidato utile a ricucire l'eterno tric e trac tra gruppi di potere "nazionali", la difesa a oltranza di un "sistema" opaco, rinchiuso, incapace di tenuta - altro che "sviluppo" - nel nuovo mondo in crisi. Una scelta conservatrice in senso classico, apertamente contraddittoria con il "nuovo corso" imposto dall'Europa e dalla Troika. Un suicidio, per un partito che invece su questa linea aveva accettato "sacrifici" mortali per la propria stessa base elettorale, ma in nome della "moralizzazione", della pulizia, del "prima il paese", ecc.
Anche Stefano Rodotà, a suo modo, era una scelta "conservativa", ma di tutt'altra natura. Qui la "conservazione" avrebbe riguardato lo "spirito della Costituzione nata dalla resistenza", con aperture istituzionali - tutte da identificare, costruire, legiferare - verso le "istanze dal basso". Nulla di democratico-estremista, ma una "permeabilità" istituzionale a interessi diversi da quelli soliti e dominanti. Nel pieno della crisi e delle ricette della Troika, qualcosa di incompatibile, sia pure per piccole questioni.
Prodi, al contrario, rappresenta esattamente la "garanzia di fronte all'Europa". Non solo perché è stato Commissario europeo prima di Barroso. La sua azione amministrativa o di governo è un campionario di politiche coerenti con lo smantellamento del "modello sociale europeo". Da presidente dell'Iri ha chiuso con la storia dell'intervento diretto dello Stato nella struttura produttiva, privatizzando tutto quel che c'era e regalando ai pavidi imprenditori italiani l'occasione di incamerare plusvalenze con vari "spezzatini" di quel che un tempo erano le Partecipazioni statali (con dentro cose insensate come le fabbriche di panettoni, ma anche - e soprattutto - la spina dorsale dell'industria e della ricerca italiane). E' l'uomo che ha fatto passare il "pacchetto Treu", prima devastante falla nella diga delle garanzie del lavoro dipendente. E' l'uomo che ha reso legale quel che prima era classificato tra le forme di lavoro nero, illegale, semiclandestino. E' l'uomo che ha bloccato per sempre i salari monetari mentre l'inflazione galoppava.
E' l'uomo giusto per fare dell'Italia quel che la Troika vuole, dunque.
Il suo unico elemento "positivo", quello che lo rende molto più popolare di chiunque altro il Pd potesse proporre, è il rappresentare una dichiarazione di guerra verso il blocco di interessi economico-mafiosi inchiavardato nello schieramento di Berlusconi. Con Prodi al Quirinale, il ridisegno della Terza Repubblica sarà (o sarebbe?) un ridimensionamento drastico del'influenza di quei poteri sulle scelte di governo.
Non per ideologia, non in "difesa della democrazia". Semplicemente, succhiano troppe risorse e vanno "tagliati". Non proprio quanto i redditi da lavoro, ma quasi.
E quindi: la gente che festeggerà l'eventuale ascesa di Prodi sarà la stessa che aveva brindato alla caduta del Cavaliere, benedicendo l'ascesa di Monti. Come un anno e mezzo fa, si accorgeranno solo in ritardo di non aver capito un cazzo. Per la milionesima volta.
Se poi - come sembra - lo farà votare anche Grillo, allora sarà finito anche il suo "effetto rinnovamento"...
Al termine della peggiore giornata della sua carriera da segretario Pd, Pierluigi Bersani prova ad uscire dall'angolo buio in cui s'era cacciato sfornando il nome del nuovo candidato alla presidenza della Repubblica: Romano Prodi.
E' tardi per togliersi di dosso l'immagine del Dottor Tentenna, che prima offre a Berlusconi la possibilità di scegliere - tra i nomi del proprio partito - quello che poteva dargli più "garanzie", e poi non riesce a tenere la barra dritta in mezzo alla tempesta che sta sbrecciando il suo partito. Non è tardi per portare al Quirinale un uomo "d'area", peraltro indicato come papabile anche dalle squinternate consultazioni online condotte dal Movimento Cinque Stelle (incredibile che si possa spacciare per "scelte fatte dalla Rete" l'opinione di appena 40.000 "autorizzati").
Diciamo che qui le sparate sul "cambiamento" c'entrano come i cavoli a merenda. La partita che si sta giocando è su chi gestirà - avendo sette anni di tempo - le modificazioni istituzionali per disegnare una "terza repubblica" decisamente diversa dalle prime due.
E' un fatto che il presidente della Repubblica è ormai un protagonista attivo della politica italiana, non più quel quasi silente "garante della ostituzione" che la Carta disegna. Un'esuberanza di ruolo che Cossiga aveva forse immaginato, ma che Napolitano ha reso di solare potenza. Ha infatti defenestrato in 48 ore - in straordinaria sintonia temporale con l'"andamento dei mercati" - un premier-jokerman ormai impresentabile sul piano internazionale, nominato senatore a vita un ex commissario Ue casualmente direttore europeo della Trilateral e membro del Bilderberg, elevandolo il giorno dopo agli onori della presidenza del Consiglio assegnandogli una maggioranza quasi bulgara fatta da sfrattati dal governo ed ex opposizione. Un passo oltre sarebbe stato qualificato come golpe.
Il prossimo presidente, insomma, dovrà aiutare a ridisegnare gli assetti di potere. Ma in quale direzione?
Diciamola semplice. Franco Marini era il candidato utile a ricucire l'eterno tric e trac tra gruppi di potere "nazionali", la difesa a oltranza di un "sistema" opaco, rinchiuso, incapace di tenuta - altro che "sviluppo" - nel nuovo mondo in crisi. Una scelta conservatrice in senso classico, apertamente contraddittoria con il "nuovo corso" imposto dall'Europa e dalla Troika. Un suicidio, per un partito che invece su questa linea aveva accettato "sacrifici" mortali per la propria stessa base elettorale, ma in nome della "moralizzazione", della pulizia, del "prima il paese", ecc.
Anche Stefano Rodotà, a suo modo, era una scelta "conservativa", ma di tutt'altra natura. Qui la "conservazione" avrebbe riguardato lo "spirito della Costituzione nata dalla resistenza", con aperture istituzionali - tutte da identificare, costruire, legiferare - verso le "istanze dal basso". Nulla di democratico-estremista, ma una "permeabilità" istituzionale a interessi diversi da quelli soliti e dominanti. Nel pieno della crisi e delle ricette della Troika, qualcosa di incompatibile, sia pure per piccole questioni.
Prodi, al contrario, rappresenta esattamente la "garanzia di fronte all'Europa". Non solo perché è stato Commissario europeo prima di Barroso. La sua azione amministrativa o di governo è un campionario di politiche coerenti con lo smantellamento del "modello sociale europeo". Da presidente dell'Iri ha chiuso con la storia dell'intervento diretto dello Stato nella struttura produttiva, privatizzando tutto quel che c'era e regalando ai pavidi imprenditori italiani l'occasione di incamerare plusvalenze con vari "spezzatini" di quel che un tempo erano le Partecipazioni statali (con dentro cose insensate come le fabbriche di panettoni, ma anche - e soprattutto - la spina dorsale dell'industria e della ricerca italiane). E' l'uomo che ha fatto passare il "pacchetto Treu", prima devastante falla nella diga delle garanzie del lavoro dipendente. E' l'uomo che ha reso legale quel che prima era classificato tra le forme di lavoro nero, illegale, semiclandestino. E' l'uomo che ha bloccato per sempre i salari monetari mentre l'inflazione galoppava.
E' l'uomo giusto per fare dell'Italia quel che la Troika vuole, dunque.
Il suo unico elemento "positivo", quello che lo rende molto più popolare di chiunque altro il Pd potesse proporre, è il rappresentare una dichiarazione di guerra verso il blocco di interessi economico-mafiosi inchiavardato nello schieramento di Berlusconi. Con Prodi al Quirinale, il ridisegno della Terza Repubblica sarà (o sarebbe?) un ridimensionamento drastico del'influenza di quei poteri sulle scelte di governo.
Non per ideologia, non in "difesa della democrazia". Semplicemente, succhiano troppe risorse e vanno "tagliati". Non proprio quanto i redditi da lavoro, ma quasi.
E quindi: la gente che festeggerà l'eventuale ascesa di Prodi sarà la stessa che aveva brindato alla caduta del Cavaliere, benedicendo l'ascesa di Monti. Come un anno e mezzo fa, si accorgeranno solo in ritardo di non aver capito un cazzo. Per la milionesima volta.
Se poi - come sembra - lo farà votare anche Grillo, allora sarà finito anche il suo "effetto rinnovamento"...
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