mercoledì 24 aprile 2013

Lezioni friulane


«I friulani sono scappati dalla politica»


 


«I friulani sono scappati dalla politica»
Luca Fazio - Il Manifesto

«Se contiamo anche le schede bianche e quelle nulle, più della metà dei cittadini ha voltato le spalle a questa politica».
Maurizio Pessato, vicepresidente dell’istituto di ricerche SWG con sede a Trieste, questa volta gioca in casa. Perché oltre ad essere esperto di dinamiche della politica e della società è anche friulano, triestino per la precisione. Al di là delle statistiche, non esita a definire «straordinario» l’esito del voto che ha premiato Debora Serracchiani in Friuli Venezia Giulia. «Per l’astensione record, perché di fatto non si può proprio dire che il centrosinistra abbia vinto queste elezioni».
L’affluenza alle regionali però è sempre stata più bassa delle politiche.
Questo fattore incide anche qui, ma in Friuli ha votato solamente il 50% degli aventi diritto. La metà. Anzi, se calcoliamo anche le schede bianche e le nulle, siamo sotto la metà, un fatto inedito tanto più da queste parti.
Perché tanto più?
Perché il Friuli è una regione «ordinata» che ha sempre votato molto, con percentuali sopra la media del nord Italia. E poi è una regione a statuto speciale, ci tiene molto alla sua autonomia e poi la popolazione di quest’area ha sempre avuto un buon rapporto con le istituzioni. Per questo in Friuli un’astensione così pronunciata è davvero una sorpresa, un segnale enorme che dice quanto sia cresciuto il distacco dai partiti e dalle istituzioni. Mi viene da pensare che se si votasse in questo momento in altre aree del paese – penso al meridione – la partecipazione precipiterebbe al 30%.
Lei come si spiega questa fuga dal voto?
C’è una sorta di qualunquismo temperato, quelli che dicono «tanto uno vale l’altro», ma c’è soprattutto una contingenza politica straordinaria: i due mesi dopo le elezioni sono stati tremendi. C’è qualcuno che ancora non si rende conto cosa significa far scappare la metà dei friulani, la politica sta giocando col fuoco.
Quindi il centrosinistra, con la vittoria di Debora Serracchiani, ha poco da festeggiare.
La Serracchiani ha vinto ma di un soffio e solo perché ha preso molti più voti della sua lista, circa il 30% in più quando solitamente il candidato raccoglie circa il 15% di consensi in più rispetto ai suoi partiti di riferimento. Di fatto, se guardiamo ai partiti, il centrodestra ha preso più voti – mentre alle scorse politiche i due schieramenti erano sostanzialmente in parità. Serracchiani è una figura che si discosta dal classico cliché del politico professionista, mentre Tondo era il presidente uscente e quindi un candidato più usurato, e nonostante questo stiamo parlando di una vittoria per una manciata di voti. Quindi per il centrosinistra c’è poco da stare allegri.
Il movimento di Grillo però è calato di molto.
Il calo secco del Movimento 5 Stelle rispetto a due mesi fa – dal 27,7% al 19,2% – dimostra ancora una volta che Beppe Grillo riesce a scaricare la tensione più a livello nazionale che locale. La stesso fenomeno si è verificato anche alle elezioni regionali lombarde e laziali. Ma in Friuli Venezia Giulia la differenza è stata ancora più netta, significa che buona parte dell’elettorato non ha premiato l’atteggiamento di Grillo, troppo roccioso e intransigente. Gli elettori più impazienti, diciamo pure riformisti, avrebbero voluto risultati immediati e un atteggiamento più dialogante. Forse recupereranno nei prossimi mesi, con un governo che lascerà campo libero all’unica opposizione, almeno così potrebbero percepirla gli elettori.
L’astensione straordinaria è una campana che sta suonando anche per il centrodestra?
L’astensionismo sicuramente ha penalizzato anche Pdl e Lega ma in misura minore. Anche questo è un segnale che rimanda alla contingenza politica, nazionale e non solo friulana. Del resto lo dicono anche i sondaggi più recenti, è evidente che oggi l’opinione pubblica decodifica la situazione politica in un modo preciso: la maggioranza in questo momento pensa che lo stallo e l’incapacità di governare il paese non sia colpa del centrodestra.

Cadono i 5Stelle, l’astensione fa boom


Cadono i 5Stelle, l'astensione fa boom

di Fabrizio Tonello - Il Manifesto

Beppe Grillo dovrebbe sbrigarsi a fare qualcosa con i suoi parlamentari, se non vuole ritrovarsi con consensi dimezzati alle prossime elezioni, che certo non saranno fra 5 anni. Questo ci dicono i numeri del Friuli, più significativi di quanto si possa normalmente ricavare da un’elezione regionale: a un’attenta lettura prefigurano uno scenario inquietante per i 5Stelle. Il punto di partenza sono quei 196.218 voti (27,2%) ottenuti il 25 febbraio scorso nella circoscrizione Friuli. Quei voti, lunedì, sono diventati 103.133 (19,21%), ovvero si sono dimezzati in cifra assoluta.
Dove sono andati? L’affluenza alle urne alle politiche è stata del 77,2%, alle regionali del 50,5%, un dato mai raggiunto in Italia. In meno di due mesi, l’astensionismo è cresciuto di quasi il 27%, cioè più di un cittadino su tre fra quelli che avevano votato il 24-25 febbraio, stavolta si è astenuto. Questo massiccio rifiuto del voto (a cui va sommato un numero consistente di schede bianche e nulle) ci dice che si tratta di un astensionismo di protesta, non di semplice disaffezione.
E l’astensione ha colpito il M5S: mentre il suo candidato Saverio Galluccio perdeva 93.000 voti rispetto a due mesi fa, Debora Serracchiani, la candidata Pd, ha guadagnato 13.000 voti rispetto a quelli ottenuti da Bersani in febbraio. E Renzo Tondo, il presidente uscente della Regione, ha guadagnato 8.000 voti rispetto alle politiche. Quindi l’elettorato di Pd e Pdl sostanzialmente ha tenuto, nonostante tutto quello che è successo negli ultimi dieci giorni (Serracchiani ha commentato che se non ci fossero state le votazioni per la presidenza della Repubblica il centrodestra in Friuli sarebbe stato «asfaltato»). I due partiti maggiori hanno probabilmente beneficiato della scomparsa della lista Monti (92.000 suffragi alle politiche) ma anche molti di questi elettori si sono rifugiati nell’astensione.
Grillo non ha trascurato il Friuli: al contrario, mentre a Roma si votava per il presidente lui faceva comizi in tutta la regione. Se lo Tsunami tour stavolta è fallito ci devono essere ragioni politiche. Queste ragioni politiche sembra logico identificarle nelle occasioni perdute dal M5S in questi due mesi: prima ha sprecato l’occasione di indicare un proprio candidato premier accettabile anche per il Pd e un programma minimo condiviso che potesse creare un governo in tempi rapidi con Berlusconi e Monti all’opposizione. Poi ha lasciato che il Pd sprofondasse nelle sue contraddizioni (facilmente prevedibili) rinunciando all’occasione di votare per Romano Prodi nella votazione in cui sarebbe stato possibile eleggerlo. Un presidente odiato da Berlusoni e contrario agli inciuci non sarebbe stato un risultato apprezzabile? Continuando a votare per la rispettabilissima candidatura di bandiera di Rodotà, il M5S ha ottenuto ciò che voleva dimostrare sin dall’inizio, che tutta la «casta» voleva il governissimo, ma il prezzo di questo risultato è stato di apparire ai cittadini del tutto ininfluente.
Quanto meno in Friuli, questa linea di rifiuto del «far politica» è stata giudicata negativamente dagli elettori e non c’è molto da riflettere sul perché: una parte rilevante del consenso alle politiche veniva da elettori delusi dalla sinistra ma anche dalla destra, cittadini che volevano che si facesse qualcosa subito, che si mettesse un termine alla disastrosa esperienza del governo Monti. Era una richiesta urgente, un appello di chi non ce la fa più: i tempi della società non sono i tempi della politica. Questi elettori, se non ci fosse stato Grillo, si sarebbero divisi in varie direzioni: alcuni avrebbero votato per il «meno peggio» ma la maggioranza avrebbe disertato le urne o stracciato la scheda. Grillo ha svolto alle politiche una funzione utile e meritoria offrendo loro una ragione per votare ma sta sprecando le occasioni di dimostrare che quel voto ha avuto un senso. Forse dovrebbe riflettere su quanto fatto fin qui.


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