lunedì 14 dicembre 2015

Molti scricchiolii nel nascente soggetto unitario della sinistra. di Gianluigi Pegolo

Confesso che, leggendo le cronache del fallimento dell’ultima riunione del soggetto unitario della sinistra in formazione, mi hanno colpito gli innumerevoli paradossi che accompagnano la vicenda, ma che ai più sfuggono, e forse anche giustamente, dato che questo esperimento è sempre più distante dai problemi concreti del paese.
Dunque, in questa riunione SEL e i suoi alleati hanno posto la questione dello scioglimento definitivo delle forze che faranno parte del nuovo soggetto. In sostanza, hanno detto: basta agli attuali partiti, ne vogliamo uno tutto nuovo e, conseguentemente, non esistono doppi tesseramenti possibili, chi sta con la nuova “cosa rossa” si iscrive a questa e basta. Bellissimo! A un marziano che per sua sventura capitasse nel nostro paese e si mettesse a seguire le vicende (assai poco edificanti) di questa sinistra malconcia e spappolata, potrebbe anche apparire un discorso coerente, ma le cose sono un po’ diverse e al povero marziano mancherebbero purtroppo molti elementi di conoscenza della situazione.
Cominciamo dai promotori di questa proposta “radicale”. A quanto pare, si tratta di SEL e dei fuoriusciti di recente dal PD (a esclusione di Civati). Ma non si tratta degli stessi che qualche settimana fa, scavalcando le altre forze, praticamente si erano autoproclamati i fondatori del nuovo soggetto? E questo nonostante avessero prima firmato insieme con gli altri una carta d’intenti? E non sono gli stessi che nell’assemblea promossa, addirittura avevano lanciato il nome del nuovo soggetto (Sinistra italiana)? E, ancora, non sono loro che hanno attribuito al nuovo soggetto in formazione un gruppo parlamentare costituito dai loro stessi esponenti? Dunque, quelli che pretendono che tutti si sciolgano in nome di uno spirito autenticamente unitario sono gli stessi che in quanto a spirito unitario hanno molto da imparare.
Non sorge il dubbio che in realtà questi signori, in forza della loro visibilità mediatica, della disponibilità del gruppo parlamentare, della rete di amministratori di cui dispongono, vogliano azzerare le differenze semplicemente perché contano di egemonizzare a proprio favore il soggetto nascente (che oltretutto loro stessi hanno lanciato)? A me pare che di questo si tratti, non vi vedo nulla di nobile in certe posizioni, solo un desiderio esplicito di impossessarsi compiutamente del nuovo soggetto, senza incontrare alcuna resistenza nei momenti in cui si dovrà decidere.
A questo primo punto ne aggiungerei un altro, decisivo. Perché tutta quest’ansia di sciogliere tutto e dar vita addirittura (pensateci bene!) a un nuovo partito? Il minimo che ci si può attendere quando si vuole costruire un soggetto unitario è che questo abbia cominciato a dare qualche segno di sé. Ma qui siamo di fronte a una situazione del tutto diversa, perché il nuovo soggetto è un soggetto di carta, costruito cioè a partire da poche righe di vaghi intenti Un soggetto che non ha messo in piedi una (dico una!) iniziativa unitaria contro le iniziative nefaste del governo (dal job act, alle misure sulle pensioni, alla controriforma della scuola, allo stravolgimento della Costituzione, al taglio della spesa sanitaria, ecc. ecc.). Non ha una piattaforma comune, a meno che non si consideri tale lo straccetto di proposta messa in campo per giustificare l’avvio del processo e poi regolarmente bypassata – come si è detto – da alcune forze.
Ma c’è di più. Non ha un minimo di linea unitaria neppure sul terreno delle alleanze e dell’individuazione degli avversari. Vi pare possibile che con tutto quello che succede nel paese, con l’avversione crescente della gente di sinistra o semplicemente democratica, alle politiche di Renzi, si vada alle prossime elezioni amministrative, dove si voterà in grandi città, da Milano, a Roma, a Bologna, a Torino, a Cagliari, ecc., senza un’indicazione sulle alleanze? Che sia chiaro: non stiamo parlando di piccoli comuni di 1000 abitanti, ma di grandi città! E vi pare naturale che in questa situazione tre sindaci, più o meno vicini a SEL, prendano l’iniziativa di chiedere una continuità del centro sinistra, assumendo come riferimento quel PD che sta dando una pessima prova di sé come forza di governo? E non è forse vero che la stessa SEL non ha fatto mistero di considerare le alleanze con il PD possibili e praticabili?
Non appare allora del tutto paradossale che anziché chiarirsi sulla linea e definire un progetto comune e promuovere iniziative di opposizione visibile nel paese, oggi qualcuno ponga il problema di sciogliere tutto e praticamente fare un partito. Non siamo al limite del ridicolo? E poi, per fare cosa e su quali basi? Il minimo che si dovrebbe dire è che, invece, proprio perché questa è la situazione, queste sono le differenze e questo è il livello unitario di maturazione del processo, bisognerebbe procedere con buon senso, cominciando con il definire una piattaforma di opposizione chiara e con scadenze, definire un accordo elettorale per le amministrative con alcune proposte e che dica con chiarezza che anche a questo livello bisogna dare un segnale di alternatività al PD, altrimenti nessun elettore capirebbe più nulla. Dovrebbe essere logico che in una fase simile quello che importa sono i contenuti e che anzi le soluzioni organizzative dovrebbero essere assunte con molta prudenza, semplicemente perché i livelli di unità reali sono modestissimi, tenendo quindi conto delle diversità, anziché puntare ad azzerarle, quasi per magia.
Ma tant’è. E’ ormai chiaro che la partita del nuovo soggetto politico è una partita truccata. Sono in gioco almeno due linee: una favorevole alla ricostruzione del centro sinistra e un’alternativa. L’unico elemento unificante è quello di cercare di ottenere dei rappresentanti prima nelle elezioni amministrative e poi in quelle politiche. E naturalmente non si risparmiano i colpi bassi per prevalere gli uni sugli altri. Tutto questo ha a che fare con il bisogno oggettivo di una sinistra che non c’è? Secondo me assai poco. Tutto questo risponde alla domanda di quanti vogliono il rinnovamento e una maggiore credibilità di questa sinistra? La risposta è decisamente negativa. Siamo alle solite manfrine di ceti politici che manovrano, in primo luogo, per perpetuarsi. Se qualcuno si prendesse la briga di leggere ogni tanto i sondaggi elettorali, per quanto possano essere discutibili e mai certissimi, vi leggerebbe – ormai da alcune settimane – un misero 3,5% attribuito a Sinistra italiana. Insomma, più o meno i sondaggi attribuiti a SEL. Questo non dovrebbe essere almeno considerato un campanello d’allarme?
Al mio partito, Rifondazione Comunista, ho un’unica cosa da rimproverare (e mi riferisco non agli iscritti fin troppo generosi, ma al suo gruppo dirigente ristretto) di aver assecondato questo processo senza capire quale sia la grande domanda di cambiamento, non solo sociale, ma anche nelle forme del fare politica, che viene dalla società. Oggi il PRC si trova insieme a pochi altri, sotto l’offensiva di alcuni dei partners, bramosi di potere e, come spesso avviene, con la complicità più o meno esplicita di alcuni organi di stampa. Il minimo che si può dire è che sarebbe stato necessario aver scelto con più accuratezza i compagni di viaggio e che occorreva il coraggio di distinguersi, recuperando la giusta autonomia e un vero protagonismo politico.

8 commenti:

  1. Ottima riflessione. Ho bisogno di comunicare con te compagno. Sono Rolando Dubini del PRC di Milano.

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