Sarebbe bastata una rimozione meno eclatante di qualche decennio di
pensiero femminista sulla necessità di svelare le mistificazioni del
neutro, di nominare le differenze, di mettere al centro i corpi sessuati
e parlare a partire da sé e dalla propria parzialità, per sconsigliare
«ai ragazzi» di autoproclamare un appello non firmato come una «proposta
credibile» per «la sinistra di tutti». Un testo «non proprietario» il
cui lancio pubblicitario è avvenuto però alla stessa ora, con messaggi
sponsorizzati (non aprirò questioni di stile: sono old-fashioned), sulle
pagine Facebook di autorevoli (e meno autorevoli) dirigenti di Act e
Sinistra Italiana.
Per la verità, sarebbe bastata anche un
vaga reminiscenza delle pagine del barbuto di Treviri sulla falsa
neutralità del citoyen (quella vecchia storia della società divisa
in classi) per evitare quel «di tutti», che suona, nel suo furore
interclassista, così subalterno al cittadinismo grillino, all’ «uno vale
uno», ll’incontriamoci e decidiamo in rete che prospettiva abbiamo
sull’Europa, se poi andiamo coi Verdi o con Farage.
E, ancora più semplicemente, sarebbe
bastata la lettura di qualche opuscolo sull’altro consumo, su
etichettatura e tracciabilità, per evitare di pensare che qualcuno
compri un prodotto di cui non si dice l’origine solo perché è
pubblicizzato all’ora giusta (il giorno dopo le elezioni spagnole) e
messo in una confezione accattivante.
Provando a dare un nome alle cose (ve li
ricordate, il nome e la cosa?), Sel, che già dalla scorsa estate
discute del proprio autoscioglimento e ha investito persone e risorse
sul progetto di una piattaforma digitale («non proprietaria», ma di
fatto volutamente tenuta fuori dalla discussione comune del “tavolo”
unitario, dopo un seminario a Cecina dello scorso settembre), ha deciso
con il movimento di Fassina di fondare un nuovo partito, che ha già un
gruppo parlamentare, Sinistra Italiana. Per brevità (solo per brevità)
chiameremo questa cosa Piattaforma Digitale della Sinistra, Pds 2.0. I
Pds 2.0 concordano, quindi, di sostenere un testo di Act che parla di
partecipazione. Concordano la data. Sulla città e la sala faranno
sapere. Insomma, venite. Casa nostra, il Pds 2.0, è aperto. Speriamo non
pensino ad aprire anche il televoto per risolvere la competizione sul
leder tra i giovani maschi in campo.
Ma il Pds 2.0 è il contrario di una
sinistra di tutti anche perché volutamente non unitario. Nasce sulla
rimozione del documento sottoscritto da tutti (compresi gli anonimi
estensori dell’appello) Noi ci siamo, che, pur coi suoi limiti (a
partire dal suo carattere monosessuato), convocava un appuntamento
unitario a metà gennaio. Su questo appello aveva lavorato molto l’Altra
Europa, proprio nella direzione unitaria. Evidentemente però, dopo la
fondazione di Sinistra Italiana il terreno unitario è diventato un
inciampo alla fondazione di un nuovo partito (basti vedere le recenti
dichiarazioni di Vendola a Repubblica).
Si dirà, ma è un appuntamento (al buio)
aperto: aperto a chi è alternativo al Pd e a chi vuole sostenere Sala
(come dice una giovane assessora milanese di Sel), a chi vuole stare nel
Gue e a chi non vuole uscire dai Socialisti, a chi ha votato il
pareggio di bilancio in Costituzione e a chi si accinge alla campagna
referendaria.
Su tutte queste quisquiglie, come la
prospettiva europea e l’alternatività al Pd, sarebbe stato evidentemente
retrò avanzare una proposta da sottoporre alla discussione.
C’è solo una condizione già decisa e
sottratta alla discussione di tutti (e che disvela carattere fintamente
non proprietario dell’appello): bisogna essere disponibili allo
scioglimento. Tradotto: per costruire la sinistra vanno bene tutti,
tranne quelli che non si convincono che il comunismo sia solo una
tendenza culturale, un fatto privato, un elemento di nostalgia. Quelle e
quelli sono palle al piede che minano la qualità del processo, anche se
da anni propongono una sinistra unitaria e basata sul principio una
testa un voto (dunque, «non un cartello, né una federazione»).
Ora, «i ragazzi» a cui Cofferati vuole
passare il testimone (verrebbe spontaneo chiamarli Coffy boys, ma è
doveroso non farlo) sostengono virilmente che i processi politici «si
aprono a spinta». Anche a spinta fuori di qualcuno. Che dire? No grazie.
Questo è un gioco che non mi piace, preferisco la sottrazione.
La storia della sinistra italiana è già
stata avvelenata abbastanza (mescolo tragedie e farse degli ultimi
trent’anni) dall’idea che per costruire la sinistra le comuniste e i
comunisti dovessero rinunciare a un proprio nome e cognome. Così come la
retorica generazionale del passaggio del testimone e della
“discontinuità” ha già prodotto dirigenti che poi hanno confuso i social
forum e la Leopolda.
Personalmente continuerò a battermi da
compagna, femminista e comunista, affinché anche in Italia ci sia una
forza politica che cambi i rapporti di forza, affinché la costruzione di
una sinistra unita sia in primo luogo un lavoro socialmente utile: una
sinistra europea, interna al Gue, alternativa al Socialismo europeo e al
Pd; una casa comune della sinistra e tante agorà in cui si riavvii un
processo di politicizzazione di massa e una ripresa del conflitto
sociale (grandi assenti del contesto italiano); una sinistra che
riconosca e connetta la molteplicità delle forme del fare politica, del
fare società, del fare cultura oggi; che costruisca pratiche
mutualistiche e forme di autogoverno. Non sono abituata ad arrendermi,
né a nascondermi. A lottare, sì.
* parlamentare europea Altra Europa, segreteria nazionale PRC-SE
Fonte: il manifesto
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