La
colpa è dei risparmiatori che dovevano informarsi. Oppure è delle
banche, che hanno piazzato titoli spazzatura. È di chi doveva vigilare,
Banca d’Italia in testa. È del governo e del pasticcio del decreto
salvabanche. È dell’UE e delle sue regole. Negli ultimi giorni è
esploso il dibattito sul salvataggio di CariFerrara, Banca Etruria,
Banca Marche e CariChieti, per cercare di individuare responsabilità e
colpe.
Certo
è che una banca non dovrebbe vendere a clienti inesperti prodotti come
delle “opzioni certificates su sottostanti cartolarizzati”. Difficile
anche solo capire di cosa si tratta, figuriamoci investirci i propri
risparmi. Per questo esiste una normativa europea – la Mifid – che
prevede che le banche, prima di vendere un prodotto, facciano quella che
si chiama la profilatura del cliente, ovvero verifichino la conoscenza
degli strumenti finanziari, la propensione al rischio, gli obiettivi
dell’investimento.
Peccato
poi che si scopra che il 75% della clientela – anche chi aveva
un’istruzione media inferiore – è risultato figurare sui tre livelli più
alti di conoscenza ed esperienza finanziaria. Dati a dire poco strani,
ma che trovano una spiegazione se si viene a sapere quanto le strutture
commerciali vengano pressate per raccogliere volumi e incentivi. Se da
un’indagine della Consob risulta “il costante e penetrante controllo
delle performance di rete” e “forme di pressione per raggiungere i
budget”; se, come rivelato dalle parole di un dirigente: “forse non mi
sono spiegato: vanno fatti i numeri”. Come dire vendita di prodotti in
conflitto di interesse; forme di marketing scorrette; fissare obiettivi
in funzione delle esigenze della società, privando l’investitore di
alternative; e chi più ne ha più ne metta.
Fermi un momento. Quanto scritto non è relativo alle famigerate quattro banche oggi nell’occhio del ciclone. E’ relativo a Poste Italiane.
E’ riportato nel procedimento della Consob verso le care vecchie Poste,
da sempre considerato il porto sicuro in cui gli italiani depositano il
proprio risparmio. E non parliamo di un periodo lontano nel tempo, ma
degli anni tra 2011 e 2013.
Per
carità, non vogliamo dire che tanto lo facevano (quasi) tutti. Nessuno
intende sminuire le responsabilità degli amministratori delle quattro
banche salvate negli scorsi giorni, i prestiti agli amici degli amici o
la necessità di comprendere eventuali comportamenti fraudolenti.
Dobbiamo però essere chiari su un punto: non è possibile, al
continuo ripetersi di ogni problema, scandalo, truffa, fallimento,
salvataggio o disastro finanziario continuare a parlare delle
proverbiali poche mele marce, concentrarsi sul caso singolo perdendo di
vista il quadro generale. È l’intero sistema finanziario a essere
autoreferenziale, ipertrofico e intrinsecamente instabile.
Negli ultimi sette anni i salvataggi e gli interventi a favore del
sistema bancario potrebbero essere costati oltre 4.000 miliardi di
dollari. Questo mentre, tra il 2012 e il 2014, le banche hanno pagato
139 miliardi di dollari di sanzioni alle sole autorità statunitensi. Un
operatore finanziario su quattro negli USA e uno su tre in Gran Bretagna
riconosce candidamente che commetterebbe un delitto per fare soldi se
fosse sicuro di non essere preso.
Il
sistema finanziario negli USA rappresenta il 7% del PIL ma assorbe
circa il 30% dei profitti. Com’è possibile che la finanza, continuamente
e costantemente, realizzi dei tassi di profitto superiori a quelli
dell’economia? Un sistema che assomiglia sempre di più a un gigantesco
schema di Ponzi, dal nome del celebre truffatore attivo negli USA negli
anni ’20. Ponzi prometteva guadagni mirabolanti, ma si limitava a girare
ai primi clienti una parte delle risorse che arrivavano da quelli
nuovi. Per un po’ il sistema sembrava funzionare, attraendo nuovi
sprovveduti, i cui capitali venivano in parte usati per dare
l’impressione che si stavano realizzando i profitti promessi, finché il
castello di carte non è fragorosamente crollato. Se oggi l’economia nel
mondo cresce tra il 2 e il 3% – molto meno in Europa, per non parlare
dell’Italia – ma tutti pretendiamo il 5% o più dai nostri investimenti
finanziari, forse abbiamo un problema.
Solo uno dei paradossi attuali. I
manuali di economia spiegano che le banche lavorano con i risparmi
depositati dai clienti, e sono vigilate da un ente di controllo,
solitamente la banca centrale. Oggi la situazione è diametralmente
opposta. Con il Quantiative Easing la BCE pompa liquidità nel
sistema finanziario al ritmo di 60 miliardi di euro al mese. D’altra
parte, con il bailin sono azionisti, obbligazionisti e clienti su cui
ricadono le perdite in caso di crisi risparmiatori senza alcuna
esperienza, in un mondo finanziario senza trasparenza a essere
chiamati a controllare quello che combinano le banche.
Gli
stessi azionisti, obbligazionisti e clienti che si attendono un
profitto dai propri investimenti finanziari, con il problema che la
montagna di soldi immessi dalla Banca Centrale sta schiacciando i
rendimenti dei titoli “tradizionali”. Basta vedere i titoli di Stato
italiani con rendimenti negativi. Una situazione che spinge fondi
pensione e di investimento, banche e altri investitori verso titoli
sempre più rischiosi, alla ricerca dei rendimenti che i clienti si
aspettano.
Clienti
che si ritrovano prodotti sempre più complessi e più rischiosi. Ecco il
gigantesco schema di Ponzi alimentato dalla liquidità delle banche
centrali per estrarre profitti superiori alla crescita dell’economia.
Per quanto potrà durare? E al prossimo crack ci limiteremo nuovamente a
rileggere le prime righe di questo articolo? Nuovamente, tutti a
domandarsi se “la colpa è dei risparmiatori che avrebbero dovuto
informarsi. Oppure è delle banche, che hanno piazzato titoli spazzatura
ai propri clienti. È di chi doveva controllare e vigilare, Banca
d’Italia in testa, e non l’ha fatto. È del governo…”. E via per un altro
giro di giostra.
Andrea Baranes - nonconimieisoldi.org
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