La guerra in casa, contro la propria popolazione. Il
programma “dovete morire” messo in campo dall'Unione Europea (e non
solo) va avanti alla grande. I nostri lettori ricorderanno come più
volte abbiamo sintetizzato con questo slogan - “dovete morire prima” -
diversi provvedimenti del governo che tagliavano bilanci della sanità
prestazioni mediche e sociali (ultimo esempio le 208 prestazioni
diagnostiche dichiarate “inappropriate” dalla scienziata senza laurea
che dirige il relativo ministero), pensioni, allungamento dell'età
lavorativa, ecc.
Il ragionamento che proponevamo
era semplice, quantitativo, ma inoppugnabile: se si va ad intaccare i
livelli di welfare e i diritti del lavoratore conquistati nel dopoguerra
si diminuisce immediatamente, e ancor più nel corso degli anni, l'aspettativa di vita della popolazione.
Ed ecco che le statistiche ufficiali
arrivano a confermare la facile previsione. Diciamo che siamo rimasti
colpiti anche noi dalla rapidità con cui quello che era solo un
ragionamento si è andato trasformando in realtà. Macabra.
L'Istat, pochi giorni fa, ha reso noti i dati sul bilancio demografico relativo ai primi otto mesi del 2015. E il primo
numero che balza letteralmente alla gola è quello dei morti, in
drastico aumento: +45.000 rispetto allo stesso periodo del 2014, con un
tendenziale annuale che arriva a +68.000; 666mila morti nel 2015 contro i
598mila dello scorso anno. Un aumento dell'11,3% che trova analogie
solo con gli anni della guerra. Della guerra sul nostro territorio, per
esser chiari.
I dati non sono ancora
disaggregati (per età, posizione sociale, cause, ecc), ma si sa già che
l'aumento riguarda soprattutto la componente femminile (+41.000),
presumibilmente nella fasce più anziane. Le altre cause di morte di cui
si hanno le statistiche (incidenti stradali o sul lavoro) presentano variazioni minime, ben lontane da quelle riguardanti l'intera popolazione.
Sulle cause, in attesa di dati più articolati,
ci si può sbizzarrire. È colpa della diminuita protezione del sistema
sanitario pubblico (quindi dei tagli alla spesa in questo settore)
oppure della diminuzione generale di reddito e in specifico del blocco
delle pensioni? Detto altrimenti: si muore di più perché non vengono più
garantite una serie di prestazioni o perché non ce la fai a pagare il
ticket (aumentato) sui medicinali che dovresti assumere? Una domanda
quasi superflua. In entrambi i casi si torna infatti alle politiche di
austerità volute, nell'ordine, dalla Troika (Ue, Bce, Fmi) e dai governi
nazionali.
Il dato fondamentale da tener presente è
infatti l'improvviso aumento della mortalità. Come spiega il prof. Gian
Carlo Blanciardo, demografo di Neodemos, questo aumento non può essere
attribuito all'invecchiamento della popolazione:
Osservando come è cambiata la composizione per età dei residenti tra il 1° gennaio del 2014 e alla stessa data del 2015 scopriamo subito che, a fronte di 159mila unità in meno nella fascia d’età fino a 60anni, se ne contano in più 70mila in età tra 61 e 70 anni, 40mila tra 71 e 85 anni e 62 mila con oltre 85 anni. Lo spostamento verso le età più “mature” è ben evidente, ma è sufficiente a spiegare un aumento della mortalità nell’ordine dei 68mila casi annui di cui si è detto? La risposta è no. Le modifiche nella struttura della popolazione spiegano solo in minima parte la maggior frequenza di decessi. Infatti, se i rischi di morte fossero restati invariati rispetto a quelli osservati di recente (Istat 2014), l’aumento del numero di persone anziane avrebbe dato luogo solo a 16mila decessi in più rispetto al 2014. E le altre 52mila unità aggiuntive a cosa sono dovute?
Inevitabilmente – in assenza di pandemie e altre catastrofi del genere – bisogna
pensare ai cambiamenti nella struttura dei redditi, nella loro
distribuzione, nella riduzione delle prestazioni del welfare. Come
conclude lo stasso Bianciardo, una variazione così forte
E’ un evento “straordinario” che richiama alla memoria l’aumento della mortalità nei Paesi dell’Est Europa nel passaggio dal comunismo all’economia di mercato (Fig. 2): un “déjà vu” che non vorremmo certo rivivere. Il controllo della spesa sanitaria sempre e a qualunque costo – in un momento di recessione economica – può avere effetti molto pesanti sul già fragile sistema demografico. Dobbiamo esserne consapevoli.
Il problema è che “la politica” -
Troika e governo – ne è perfettamente consapevole. Questo è proprio
quello che vanno cercando per ridurre drasticamente la spesa pubblica,
le cui due voci di spesa più consistenti sono per l'appunto sanità e
pensioni (la terza è la scuola, e anche lì la “mortalità” educativa va
crescendo a passo di carica). Quale taglio può essere più efficace dell'annientamento di una quota rilevante dell'utenza sociale?
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