Che
si tratti davvero dell’inizio di una presunta scalata di Giuliano
Pisapia al PD mi viene difficile pensarlo tenendo conto della cura che
il Sindaco ha per la sua Milano e che certo non svenderebbe per
interessi personali. Eppure la lettera di Doria, Pisapia e Zedda in cui chiedono (ma esattamente: a chi?) di tenere unita la sinistra
(che si può tradurre più prosaicamente “con il PD”) è rivelatrice di
alcuni difetti tipici di una realtà politica talmente liquida e
destrutturata (nel suo aspetto valoriale oltre che organizzativo) da
permettere con estrema facilità di spostare il centro della discussione a
piacimento.
Certo è naturale (e paternalistico) che ogni sindaco veda nella
propria esperienza amministrativa un piccolo laboratorio ma risulta
piuttosto avventato e presuntuoso credere di essere, personalmente, un
paradigma buono anche su scala nazionale. Mi spiego: che a
Milano, Cagliari e Genova il PD e la “sinistra” abbiano dimostrato di
governare più o meno bene è fuori discussione ma non possono credere i
moschettieri arancioni che non si sappia quanto questo, molto spesso,
sia avvenuto “nonostante il PD”, tanto per citare la battuta
scherzosa che in privato ripete spesso uno dei tre. Forse sarebbe utile
che, scendendo un secondo dal comodossimo posto del buon pontiere (e
pompiere), i tre si prendessero la briga di percorrere il percorso
inverso e trovassero una collocazione nazionale ad una sintesi
(funzionale e funzionante) che non trova riscontro nel quadro politico e
parlamentare.
Perché piuttosto che non leggere l’Italia per salvare il
“modello Milano” (o Cagliari o Genova) non si pensa a scrivere quel
modello su una scala più ampia? Cosa c’entra la gestione
dell’emergenza umanitaria di Perifrancesco Majorino (assessore a Milano e
piddino) con la pratica nazionale? Nulla. Cosa ha a che vedere il modello di welfare che hanno in mente i tre “arancioni” con quello del Governo Renzi? Poco.
Quanta laicità (milanese, genovese o cagliaritana) c’è nella politica
nazionale? Tracce, forse. E allora perché i tre sindaci nel Paese delle
Meraviglie non si mettono a disposizione, anche loro in prima persona,
per costruire un Paese diverso?
Ha ragione Fratoianni a dire che il disegno prospettato in
quella lettera a Repubblica dei sindaci si può realizzare appena il
Governo ritira jobs act, riforma della scuola e legge elettorale, tanto per iniziare: non si può fingere di non avere visto, di non esserci stati, in questi anni di Montismo e Renzismo.
Altrimenti sembra come quando si giocava da piccoli a calcio quelle
partite interminabili che duravano dal mattino fino a che c’era luce, la
sera tardi, e ogni volta qualcuno, convinto di essere scaltrissimo,
della squadra dei perdenti, a pochi minuti dalla fine dei giochi con
un’espressione aliena e divertita gridava “chi segna questo vince!”, convinto della supremazia dell’ultima occasione sulla realtà dei fatti.
Quando succedeva solitamente gli altri giocatori lo guardavano con un
misto di stupore e compassione raccogliendo in silenzio la bici e i
giubbotti per tornare verso casa. Ecco, una cosa così.
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