Pensavamo che nessuno
riproponesse l'ingenua litania delle mele marce in un sistema bancario
altrimenti sano, e che fosse giunta l'ora di discutere del marcio del
sistema. Ma eravamo in errore
Credevamo che la crisi di altri quattro
istituti di credito italiani potesse aprire una seria discussione sulle
reali prospettive degli assetti bancari nazionali ed europei.
Ritenevamo fosse chiaro che considerare
queste vicende soltanto come opere di qualche farabutto da individuare
e condannare, è solo un modo fuorviante di ridimensionare i fatti, un
tentativo maldestro di confinarli per tranquillizzarci.
Pensavamo che con questo ennesimo
tracollo non ci sarebbe stato più spazio per la solita, ingenua litania
secondo cui il problema principale verterebbe sui soliti ladri, sulle
proverbiali mele marce in un sistema altrimenti sano.
Ci illudevamo fosse dunque la volta buona
per individuare il marcio nel sistema, e nelle sue macroscopiche
contraddizioni interne.
Eravamo persuasi, in particolare, che
sarebbe stato possibile mettere in chiaro che le banche finora cadute,
in Italia e nel resto d'Europa, rappresentano solo i segni premonitori
di un nuovo, violento processo di centralizzazione degli assetti bancari
continentali, che la Banca Centrale Europea e le sue propaggini
nazionali pretenderebbero di gestire ma che in parte sfugge persino al
loro controllo.
Confidavamo nella possibilità di ricordare che in varie testimonianze, non ultimo il "monito degli economisti",
gli esperti in materia avevano segnalato che le politiche di austerity e
di deflazione, deprimendo i redditi e le capacità di rimborso dei
debiti, avrebbero scatenato ulteriori crisi bancarie.
Eravamo pure dell'idea che fosse giunta
l'ora di trarre un bilancio critico della lunga, infelice stagione di
disintermediazioni, liberalizzazioni e privatizzazioni dei sistemi
bancari e finanziari.
Addirittura nutrivamo la speranza che si
potesse finalmente riconoscere che la salvaguardia a valle dei piccoli
risparmiatori depauperati è solo un aspetto laterale del problema, e che
in realtà la questione di fondo di questi anni di crisi riguarda la
possibilità o meno di emancipare la collettività da un sistema
finanziario divenuto potentissimo e al tempo stesso irrazionale,
all'interno del quale i valori di mercato di volta in volta assegnati ai
titoli, ai bilanci, ai redditi, ai risparmi e quindi in ultima istanza
al lavoro che li produce, sono soggetti a continui sbalzi, sussulti,
ascese e precipitazioni, che distruggono capacità produttiva e che a
lungo andare concentrano il capitale nelle tasche di manipoli sempre più
ristretti di proprietari.
Insomma, pensavamo si potessero
finalmente disinquinare le coscienze dall'ideologia, e fosse quindi
lecito tornare delicatamente a sussurrare la verità: che tutto quel che
sta avvenendo, nella sua virulenta forma finanziaria contemporanea, è il
capitalismo, bellezza.
Pensavamo tutto questo ma eravamo in errore: il vero problema, ci dicono, è la Boschi.
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