sabato 12 dicembre 2015

Il soccorso arancione di Paolo Favilli


Ha ragione Fausto Bertinotti quando dice che la cosiddetta «provocazione» del ministro del lavoro, Giuliano Poletti, cioè la sostanziale riproposizione del cottimo nella dinamica salariale, «va presa sul serio». È la «spia», per dirla con Carlo Ginzburg, di quanto la «nuova ragione del mondo» sia elemento consustanziale del Pd, della sua struttura portante come «perno» (direbbero i sindaci arancioni) dell’attuale establishment di potere.
È la «spia» di quanto lungo e profondo e dunque radicato, sia stato il percorso di acquisizione della «nuova ragione» che consiste, appunto, nel dispiegamento pieno della logica secondo la quale «il mercato il principio del governo degli uomini e del governo di sé» (Dardot, Laval 2013).
Radicamento dunque; Poletti, infatti non è Renzi, che, tramite consolatorio errore, può essere considerato un recente ed estraneo invasore calato improvvisamente come gli Hyksos sul terreno incontaminato degli eredi di quella che fu la grande sinistra italiana.
L’attuale ministro del lavoro è da sempre una componente di quel terreno, un agente primario della sua organica trasformazione in un elemento fondamentale dell’humus di quella «crisi organica» (Gramsci) che è la vera cifra interpretativa del «momento attuale».
L’humus da cui sono germogliati tutti gli atti, corposi e coerenti, che in un periodo non breve hanno tradotto in decisione politica le suddette logiche della «nuova ragione del mondo». Un universo fattuale così denso e significativo che può sfuggire solo a chi guardi (non analizzi) la realtà, con le lenti della ideologica «falsa coscienza».
L’humus ha prodotto, come reazione agli effetti economici e sociali di una «crisi organica» che ha moltiplicato le forme di esclusione tra ceti subalterni divenuti sempre più ampi, proprio quelle orribili risposte che, in maniera riduttiva, chiamiamo di «destra».
Stupisce, allora, la rimozione totale di qualsiasi dimensione davvero analitica dal cosiddetto appello dei tre sindaci arancioni per un fronte comune che possa efficacemente opporsi alla montante marea di destra.
Innanzitutto chi dovrebbe fare barriera, quali forze?
«Quelle forze –dicono i sindaci –sono principalmente il Partito Democratico, perno e componente maggioritaria, e Sel». Cioè il «perno» sarebbe costituito da una delle forze politiche costitutive dell’humus sul quale la «destra» ha germogliato. E il ruolo di Sel? Pungolo? Mosca cocchiera? Costola esterna del Pd? In sostanza un’opera di soccorso arancione.
Quali sarebbero le possibilità di modificare il ruolo del Pd negli attuali equilibri di potere, un ruolo che ha profonde ragioni strutturali? Con tutta evidenza nessuna.
«Qui la gente non ha paura dell’Isis, la gente ha paura di Renzi perché non c’è lavoro», avrebbe detto un lavoratore petrolchimico al segretario della Fiom (Huffington post, 10 dicembre). A Piombino, dove la classe operaia ha avuto per decenni un ruolo davvero dirigente, oggi tra le centinaia di cassaintegrati con prospettiva di mobilità (licenziamento) che lo spegnimento dell’altoforno ha sparso nella città, circola sempre più forte la voce di chi è contrario a iniziative di lotta «perché se no il padrone non investe, il padrone se ne va».
Non credono i sindaci arancioni che sia questo il terreno di cultura dei nuovi barbari? Non credono che sia questa la realtà nella quale qualsiasi soggetto politico «di sinistra» debba fare immersione totale?
La deindustrializzazione, del resto, non era un destino, la deindustrializzazione è stata, è, il frutto di scelte politiche.
Un economista non certo radicale, Pierluigi Ciocca, nel volume conclusivo della monumentale Storia dell’Iri, si chiede: «Avrebbe giovato conservare l’Iri? Ovvero (…) potrebbe giovare una nuova Iri? La risposta è positiva, qualora si spinga l’immaginazione a un controfattuale che includa l’ Iri nella sua migliore stagione». Di fronte ad una deindustrializzazione «drammatica», dice ancora Ciocca, si impone nei fatti «una qualche forma di ricostituzione di un’industria manifatturiera pubblica».
Cosa ne pensa Marco Doria?
A suo tempo ho caldeggiato la candidatura di Doria, collega all’Università di Genova, a sindaco della città. Ebbene credo che come professore di storia economica non possa non valutare con tutta serietà le considerazioni di Pierluigi Ciocca. E come sindaco arancione? È convinto che il «perno» dell’alleanza che propone, che è stato anche il «perno» intorno a cui ha ruotato e ruota la dissoluzione dell’industria pubblica italiana, possa essere recuperabile per l’indispensabile inversione strategica?
In realtà il testo dei sindaci arancioni non si pone assolutamente alcun obiettivo conoscitivo-propositivo. Si propone solo come segnale di posizionamento di una parte di ceto politico, nella continuità di quella «miseria della politica» che è una delle facce della «crisi organica».

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