È stato il più grande disinvestimento nella storia della formazione superiore
. Negli ultimi sette anni l’università italiana si è ridotta del 20%.
Spariti studenti, docenti, corsi di studio e finanziamento pubblico
tagliato di 1,1 miliardi da Berlusconi-Gelmini-Tremonti e mai più
rifinanziati. Negli primi sette anni della crisi, l’Italia investe meno
di 7 miliardi nella sua università, mentre la Germania 26. L’Italia ha
tagliato gli investimenti del 22%, la Germania li ha aumentati del 23%.
Chi ha provocato la crisi dell’università? I governi.
Berlinguer all’università
Sono i dati del rapporto 2015 «Nuovi Divari» della Fondazione Res, presentata ieri a Palermo da Gianfranco Viesti
, economista all’università di Bari. Nell’indagine sullo stato
dell’università del Nord e del Sud emerge un’altra realtà strutturale:
la «riforma», tutta valutazione e tagli, che ha investito gli atenei dal
2010 a oggi, ha drenato le risorse dal Sud al Nord, provocando questi
risultati: gli studenti immatricolati si sono ridotti di oltre 66mila
(-20%); i docenti sono scesi a meno di 52mila (-17%); il personale
tecnico amministrativo a 59mila (-18%). La metà del calo delle
immatricolazioni è al sud. Il 30% degli immatricolati meridionali si
iscrivono al Centro Nord. In Sicilia ormai quasi un terzo emigra,
a fronte di meno di un sesto nel 2003-04.
Da cosa fuggono questi ragazzi? Ad esempio dalla mancanza di un diritto allo studio
a Sud. Nel 2013–14 circa il 40% degli studenti, pur essendo idoneo, non
è riuscito a beneficiare di una borsa di studio per mancanza di
risorse. Nelle università sarde e siciliane la percentuale arriva al
60%. Questi numeri dimostrano che i tagli, il disinvestimento, il dispositivo di governo della meritocrazia e della valutazione
hanno accentuato i problemi del sistema. Il rapporto ricorda il
fallimento della legge Berlinguer-Zecchino, quella del «3+2»: l’Italia
è lontana dall’obiettivo del 40% di laureati entro il 2020. Siamo
all’ultimo posto nell’Europa a 28 con il 23,9%.
Meritocrazia: istruzioni per l’uso
La critica viene portata fino al cuore
del sistema «meritocratico»: il cambio apportato ai meccanismi di
finanziamento degli atenei ha aumentato fino al 20% la quota premiale
legata a risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca, ma ha
anche penalizzato le università del Mezzogiorno punendo le loro
inefficienze e negandogli un reale miglioramento.
Valutare e punire .
Questo è il reale significato del dispositivo adottato nell’università.
È stato così creato un sistema formativo sempre più differenziato fra
sedi più e meno dotate di fondi, docenti, studenti concentrate in alcune
aree del Nord.
In sette anni di contro-riforma si affermata una costante: tra destra e sinistra non c’è differenza
. Entrambe hanno seguito la stessa strategia. Se la prima ha tagliato,
la seconda ne ha condiviso l’impostazione culturale. Nella sua
introduzione al rapporto Viesti misura questa continutà con il criterio
della disuguaglianza territoriale. “Le politiche universitarie degli
ultimi sette anni, condotte con sorprendente continuità da governi di
colore molto diverso – sostiene – stanno aggravando significativamente
questi divari. La riduzione del Fondo di Finanziamento Ordinario, e la
sua ripartizione con nuovi criteri, sempre variabili e tutti
discutibili, ha colpito particolarmente le università del Centro-Sud,
e in misura ancor più accentuata quelle delle Isole”.
E gli studenti?
Queste disparità, sommate ai tagli,
hanno prodotto conseguenze sui docenti e sugli studenti. “Le carriere
degli studenti o la partecipazione all’Erasmus, dipendono molto dai
contesti — continua Viesti –Il limitato turnover dei docenti, poi,
è stato assai differente fra sedi, anche in base ad indicatori
territorialmente connotati come il gettito della contribuzione
studentesca; lo stesso reclutamento dei nuovi professori abilitati
è stato molto maggiore al Nord rispetto alle altre circoscrizioni del
paese. Tutto ciò non aiuta a superare inefficienze: rende l’università
del Sud molto più piccola, ma non per questo migliore”.
Lo scenario del disinvestimento e della
programmatica crescita delle divaricazioni territoriali viene
ulteriormente aggravato da una politica disastrosa del personale docente
. La ricerca e, soprattutto, gli insegnamenti dei corsi di laurea sono
stati ridisegnati “n base al pensionamento di parte dei professori,
sostituiti solo in misura limitata; un corpo docente anziano; un modesto
trasferimento tecnologico”.
In altre parole, la permanenza fino ai 70 anni (e oltre) dei “baroni”, l’uso distorto delle abilitazioni scientifiche “a scadenza”
(un’altra invenzione della Gelmini, caso unico al mondo) come
anticamera allo scorrimento di carriera dei ricercatori già assunti, il
blocco delle assunzioni, il precariato diffuso hanno creato una miscela
auto-implosiva che si riflette sulla contenuta qualità nell’elaborazione
e nella trasmissione dei saperi e delle tecnologie.
Vita breve del diritto allo studio
L’uso politico della «meritocrazia»
ha accentuato la tradizionale biforcazione con il Sud. «I cambiamenti,
pur molto profondi, sembrano avvenire senza un chiaro disegno degli
obiettivi da raggiungere: l’università italiana deve assomigliare più
a quella tedesca o a quella inglese?» domanda Viesti. Per il momento
assomiglia a se stessa: molto piccola, molto più sperequata
territorialmente, di qualità programmaticamente inferiore all’intera
Europa, con saperi mordi e fuggi, di breve durata e nessuna consistenza
critica.
Jacopo Dionisio (Udu) definisce
«scellerata» la stagione delle «riforme» che hanno portato a questo
punto l’università. Uno stanziamento immediato sul diritto allo studio
nella legge di stabilità è stato chiesto dal segretario confederale Cgil
Gianna Fracassi. Alberto Campailla (Link) descrive la situazione del
diritto allo studio: “i servizi del diritto allo studio si rivolgono
solo al 10 % del totale degli universitari e, tra gli idonei a ricevere
la borsa di studio, uno su quattro non la ottiene per mancanza di fondi.
Anche i servizi mensa e alloggio sono a dir poco carenti: solo il 2%
degli studenti è assegnatario di un posto alloggio nelle residenze
universitarie mentre è disponibile un posto in mensa ogni 35 studenti iscritti ”.
Il 18 dicembre è stato annunciato un
presidio a Montecitorio al quale parteciperanno gli studenti di Link,
i dottorandi dell’Adi, il coordinamento dei ricercatori precari, la Rete
29 aprile e Flc-Cgil. Si chiede un «politica reale di investimenti
a cominciare dagli atenei del Sud».
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