Il continuo rincorrere l’idea di un
nuovo centrosinistra o è una vocazione al governismo sempre e comunque o
è un modo per evitare lunghi percorsi di ricostruzione di una vera
sinistra di alternativa. E’ questa l’unica doppia spiegazione che mi
sembra si possa dare dell’atteggiamento di Sel che, ancora una volta,
rompe il fronte unitario per dare seguito ad una politica di riforme
che, di per sé, non è nemmeno deprecabile ma che lo diventa se è la
mediazione per la costruzione di una alleanza che non guarda
all’alternativa al PD, ma solo a Renzi. Sono scindibili oggi questi due elementi? Basterebbe osservare che
Matteo Renzi è, ad un tempo, presidente del Consiglio e segretario
nazionale del suo partito: un doppio incarico che persino l’eterna
minoranza non-scissionista del PD stesso ha rilevato proprio in questi
giorni, rimarcando l’anomalia, stigmatizzandola e proponendola
indirettamente alla discussione che si tiene alla Leopolda.
Sono
troppe ancora le contraddizioni che Sel solleva nella via di
costruzione del quarto polo: contraddizioni che oggi si ritrovano sul
“piano locale” e domani su quello nazionale. Un giorno Vendola applaude a
Pisapia come nome che unisca il nuovo centrosinistra milanese per le
amministrative del prossimo anno, un altro giorno afferma che questo
centrosinistra è una proposta estendibile all’intero Paese.Nel documento
firmato da anche da Sel, il famoso “Noi ci siamo!”, oltre
che da Civati, Fassina, Rifondazione Comunista e L’Altra Europa, si
metteva nero su bianco che il nuovo soggetto della sinistra di
alternativa sarebbe dovuto essere altro da tutti i poli esistenti.
Oggi scopriamo che Sel vuole essere alternativa solo al PD di Renzi e
che sarebbe disposta a non esserlo se a guida del PD ci fosse magari
Bersani. Ma quel documento affermava chiaramente che in Italia c’era e c’è bisogno di una sinistra e non di un nuovo centrosinistra. La stagione del riformismo socialdemocratico e cattolico di sinistra
unito ad altre forze più radicali, è finita con il 2008, con la caduta
del secondo governo Prodi e la sconfitta successiva del progetto
veltroniano che è stato surclassato proprio dalle assise della Leopolda
che hanno consacrato Matteo Renzi unico dominus del Partito democratico. Come si possa pensare di costruire una sinistra veramente tale,
pluriculturale e pure nascente su compromessi tra moderatismo
vendoliano, fassiniano e civatiano e radicalismo comunista (se vogliamo
proprio semplificare al massimo le posizioni in campo), quando il nuovo
sogno di rinascita del progressismo non risiede nell’idea di sinistra ma
bensì in quella di una coalizione che comprenda anche il centro, è un
mistero degno della Sfinge.
A volte sembra di vivere veramente in ambienti mitologici, magari pronti
ad ascoltare qualche canto delle sirene senza nemmeno essere legati al
palo della nave come Odisseo e in preda poi ad incantesimi degni della
maga Circe o ad indovinelli della Sibilla Cumana. Prima che irrealistico, è serio questo comportamento che Sel e Fassina
stanno tenendo nei confronti di altre forze come Rifondazione Comunista e
anche Possibile che si erano impegnati comunemente a costruire un luogo
sociale della politica dove muovere per coinvolgere i più singoli tra i
cittadini, quelli senza tessera, quelli lontani dalla fiducia nelle
istituzioni e nella democrazia repubblicana?Non è serio questo comportamento ed è figlio solo della rincorsa di una
emersione nell’agone politico che lasci indietro quelle che vengono
considerate “palle al piede” e “ferri vecchi” del passato, perché troppo
critici e troppo anticapitalisti. Anzi, anticapitalisti e, quindi,
comunisti. O perché, magari, come nel caso di Civati, hanno sviluppato
una critica senza se e senza ma al loro vecchio partito in virtù del
fatto che è irriformabile e solo superabile con una implosione che metta
fine a questa anomalia e che faccia rinascere i confini delle culture e
delle ideologie.
Parole terribili, inascoltabili alle orecchie dei moderni sapienti di
una sinistra che nasce come gruppo parlamentare, questa sì lontana dalla
gente, dal tanto celebrato “popolo”, dai problemi quotidiani di un
mondo del lavoro per il quale il centrosinistra è l’unico vero ferro
vecchio i un passato che non passa.
di MARCO SFERINI
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