10mila dollari all'anno in meno di un tedesco di stipendio, produttività al palo mentre tutti crescono in Europa: no, il problema dell'Italia non è solo la disoccupazione
di Gianni Balduzzi
È
una triste litania a volte quella che elenca gli ambiti in cui l‘Italia
con la grande crisi è rimasta indietro rispetto ai partner europei.
Tuttavia se vi è un ambito in cui si può toccare maggiormente con mano
la nostra progressiva perdita di competitività, quello del lavoro è uno
dei più esemplificativi. Non soltanto in relazione alla disoccupazione,
ma anche in funzione del livello degli stipendi di chi un lavoro ce
l’ha. E della sua produttività.
Guardando
i salari reali in dollari secondo il Purchase Parity Power (PPP), cioé a
parità di potere d’acquisto, si evince immediamente come gli italiani
non solo guadagnino meno dei lavoratori degli altri principali Paesi
europei, ma anche che dal 2000 a oggi il divario non ha fatto che
allargarsi.
Variazione dei salari reali medi in dollari (a parità di potere d'acquisto) - Dati Ocse
Se
quindici anni fa Francia e Italia e Spagna avevano valori medi molto
vicini, nel 2014 la Francia appare ormai irraggiungibile, e nonostante
la crisi economica anche la Spagna ha allargato il suo vantaggio sul
nostro Paese. A oggi, con una media lorda di 34.744 dollari di stipendio
un lavoratore italiano ne percepisce quasi 10mila meno di uno tedesco,
7mila meno di un inglese e addirittura 16mila meno di un olandese.
Stipendi reali medi lordi in dollari (a parità di potere d'acquisto) - Dati Ocse
Cosa
è accaduto? In questi anni in effetti il costo del lavoro in Italia è
salito anche più che altrove, soprattutto più che in Germania, eppure
gli stipendi sono rimasti al palo. Come mai? Innanzitutto l’inflazione.
Quella che ormai sembra non esistere più, al punto che la Banca Centrale
Europea deve pompare moneta comprando titoli di Stato per combatterne
la nemesi, la deflazione. Tuttavia, l'inflazione è stata per lunghi anni
più alta nel nostro Paese che nel resto del Continente. Questo grafico,
non a caso in tedesco, mostra come in dieci anni l’Italia e il resto
del Sud Europa abbiano perso quasi un 30% di potere d'acquisto rispetto
alla Germania. In seguito è scesa ovunque, mantenendo però il gap quasi
invariato
Ora
che tuttavia impera la deflazione, non meno pericolosa, emerge quella
che è in realtà la vera causa per cui gli stipendi italiani rimangono al
palo: la produttività del lavoro (ossia il rapporto tra ciò che viene
prodotto e la quantità di lavoro e capitali necessari a produrlo).
Ebbene, l’Italia negli ultimi dieci anni non è riuscita a progredire
sotto questo aspetto. La produttività è rimasta uguale o addirittura
leggermente inferiore a quella del 2005.
Il
grafico fa impressione: siamo superati da tutti Paesi dell’Est, con i
Paesi Baltici in testa, ma anche dalla Spagna, che ha visto la
produttività salire del 15%, e non a caso attualmente è il Paese
mediterraneo che meglio sta uscendo dalla crisi economica, con una
crescita del Pil stimata del 3%
Produttività del lavoro, 2005=100 - Dati 2013, Eurostat
Come
mai tutto questo? Per mille motivi. Uno dei quali, tuttavia, merita una
menzione speciale: la formazione dei lavoratori. Rimaniamo il Paese
con il minore numero di laureati, soprattutto tra i giovani, solo il
23,9% tra i 30-34enni, addirittura il 18,8% tra gli uomini. Questo
mentre la media europea è del 37,9%, e Paesi scandinavi, Spagna,
Francia, Germania, viaggiano verso il 50%.
L’alternanza
tra scuola e lavoro e la preparazione professionale sono viste con
maggiore sospetto nel nostro Paese e questo certamente non depone a
favore della disponibilità delle imprese ad assumere giovani ancora da
formare, che difficilmente potranno contribuire a un aumento della
produttività dell’azienda. E ancor meno, naturalmente, alla crescita del
loro stipendio.
Fonte: Linkiesta
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