Nel 1948 nasceva l’Italia nuova, e si presentava al mondo con “Ladri di biciclette”. Oggi, abbiamo i ladri di Costituzione.
Se ladro è chi illecitamente si appropria di un bene che non gli
appartiene e sul quale non ha titolo a mettere le mani, tale è appunto
il caso di quelli che stanno approvando la riforma della Carta
fondamentale. Perché non avevano legittimazione sostanziale
a farlo, per la incostituzionalità della legge elettorale.
Perché non avevano mai ricevuto alcun mandato dal popolo italiano,
non essendo mai stata la riforma — questa riforma — illustrata
e discussa in un contesto elettorale per l’inserimento in un
programma di governo. Perché hanno usato ogni mezzo e forzature di
prassi e regolamenti per mettere le mani su un bene comune
e prezioso, scrigno di identità e storia del paese. Perché l’hanno
fatto per motivi futili o abietti.
Ma il furto non si è certo consumato ieri, con il voto di 179 anime
morte per il disegno di legge Renzi-Boschi. L’attività criminosa
viene da lontano, dal patto del Nazareno e dalla proposta del
governo. È continuata e aggravata, per le ripetute minacce di crisi,
gli argomenti inconsistenti quando non mendaci, la sordità
assoluta per critiche e dissensi, il disprezzo per il confronto
democratico. E quel che stava per accadere è stato assolutamente
chiaro quando l’esangue minoranza Pd ha esalato l’ultimo respiro,
seguendo il pifferaio magico di Palazzo Chigi. Si è così condannata
alla irrilevanza, unico peccato mortale che la politica non assolve
mai. E anche il Pd di Renzi-Verdini nel suo insieme ha rotto ogni
legame con i propri antenati, i veri padri fondatori della
Repubblica. Come quegli eredi incapaci che dissipano nel vizio
e nel gioco il patrimonio di grandi e nobili famiglie. Un partito
non più liquido, ma liquidato.
Tutto era già scritto. Ma proprio per questo non siamo d’accordo
con Zagrebelsky. Il suo argomento è che firmare l’articolo
pubblicato sul manifesto da parte di alcuni costituzionalisti
era inutile, non essendo possibile farsi ascoltare. Altra cosa sarà
quando ci sarà il confronto davanti al popolo sovrano. Ma il punto
è che quel confronto è già in atto, dal primo avvio della vicenda. La
battaglia l’ha aperta Renzi, che da subito ha cercato la chiave del
consenso populistico e demagogico, in una evidente prospettiva
elettoralistica. Anche il referendum sarà uno scontro
plebiscitario sulla persona del leader e sull’affidamento
fideistico alle sue scelte. La campagna referendaria è già in
corso anche se il procedimento ex art. 138 della Costituzione
è ancora lontano dal concludersi. Si intreccia con il taglio delle
tasse, l’uscita dalla crisi, le cifre ballerine sui posti di lavoro,
l’ossessiva proiezione di un Italia nuova che riparte.
Sappiamo bene che contro un avversario formidabile abbiamo
solo il risveglio della ragione e delle coscienze. Un percorso
difficile. Ma comunque esiste una rabbia civile che non consente
il silenzio. Talvolta, parlare è un dovere che non tollera calcoli
sottili, pur se nessuno ascolta. Inoltre, le battaglie si fanno
anche sapendo che si può perdere. Proprio la nascita della Repubblica
insegna. I nostri padri e le nostre madri hanno fatto molte cose che
al momento potevano sembrare disperatamente inutili. Tuttavia le
hanno fatte, e molti hanno pagato un alto prezzo negli affetti, nel
lavoro, nella vita. Ora tocca a noi difenderne l’eredità.
Siamo contenti comunque di sapere che Zagrebelsky sarà in campo, nel momento a suo avviso opportuno. Non avevamo dubbi che appartenesse al club dei gufi. Del resto, molto meglio gufi che avvoltoi.
Siamo contenti comunque di sapere che Zagrebelsky sarà in campo, nel momento a suo avviso opportuno. Non avevamo dubbi che appartenesse al club dei gufi. Del resto, molto meglio gufi che avvoltoi.
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