È
passato così tanto tempo (otto anni) dall’inchiesta Why Not che è
impossibile cogliere la portata dell’assoluzione di Luigi DeMagistris e
Gioacchino Genchi al termine di uno dei processi più assurdi e
scandalosi della storia recente. Sono vent’anni che sentiamo parlare di
“processi politici”, a proposito dei processi “ai politici” per reati
comuni. Questo non riguardava politici, ma due servitori dello Stato,
perseguitati proprio per averlo servito senza guardare in faccia a
nessuno, come impone la Costituzione:un pm fucilato dal Csm (e poi
entrato in politica) e un poliziotto cacciato dalla polizia, per aver
fatto entrambi il proprio dovere. I processi servono a stabilire se un
indiziato è colpevole o innocente: con De Magistris e Genchi si decise
subito che erano colpevoli,dopodiché si cercò il modo di processarli.
E lo si trovò, grazie a un pugno
di magistrati pronti – anzi proni – a tutto pur di compiacere
l’amplissimo e trasversale fronte politico-affaristico che aveva
dichiarato guerra ai due reprobi con la collaborazione della stampa più
serva d’Occidente. Tutto
comincia nel 2007, quando De Magistris a Catanzaro inizia a indagare
sul grumo di potere che da tempo immemorabile tiene sequestrata la
Calabria, e non solo quella, con complicità anche togate, imbattendosi
in una miriade di personaggi poi emersi in altre indagini(da Bisignani a
Mercuri).A Roma,ai massimi livelli,si decide che va fermato. In pochi
mesi i suoi capi gli scippano le indagini, gli investigatori e i
consulenti vengono cacciati e infine il Csm trasferisce lui, col divieto
di fare mai più il pm.Lui
denuncia i colleghi insabbiatori e ne viene a sua volta denunciato alla
Procura competente di Salerno. L’inchiesta a suo carico si chiude col
proscioglimento, mentre quella sui suoi persecutori accerta che ha
ragione lui. Vistisi negare le carte che lo provano, tre pm di Salerno
vanno a prenderle con laf orza, perquisendo le toghe calabresi indagate,
le quali a loro volta indagano (senza competenza alcuna) quelle
salernitane. A quel punto si muove addirittura il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano, delegittimando i pm di Salerno, col
solito coro di penne alla bava che s’inventa uno “scontro fra procure”.
Poi il Csm fa fuori anche loro. Uno sterminio di massa: chiunque osi
sfiorare De Magistris salta. Le interferenze del Quirinale in quel
groviglio di processi le rivela Barbara Spinelli, citando varie lettere e
un colloquio in cui Re Giorgio si sfoga contro il presunto
“protagonismo” di De Magistris.
Il fellone infatti osa
addirittura difendersi dalle calunnie. Poi il capo dello Stato si
scaglia contro la “gravissima” condotta di Genchi, che terrebbe “per sé”
una “rete di tabulati e intercettazioni” con grave danno per “tante
persone innocenti”. E aggiunge che “il Pd avrebbe dovuto attaccare
Genchi per primo, senza aspettare che si scatenasse Berlusconi”. Ora,
Genchi non ha mai intercettato né spiato nessuno: lavora su
intercettazioni e tabulati acquisiti legalmente da decine di Procure che
lo incaricano, come consulente informatico, di esaminarli e incrociarli
per dare un senso a parole, movimenti e collegamenti di indagati per
reati gravissimi. Siccome De Magistris è uscito pulito dall’inchiesta di
Salerno (dov’era accusato anche di aver acquisito illegalmente i
tabulati dei cellulari di Mastella), la Procura di Roma ne apre un’altra
su fatti analoghi (l’acquisizione non autorizzata dalle Camere dei
tabulati di cellulari intestati a otto parlamentari: Prodi, Rutelli,
Pisanu, Gozi, Minniti, Gentile, Pittelli e di nuovo Mastella), per
giunta senz’averne la competenza. E, come se non bastasse, su un reato
inesistente e soprattutto impossibile: l’abuso d’ufficio. Tutti
sanno che dal 1997 l’abuso è reato solo se chi lo commette ne trae
un“ingiusto vantaggio patrimoniale” o causa a terzi un “danno ingiusto”.
Acquisendo i tabulati di parlamentari, ammesso e non concesso che già
sapessero di chi erano prima di acquisirli, De Magistris e Genchi non
hanno guadagnato un euro, né causato danni ad alcuno: i tabulati non
sono intercettazioni e non riportano conversazioni, solo numeri e
contatti. Ma i pm di Roma sostengono che il “danno ingiusto” patito
dagli otto parlamentari sarebbe la “conoscibilità di dati esterni di
traffico relativi alle loro comunicazioni”. Come se le frequentazioni
con indagati fossero colpa non di chi le intrattiene, ma degli
inquirenti che scoprono. Questo però non lo nota nessuno, anzi c’è
addirittura chi–come La Stampa–vaneggia di “intercettazioni illegali”,
“a strascico” e di un “elenco sterminato”di galantuomini spiati da
Genchi.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 23/10/2015.
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