“La
trasformazione fisica del mondo implica la trasformazione mentale dei
simboli, delle immagini e delle idee che a esso si riferiscono.”Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione
In L’uomo a una dimensione Marcuse
riprende il concetto filosofico di ‘pensiero negativo’ come pensiero
critico: è la capacità individuale di sviluppare un discorso che si
oppone all’esistente (il ‘pensiero positivo’ della società), che
immagina, progetta, crea un’alternativa; che utilizza il potere critico
della Ragione, la logica dialettica bidimensionale, per giudicare la
realtà, distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che è da ciò che dovrebbe essere, l’Essere dal Non-Essere.
Per
il pensatore della Scuola di Francoforte, perdere la capacità di
elaborare il pensiero negativo è inevitabile nella società industriale
tecnologica, che crea ‘falsi bisogni’ per sostenere la costante crescita
di produzione e consumo di merci; una produzione e distribuzione di
mas-sa che reclamano l’individuo intero, e annullano
quella dimensione interiore della mente nella quale un tempo prendeva
forma il pensiero di opposizione a una realtà che imprigiona l’uomo
anziché liberarlo, che lo mercifica, dal processo di sfruttamento
lavorativo alla sua trasformazione in consumatore. “I prodotti
indottrinano e manipolano; promuovono una falsa coscienza che è immune
dalla propria falsità. E a mano a mano che questi prodotti benefici sono
messi alla portata di un numero crescente di individui in un maggior
numero di classi sociali, l’indottrinamento di cui essi sono veicolo
cessa di essere pubblicità: diventa un modo di vivere. E un buon modo di
vivere – assai migliore di un tempo – e come tale milita contro un
mutamento qualitativo” (1).
Non si tratta più di alienazione:
questa civiltà trasforma gli oggetti in una estensione del corpo e della
mente dell’uomo, e l’individuo si riconosce nelle
merci che acquista, vi trova la propria soddisfazione e realizzazione.
Il dominio sulla persona diventa totale, la separazione tra ‘esterno’ –
la struttura sociale e produttiva – e ‘interno’ – la coscienza e
l’inconscio, i desideri, le aspirazioni, i bisogni dell’individuo, il
suo stesso immaginario – è dissolta. Al punto che non si può parlare
nemmeno di introiezione, un processo che presuppone l’esistenza di un Io
che trasferisce l’esterno all’interno, perché la dimensione interiore
dell’Io non esiste più. Quello che avviene è un processo di mimesi, involontario e inconsapevole, una identificazione totale e immediata dell’individuo con la società.
La
trasformazione è legata al progresso tecnologico, applicato al sistema
industriale di produzione di mas-sa: la grande quantità di beni
prodotti, e il loro crescente livello tecnologico, migliora lo standard
di vita a un numero sempre maggiore di persone, e il potere critico
della Ragione non sa più sviluppare un pensiero negativo da contrapporre
a tale sistema, che appare razionale; la Ragione è quindi identificata
con la realtà, la falsa coscienza non permette più la distinzione tra
ciò che è e ciò che dovrebbe essere; la capacità individuale di
immaginare una alternativa è abortita, percepita come irrazionale. Non
esistono più due dimensioni – esterno e interno, pensiero positivo e
pensiero negativo – ma una sola, “che si ritrova dappertutto e prende
ogni forma”. Un uomo unidimensionale, una società unidimensionale,
totalitaria e repressiva nella falsa libertà che concede. Una società
che respinge ogni opposizione mentre concilia le forme di protesta che,
non contraddicendo l’esistente, non hanno un reale carattere negativo.
Un pensiero unidimensionale che riesce a contenere in sé le
contraddizioni, continuando a riconoscere una superiore dignità morale
ai valori mentre li sottrae alla realtà per relegarli nel piano ideale.
Il loro contenuto concreto e critico svanisce di fronte a una realtà
percepita come razionale: ogni uomo è libero e uguale e ha diritto di
fuggire dalla fame e dalla guerra cercando una vita
dignitosa (valore), ma il Primo Mondo non ha le risorse per accogliere
tutti i migranti del Terzo Mondo, sia i ‘rifugiati politici’ che fuggono
dai conflitti sia i ‘migranti economici’ che fuggono solo dalla
miseria (razionale). Le necessità dell’economia contraddicono il piano
ideale dei valori, e l’uomo a una dimensione accetta la contraddizione.
Il pensiero negativo che contestualizza la realtà, la storicizza, ne
analizza le cause – quella stessa struttura economica che impone le sue necessità – e vi si oppone, appare irrazionale e non riesce a costruirsi.
Il
linguaggio è fondamentale nello sviluppo del pensiero: parola,
discorso, articolazione. “Il linguaggio funzionalizzato, abbreviato e
unificato è il linguaggio del pensiero unidimensionale” scrive Marcuse,
“promosso sistematicamente dai potenti della politica e da coloro che li
riforniscono di informazioni per la massa. Il loro universo di discorso
è popolato da ipotesi autovalidantisi, le quali, ripetute
incessantemente da fonti monopolizzate, diventano definizioni o dettati
ipnotici”.
Matteo Renzi non è il primo politico ad avere un modello comunicativo unidimensionale, ma il suo salto qualitativo
non ha precedenti. Un cambiamento che poteva esprimere solo la
generazione nata e cresciuta nella società a una dimensione, per la
qua-le la mimesi non è stata una trasformazione ma il modo di essere fin
dal primo vagito. Lo stile pubblicitario di Berlusconi non ha mai
raggiunto tali livelli; non era in grado. Berlusconi era un bravo
venditore che conosceva le tecniche della comunicazione e le utilizzava a
proprio vantaggio, manipolando la realtà; Renzi, drammaticamente, è
sincero. Perché non è solo promotore del pensiero unidimensionale, ne è
anche il prodotto.
Il suo linguaggio non è solo assertivo, è
autoritario, intimidatorio; preposizioni semplici e semanticamente
elementari, continuamente riproposte fino a diventare mantra (rottamare
la vecchia politica, cambiare l’Italia, fare le riforme…), bloccano
l’approfondimento del contenuto del discorso, il processo individuale e
critico di distinzione del vero dal falso, spingendo ad accettare ciò
che viene affermato nella forma in cui viene affermato: esso è la
Verità. È un linguaggio evocativo, non dimostrativo; che poggia su
tautologie, le quali chiudendo il discorso escludono ogni confronto e
ogni possibile alternativa. In tal modo ogni opposizione viene
presentata, e appare, irrazionale: chi tenta di ostacolare la sua azione
è un gufo, le idee politiche che non si allineano alla sua
visione sono il frutto di una ideologia ancorata al passato, che non sa
aggiornarsi al progresso, alla società che cambia, una speculazione
irrealistica.
Renzi è anche la ‘merce Renzi’. “La tecnologia” scrive Marcuse “è diventata il maggior veicolo di reificazione –
di reificazione nella sua forma più matura ed efficace”. Twitter è il
nonluogo in cui Renzi è diventato merce, nel quale si evidenzia
maggiormente il processo di reificazione. Non è lo spazio privilegiato
per comunicare le azioni del governo, o per fare propaganda; una simile
lettura è riduttiva. Twitter è un prolungamento del corpo e della mente
di Renzi, attraverso il quale egli produce una continua e costante,
martellante, auto-promozione della merce Renzi, il prodotto che salverà
l’Italia da se stessa. Compra Renzi e sarai felice.
Centoquaranta
caratteri, struttura ideale per una comunicazione semplificata, nella
quale si alternano messaggi a contenuto politico:
“Riforma del Senato. Approvato il testo base del Governo. Molto bene, non era facile. La palude non ci blocca! È proprio la #lavoltabuona”;
“Ieri servizio civile e terzo settore. Oggi scuole partecipate e Expo. Noi vogliamo bene all’Italia: per questo la cambiamo #lavoltabuona”;
“Alle 12 confestampa su questi primi #80giorni. Dieci slide con le cose fatte e i cantieri aperti. E un pensiero affettuoso agli #amicigufi”;
“Porteremo a casa le riforme. Gli italiani con referendum avranno ultima parola. E vedremo se sceglieranno noi o chi non vuole cambiare mai”;
con
altri a carattere sportivo (esaltazioni nazionalistiche di vittorie,
l’immagine di un’Italia ‘in rimonta’ e di un presidente del Consiglio
‘uomo comune’):
“Bravissima Tania Cagnotto, uno storico oro mondiale”;
“A Silverstone è trionfo Italia. Orgoglio per il podio. E i nostri omaggi al Dottore: @ValeYellow46 semplicemente strepitoso!”;
cronache delle sue giornate iperattive, in costante movimento e al lavoro, pieno di energie:
“Terminato
il G7, sono a Roma per lavorare sui nostri dossier: province, senato,
titolo V, CNEL, scuole, patto di stabilità. #buongiorno”;
“Giornata di lavoro su carte e documenti. Era dai tempi del liceo che non studiavo così tanto. Ma bene, moltobene. È proprio #lavoltabuona”;
link alle sue interviste:
“A proposito di coraggio e di paura, qui un’intervista al @Corriereit. Buona domenica a tutti”;
e
poi fotografie di scrivanie zeppe di carte, immagini (sempre
sorridenti) degli incontri istituzionali internazionali e con il
‘popolo’; il tutto accompagnato dagli hashtag, formule linguistiche
contratte, magico-rituali: #italiariparte, #lavoltabuona, #goodnews, e
anche: #amicigufi, #allafacciadeigufi, #ciaogufi.
Un modo di fare
politica dal quale non si tornerà indietro, anche quando Renzi lascerà
il posto a un altro Renzi, un altro uomo politico-merce, un altro brand (è
questa la libertà, non-libertà, esistente nel dominio unidimensionale:
scegliere tra un marchio e un altro). Travalicando i confini del
non-luogo – i tweet scrivono gli articoli dei quotidiani, creano il
palinsesto televisivo inserendosi nei telegiornali e nei talk show,
rendendo fruibile la merce Renzi anche da coloro che non utilizzano
questa tecnologia – è divenuto imposizione, scelta obbligata, per gli
esponenti di tutti gli schieramenti politici: non si può non essere su Twitter.
Ciò
che gravemente sfugge, sopra ogni cosa, è che la società
unidimensionale non rappresenta la fine delle ideologie: “La cultura
industriale avanzata è, in senso specifico, più ideologica
della precedente, in quanto al presente l’ideologia è inserita nello
stesso processo di produzione”. È l’ideologia della mercificazione
dell’uomo, che ha trovato la sua massima realizzazione nella struttura
economica capitalistica, accettata e promossa anche dai partiti che
insistono a collocarsi a sinistra. Per questo oggi, che l’uomo
politico-merce si presenti come di destra o di sinistra non fa alcuna
differenza; altro è il pensiero di sinistra, ma esso non trova rappresentanza politica da decenni.
Marcuse
scrive all’inizio degli anni Sessanta osservando la società
statunitense; il suo testo è ben più articolato di quanto qui
richiamato, e ciò che analizza è una tendenza delle civiltà industriali
tecnologiche in un momento di boom economico. Soprattutto negli Usa,
erano gli anni dell’esplosione del-la produzione di massa e del
consumismo. Oggi ciò che esplode è la crisi economica, la
disoccupazione, il lavoro precario, sottoqualificato e sottopagato; ma
esplodono anche le vendite di iPhone, smartphone, tablet, iPod – le
merci a più alto contenuto tecnologico dell’attuale produzione di massa –
e gli account Twitter e Face-book. Quella di oggi è una società più
complessa, schizofrenica, tra alienazione e mimesi.
Marcuse vedeva
negli studenti, nel sottoproletariato e nelle minoranze
etnico-linguistiche i soggetti esclusi dalla trasformazione tecnologica,
e dunque esterni al dominio unidimensionale e per questo potenzialmente
rivoluzionari – per quanto privi di coscienza rivoluzionaria: classe in sé ma non per sé.
Oggi
le giovani generazioni – la maggior parte, per fortuna ci sono sempre
le eccezioni – subiscono a pieno il dominio. Ogni loro sforzo è votato a
inserirsi in questa società, che accettano senza porla in discussione. È
il soggetto che maggiormente riesce a tenere insieme le contraddizioni:
il lavoro è precario e malpagato (reale), dovrebbe permettere all’uomo
di realizzarsi in una progettualità di vita libera e dignitosa
(valo-re), ma c’è la globalizzazione, la delocalizzazione, il mercato,
la produttività (razionale), è il mondo che cambia e non si può tornare indietro (irrazionale).
Non possiedono nemmeno le parole per sviluppare un pensiero negativo e
immaginare una realtà diver-sa, perché ignorano la cultura che le ha
create.
Il sottoproletariato e le minoranze etnico-linguistiche
subiscono anch’essi il dominio delle merci, nel miraggio di poter
migliorare le proprie condizioni di vita. La maggiore fede religiosa che
generalmente li caratterizza, cristianesimo o islam, se pone un
baluardo alla mercificazione dell’uomo non si può certo dire che lo
liberi, con il suo tentativo di controllo sul corpo e sulla coscienza.
La
classe lavoratrice è ormai integrata nella società unidimensionale, e
ha quindi perso la possibilità di es-sere agente di trasformazione
storica – il proletariato di Marx – come già Marcuse aveva evidenziato.
Soprattutto
le generazioni divenute ceto medio nel corso degli anni, che hanno
vissuto il boom economico, il progresso della tecnologia e lo sviluppo
della produzione di massa, hanno perso la capacità di opporsi a un
sistema che ha migliorato il loro livellodi vita. È significativo che
alle ultime elezioni europee del 2014, il 48% degli elettori del Partito
democratico avesse più di 55anni (il 18%tra i 55 e i 64 anni, il 30% 65
anni e oltre) (2); una tendenza rimasta invariata a distanza di un
anno, durante il quale Renzi si è rivelato nella sua pienezza
unidimensionale: ad aprile 2015, il 44,4% delle intenzioni di voto
espresse al Pd rientrava nella fascia di età ‘55 anni e oltre’ (3).
Sono
le generazioni che hanno vissuto gli anni Settanta della lotta armata e
del Movimento, gli anni del Pci, che pur nelle sue ambiguità e
contraddizioni rappresentava un pensiero negativo di opposizione al
sistema sociale e produttivo; ma vent’anni di tradimento del pensiero di
sinistra messo in atto con il percorso Pds-Ds-Pd hanno evidentemente
aiutato il processo di mimesi. A differenza delle nuove generazioni,
loro possedevano le parole per sviluppare un pensiero critico, ma le
hanno perdute. E anche se non credono ai mantra ipnotici (almeno si
spera, l’esperienza di vita qualche anticorpo dovrebbe produrlo) ne
subiscono il fascino, entusiasti dell’uomo che agisce, del nuovo che spazza via il vecchio –
che nella propaganda ha assunto le sembianze della ‘casta politica’
corrotta, ripiegata a difendere i propri interessi personali – e, perché
no, del miraggio di una vittoria elettorale e della fine dell’odiato Berlusconi;
oppure si turano il naso, e di fronte all’irrazionalità che sembra
con-tenere ogni alternativa (è impossibile combattere la
globalizzazione, man-tenere il welfare con un debito pubblico elevato
ecc.) accettano l’esistente, come se rappresentasse il corso naturale delle cose, le foglie che d’autunno cadono dagli alberi.
“Quindi
si deve porre ancora una volta la domanda” concludeva Marcuse: “Come
possono gli individui amministrati – che hanno tratto dalla loro
mutilazione le loro libertà e soddisfazioni, e così la riproducono su
larga scala – liberarsi da se stessi non meno che dai loro padroni?” La
storia ha negato le speranze di Marcuse, studenti, sottoproletariato e
minoranze etnico-linguistiche non sono, in quanto tali, classi
potenzialmente rivoluzionarie; dunque qual è la risposta di oggi? Se è
vero che siamo tutti soggetti al dominio unidimensionale (ed è vero), è
altresì vero che esiste una minoranza – ed esisterà sempre – trasversale
alle classi sociali e alle generazioni ancora capace di elaborare un
pensiero negativo. Spesso gli fa compagnia un senso di impotenza: “La
teoria critica della società non possiede concetti che possano colmare
la lacuna tra il presente e il suo futuro; non avendo promesse da fare
né successi da mostrare, essa rimane negativa”. Ma esistono luoghi
fisici in cui incontrarsi, ragionare e confrontarsi; esistono luoghi
culturali che tentano di sviluppare un pensiero critico – e Paginauno
cerca di essere uno di questi. Perché anche se può apparire impossibile,
poiché “davanti all’efficienza onnipresente del sistema dato di vita,
le alternative di chi discerne la necessità [di mutamento] sono sempre
apparse utopistiche”, non si può rinunciare a porre quello che Marcuse
definiva il Grande Rifiuto: il rifiuto assoluto a questo sistema economico, politico, sociale.
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