domenica 18 ottobre 2015

Lo scandalo degli oppressi che collaborano con Renzi di Alberto Burgio, Il Manifesto

Governo. Non basta l’appoggio dei «poteri forti» per capire come può l’attuale premier fare a pezzi la democrazia. Le dinamiche di potere coinvolgono anche gli alleati nelle amministrative e pezzi di società civile
Dinanzi all’enormità di quanto sta acca­dendo occorre essere esi­genti sul ter­reno ana­li­tico. Com’è pos­si­bile che tutto que­sto avvenga? Chi ne è responsabile?
Certo, Renzi è oggi l’incontrastato pro­ta­go­ni­sta della scena poli­tica ita­liana. Chi si è a lungo baloc­cato col man­tra del poli­tico «senza visione» ricon­si­deri le deci­sioni assunte in que­sti venti mesi di governo​.La buona scuola e il Jobs Act; le pri­va­tiz­za­zioni e i tagli alla spesa sociale; il for­sen­nato attacco al sin­da­cato; il com­bi­nato tra Ita­li­cum e deva­sta­zione iper-presidenzialista della Costi­tu­zione; l’occupazione mili­tare dei ver­tici Rai; lo scem­pio siste­ma­tico dei rego­la­menti par­la­men­tari; lo sdo­ga­na­mento di poli­tici pluri-inquisiti.
Tutto que­sto non sarà «visione», sarà sem­plice istinto, ma di certo non è dif­fi­cile leg­gervi una tra­iet­to­ria lineare di stampo auto­ri­ta­rio e thatcheriano.
Ma Renzi non è solo. Da solo o col solo cer­chio magico dei Lotti e dei Del­rio non potrebbe imporre al Paese il pro­prio dise­gno. Un discorso serio chiede a que­sto punto un’analisi attenta delle filiere di con­ni­venza e di com­pli­cità che gli per­met­tono di dila­gare con­so­li­dando il pro­prio potere e tra­sfor­mando pezzo dopo pezzo il sistema poli­tico e gli assetti sociali del Paese. Il tutto senza colpo ferire: senza con­flitti, senza resi­stenza né sostan­ziale oppo­si­zione su qual­si­vo­glia terreno.
Per un verso que­sto discorso guarda in alto, ai man­danti interni e inter­na­zio­nali. Renzi piace ai poteri forti dell’imprenditoria pri­vata, ai ric­chi e ai grandi inve­sti­tori, agli alti gradi della diri­genza pub­blica. È gra­dito alle cor­po­ra­zioni pro­fes­sio­nali, ai corpi chiusi dello Stato, al pos­sente eser­cito degli eva­sori fiscali. E va a genio, non da ultimo, alle cen­trali del potere euro­peo e atlan­tico, di cui non mette mai in discus­sione, se non a parole, inte­ressi e scelte.
Ma nem­meno tutto que­sto basta. Il ren­zi­smo non è una dit­ta­tura, ricatti e inti­mi­da­zioni non tol­gono che le isti­tu­zioni fun­zio­nino ancora in base alla rela­tiva auto­no­mia di ogni sin­gola arti­co­la­zione dello Stato e della società civile. E la stessa gran­cassa media­tica senza la quale il regime implo­de­rebbe non obbe­di­sce ai det­tami di un’occhiuta cen­sura gover­na­tiva. Insomma, i poteri alti sug­ge­ri­scono e pro­teg­gono, ma nean­che il loro appog­gio da solo baste­rebbe a garan­tire al capo del governo le con­di­zioni neces­sa­rie all’efficacia e alla con­ti­nuità di un’azione a suo modo «rivo­lu­zio­na­ria», nel senso della sov­ver­sione dell’ordinamento demo­cra­tico e costituzionale.
Dove guar­dare allora? Il sug­ge­ri­mento è quello di ripren­dere in mano l’ultimo libro di Primo Levi, scritto pochi mesi prima di por fine alla vita, un po’ il suo testa­mento spi­ri­tuale. Ne «I som­mersi e i sal­vati» i Lager sono con­si­de­rati un labo­ra­to­rio per l’analisi delle dina­mi­che di potere, un micro­co­smo in qual­che modo cor­ri­spon­dente all’intera società tede­sca. Ciò che col­piva Levi era il fatto che per­sino lì, nell’istituzione para­dig­ma­tica della vio­lenza bru­tale e della nega­zione dell’umano, il potere fun­zio­nasse anche gra­zie al sup­porto di una parte delle sue stesse vit­time. Che per­sino lì dove la fero­cia del potere mili­tare trion­fava, l’ordine era garan­tito anche dall’obbedienza, la quale impli­cava a sua volta una qual­che forma di con­senso, di con­ni­venza, di complicità.
In quel micro­co­smo «intri­cato e stra­ti­fi­cato» si ripe­teva «la sto­ria incre­sciosa e inquie­tante dei gerar­chetti che ser­vono un regime alle cui colpe sono volu­ta­mente cie­chi; dei subor­di­nati che fir­mano tutto, per­ché una firma costa poco; di chi scuote il campo ma accon­sente; di chi dice “se non lo facessi io, lo farebbe un altro peg­giore di me”». In poche pagine Levi sti­lizza un’analisi delle moti­va­zioni (cor­ru­zione, viltà, dop­piezza, cal­colo oppor­tu­ni­stico) che indu­ce­vano la «classe ibrida» degli oppressi a col­la­bo­rare con l’oppressore. In que­sto senso (e sol­tanto in que­sto) la «zona gri­gia» dei kapos e delle Squa­dre spe­ciali del Lager cor­ri­spon­deva a quella assai più vasta dei cit­ta­dini tede­schi (ed euro­pei) che – senza l’attenuante dell’immediata minac­cia della vita – sosten­nero il regime nazi­sta, appro­fit­ta­rono dei pri­vi­legi che ne trae­vano e varia­mente coo­pe­ra­rono con i suoi crimini.
Lo schema è gene­rale e le dif­fe­renze, molto pro­fonde, non ingan­nino. A giu­di­zio di Levi il modello del Lager serve a indi­vi­duare ingre­dienti costanti delle dina­mi­che di potere. Serve a capire come il potere operi anche in una società coman­data da uno Stato tota­li­ta­rio. E serve a mag­gior ragione a com­pren­dere come esso fun­zioni in un Paese demo­cra­tico, dove la rela­zione poli­tica è carat­te­riz­zata da un tasso di vio­lenza incom­pa­ra­bil­mente minore. Se otte­nere con­senso era neces­sa­rio per­sino nel Lager, è evi­dente che senza con­senso non si potrebbe gover­nare una società come la nostra, dove il potere è costretto a fare un uso molto più parco della vio­lenza e dove quindi è assai più com­pli­cato pre­ser­vare le gerar­chie costi­tuite e i rap­porti di forza.
Allora, per tor­nare a Renzi, dovremmo smet­terla di farne la nuova incar­na­zione del demo­nio assol­vendo in blocco chi gli per­mette di distrug­gere in alle­gria. Se a Renzi rie­sce di deva­stare il Paese, è per­ché in tanti ne sosten­gono varia­mente l’azione. I suoi com­pa­gni di par­tito di tutte le stirpi e a ogni livello in primo luogo, non­ché quanti si osti­nano nono­stante tutto a votarlo. Gli alleati del suo Pd in seconda bat­tuta, nelle ammi­ni­stra­zioni e nelle varie sedi del sot­to­go­verno. E poi i diversi seg­menti della società civile – pezzi del sin­da­cato e del mondo coo­pe­ra­tivo; dell’associazionismo, dell’informazione e dell’intellettualità – che bril­lano per con­corde silen­zio come se, via Ber­lu­sconi, qual­siasi pro­blema di demo­cra­zia e di giu­sti­zia sociale fosse per incanto risolto. È vero, ogni chia­mata di cor­reo è sgra­de­vole, tanto più se indi­scri­mi­nata. Ma la fur­be­sca col­la­bo­ra­zione col potere da parte dei subor­di­nati e per­sino degli oppressi è addi­rit­tura scan­da­losa. E, giunte le cose al punto in cui sono, fare finta di nulla non ha pro­prio alcun senso.

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